Connect with us

Beauty

Solein. Una soluzione del problema della fame in tutto il mondo?

Avatar photo

Pubblicato

il

    Solar Foods è un’azienda finlandese che sviluppa una tecnologia innovativa per produrre cibo e proteine utilizzando l’aria e l’elettricità come principali materie prime. Fondata nel 2017, l’azienda ha lo scopo di rivoluzionare il settore alimentare con soluzioni sostenibili e amiche dell’ambiente.

    Il processo di produzione

    Il processo di produzione di cibo di Solar Foods si basa su un batterio naturale chiamato “Solein“, che è in grado di sintetizzare proteine utilizzando anidride carbonica, acqua e luce solare. Questo processo avviene all’interno di bioreattori, dove il batterio viene coltivato in condizioni controllate simili a quelle di una serra.

    L’utilizzo di aria e luce solare

    L’aria viene catturata e filtrata per rimuovere le impurità, quindi l’anidride carbonica viene estratta e utilizzata come fonte di carbonio per il batterio. L’energia solare viene quindi utilizzata per alimentare il processo di fotosintesi artificiale, consentendo al batterio di convertire l’anidride carbonica e l’acqua in proteine.

    Il prodotto finale il Solein

    Il prodotto finale, chiamato Solein, è una polvere proteica altamente nutriente e versatile che può essere utilizzata per creare una varietà di alimenti, tra cui sostituti della carne, prodotti da forno, bevande e integratori alimentari. Secondo la Solar Foods il processo di produzione è completamente sostenibile e non richiede l’uso di terreni agricoli, acqua dolce o pesticidi, riducendo significativamente l’impatto ambientale rispetto ai metodi tradizionali di produzione alimentare.

    Il valore nutrizionale del Solein

    Da quanto è riportato sul sito dell’azienda, il Solein è composto per il 65-70% da proteine. Per il 5-8% da grassi (principalmente insaturi). Per il 10-15% da fibre alimentari e per il 3-5% da nutrienti minerali. La composizione dei macronutrienti delle cellule è molto simile a quella dei semi di soia essiccati o delle alghe marine. Solein contiene ferro, fibre e vitamine del gruppo B.

    Sebbene le proteine si trovino sia negli alimenti vegetali che in quelli animali, le proteine commestibili non sono tutte uguali. Sono costituiti da varie combinazioni di aminoacidi e sono caratterizzati dal rapporto e dalla quantità di aminoacidi essenziali che contengono. Il Solein contiene tutti e nove gli aminoacidi essenziali necessari al corpo umano.

    Il ruolo nel futuro dell’alimentazione globale

    Solar Foods mira a fornire una soluzione per sfamare la crescente popolazione mondiale. In modo sostenibile, riducendo al contempo la dipendenza dalle risorse naturali limitate e mitigando l’impatto ambientale dell’agricoltura convenzionale. La tecnologia innovativa dell’azienda potrebbe avere un ruolo significativo nel plasmare il futuro dell’alimentazione globale. Offrendo una via verso un sistema alimentare più equo, sicuro e sostenibile per tutti.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Beauty

      L’estetica che non si vede: la nuova frontiera dei ritocchi “invisibili”

      Nel 2025 i trattamenti estetici non invasivi hanno superato quota 750mila. A guidare il mercato è il desiderio di apparire più freschi senza segnali evidenti di intervento. Un cambio culturale che ridefinisce l’intero settore.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

      L’estetica che non si vede

        Il settore della medicina estetica, ormai stabilmente in crescita, registra nel 2025 un aumento superiore al 20% dei trattamenti non invasivi sul territorio nazionale, secondo stime delle principali associazioni di categoria. Ma, accanto all’espansione del mercato, emerge un fenomeno nuovo: la volontà di ottenere risultati impercettibili.

        È ciò che gli esperti definiscono “medicina estetica invisibile”, un approccio che privilegia armonia, gradualità e naturalezza. A richiederlo sono soprattutto professionisti, manager e figure esposte al pubblico, per i quali la percezione sociale del ritocco è ancora un fattore sensibile. “Cresce il timore del giudizio esterno”, spiega Pietro Carlomagno, medico estetico e co-fondatore del Centro Medico Forma Sana. “I pazienti vogliono sentirsi meglio, avere un volto più rilassato, ma non desiderano che il cambiamento venga notato”.

        Non sorprende dunque che a farsi largo siano protocolli personalizzati, pensati per chi ha una vita lavorativa intensa e poco tempo a disposizione. Anche a livello globale la tendenza è evidente: secondo analisi di mercato internazionali, i trattamenti non invasivi raggiungeranno nel 2025 un giro d’affari di oltre 15 miliardi di dollari, con un tasso di crescita stimato intorno all’11% annuo.

        Il nuovo paradigma non si limita ai filler o alla tossina botulinica. I percorsi integrati combinano tecniche anti-aging, terapie rigenerative e skincare avanzata, con l’obiettivo di intervenire sulle cause dello stress e dell’invecchiamento precoce più che sui singoli inestetismi. “Una nostra paziente molto esposta sui social – racconta Alessandra Patti, co-fondatrice del centro e medico estetico – cercava un trattamento che non irrigidisse il viso. Voleva qualcosa di leggero, non riconoscibile. È la direzione verso cui va il settore”.

        Il cambiamento riguarda anche il metodo: la prima visita prevede spesso una valutazione completa dello stato di salute, da cui deriva la costruzione di un programma modulare. Centrale è anche il mantenimento domiciliare, con routine cosmetiche studiate su misura. Alcuni centri hanno iniziato a sviluppare prodotti personalizzati, creati su formulazioni dedicate al singolo paziente.

        Questo nuovo modo di intendere la medicina estetica risponde a una pressione sociale crescente: apparire in forma, energici, riposati – ma “al naturale”. Una sfida che, secondo gli specialisti, può essere affrontata solo con percorsi graduali. “Il trattamento isolato non basta più – osserva Carlomagno –. Funziona solo un progetto integrato che unisca estetica, anti-aging e skincare personalizzata”.

        Le proiezioni per il futuro confermano la direzione: il mercato globale del settore potrebbe raggiungere oltre 25 miliardi di dollari entro il 2030. A spingere sarà proprio la filosofia del ritocco invisibile, che promette di superare i tabù di un tempo e di rendere la cura di sé un percorso più autentico, silenzioso e consapevole. In cui il vero obiettivo, dicono gli esperti, non è sembrare diversi: è sentirsi meglio senza che nessuno se ne accorga.

          Continua a leggere

          Benessere

          Il cervello inizia a invecchiare a 44 anni: la scoperta che può cambiare la prevenzione del declino cognitivo

          Secondo gli scienziati, il calo metabolico cerebrale non è lineare e potrebbe essere rallentato fornendo al cervello carburanti alternativi, come i chetoni. I risultati, pubblicati su PNAS, aprono nuove prospettive nella lotta contro l’Alzheimer.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

          cervello

            Quando il cervello inizia davvero a invecchiare

            Il cervello non resta giovane per sempre, ma il momento esatto in cui comincia a perdere efficienza è stato a lungo un mistero. Ora, grazie a una ricerca condotta dall’Università Statale di New York a Stony Brook, gli scienziati hanno identificato l’età in cui il cervello entra nella sua “curva di declino”: a partire dai 44 anni.

            Non si tratta, però, di un processo costante. Il calo segue un andamento “a S”, spiegano i ricercatori: inizia intorno ai 40 anni, accelera fino ai 67 e rallenta intorno ai 90. A influire non sono solo fattori genetici, ma anche aspetti metabolici e infiammatori che condizionano la capacità dei neuroni di ottenere energia dal glucosio.

            Il ruolo dell’insulina: quando i neuroni “restano affamati”

            Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), la causa principale dell’invecchiamento cerebrale risiede nel metabolismo del glucosio. Con l’età, l’insulina – l’ormone che regola l’assorbimento dello zucchero nelle cellule – diventa meno efficace nel cervello, lasciando i neuroni “affamati” di energia.

            “Durante la mezza età, i neuroni sono metabolicamente stressati ma ancora vitali”, ha spiegato la professoressa Lilianne R. Mujica Parodi, coordinatrice della ricerca. “È una fase delicata: il cervello non è ancora danneggiato, ma comincia a fare fatica. Intervenire in questo momento può fare la differenza.”

            Chetoni: un carburante alternativo per il cervello

            Il team di ricerca ha testato una possibile soluzione: fornire al cervello una fonte alternativa di energia. Gli scienziati hanno somministrato a un gruppo di volontari integratori a base di chetoni, molecole che l’organismo produce naturalmente quando brucia i grassi in assenza di zuccheri.

            I risultati sono stati sorprendenti: nelle persone tra i 40 e i 59 anni, i chetoni hanno migliorato la sensibilità all’insulina e stabilizzato l’attività delle reti cerebrali, riducendo i segni del declino cognitivo precoce. L’effetto, invece, è risultato meno evidente nei più giovani e negli anziani.

            “Abbiamo osservato che i chetoni riescono a bypassare la resistenza all’insulina e a fornire carburante diretto ai neuroni”, ha aggiunto la professoressa Mujica Parodi. “Questo approccio potrebbe rivoluzionare la prevenzione del declino cognitivo legato all’età e delle patologie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer.”

            La ricerca e i suoi protagonisti

            Lo studio ha coinvolto oltre 19.000 persone, sottoposte a risonanza magnetica funzionale per analizzare l’attività delle reti cerebrali. Oltre all’ateneo di Stony Brook, hanno partecipato la Mayo Clinic, il Massachusetts General Hospital e il Memorial Sloan Kettering Cancer Center.

            L’analisi ha messo in evidenza anche due geni chiave nel processo di invecchiamento cerebrale:

            • GLUT4, responsabile del trasporto del glucosio nelle cellule, e
            • APOE, già noto per il suo ruolo nel rischio di Alzheimer.

            Entrambi risultano coinvolti nella perdita di efficienza del metabolismo cerebrale a partire dalla mezza età.

            Prevenzione e prossimi passi

            Gli autori dello studio sottolineano che si tratta di risultati preliminari, ma aprano una nuova strada per la prevenzione. Intervenire nella “finestra critica” tra i 40 e i 60 anni, fornendo al cervello energia supplementare attraverso integratori o dieta mirata, potrebbe rallentare l’invecchiamento cerebrale prima che compaiano danni irreversibili.

            Tuttavia, gli esperti ricordano che non esistono scorciatoie: prima di assumere integratori o cambiare abitudini alimentari è sempre necessario consultare il proprio medico.

            Un nuovo modo di guardare alla mezza età

            L’idea che il cervello inizi a cambiare già a 44 anni può spaventare, ma è anche un’occasione per intervenire per tempo. Conoscere il momento in cui la mente inizia a perdere efficienza significa poter agire in modo mirato, migliorando alimentazione, attività fisica e salute metabolica.

            In fondo, come conclude la professoressa Mujica Parodi, “l’invecchiamento non è un destino ineluttabile, ma un processo che possiamo imparare a comprendere – e forse, un giorno, a rallentare.”

              Continua a leggere

              Benessere

              La felicità non è uguale per tutti: cosa dice la scienza su emozioni e salute

              Nuove ricerche mostrano che i benefici biologici della felicità dipendono da genetica, cultura e condizioni sociali. E che cercare la gioia a tutti i costi può, paradossalmente, farci stare peggio.

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

              felicità

                Per decenni la scienza ha sostenuto che un atteggiamento positivo sia la chiave per vivere più a lungo e ammalarsi di meno. “La felicità fa bene al cuore”, si ripete spesso — e, in parte, è vero. Numerosi studi psicologici e biologici hanno mostrato che lo stato emotivo influenza il sistema immunitario, l’infiammazione e perfino il metabolismo. Tuttavia, le ricerche più recenti raccontano una realtà più sfumata: la felicità non produce gli stessi effetti su tutti.

                Ci sono persone per cui il benessere emotivo si traduce in salute fisica misurabile — meno infiammazione, pressione più bassa, maggiore longevità — e altre per cui l’effetto è quasi nullo.

                Quando il corpo “sente” la felicità

                Il legame tra emozioni positive e salute è stato osservato in numerosi studi. Quando ci sentiamo felici, il cervello rilascia dopamina, endorfine e ossitocina: sostanze che riducono lo stress, abbassano la pressione sanguigna e potenziano le difese immunitarie. Questi ormoni agiscono come modulatori naturali dell’equilibrio psicofisico.

                Ma non tutti li producono o li “ricevono” allo stesso modo. La risposta del corpo a questi neurotrasmettitori varia a seconda della genetica, dell’età e dell’accumulo di stress cronico. “L’effetto biologico della felicità è reale, ma individuale,” spiegano i ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health, che hanno recentemente analizzato oltre 200 studi sul tema.

                Il ruolo dei geni e del temperamento

                Parte della nostra “sensibilità alla felicità” è scritta nel DNA. Alcune varianti genetiche influenzano il modo in cui il cervello elabora dopamina e serotonina, modificando la risposta allo stress. In pratica, due persone che vivono la stessa esperienza positiva possono reagire in modo diverso: una si sentirà rigenerata, l’altra noterà solo un miglioramento temporaneo.

                Questa variabilità spiega anche perché la cosiddetta psicologia positiva — il ramo che studia le emozioni benefiche — produca risultati tanto disomogenei: ciò che funziona per uno può non funzionare per un altro.

                Felicità: questione di cultura (e di società)

                La definizione stessa di felicità cambia nel mondo. Nelle società occidentali è spesso legata a successo, autonomia e realizzazione personale; in quelle orientali, invece, a armonia sociale e appartenenza al gruppo.

                Gli studi comparativi, pubblicati sul Journal of Cross-Cultural Psychology, mostrano che nelle culture collettiviste la felicità genera effetti fisici più stabili — minor incidenza di depressione e disturbi cardiovascolari — perché è vissuta come parte di un equilibrio condiviso. Al contrario, nei contesti individualisti la ricerca della felicità tende a essere più fragile e dipendente da risultati o status personali.

                Quando voler essere felici diventa stressante

                Può sembrare paradossale, ma l’ossessione per la felicità può minare la salute mentale. Psicologi come Iris Mauss, dell’Università della California, parlano di “tirannia della felicità”: la pressione sociale a essere sempre positivi genera senso di colpa quando si provano emozioni negative. Questo porta a frustrazione cronica, stress e insonnia — proprio l’opposto dell’effetto sperato

                La felicità che protegge davvero

                Non tutte le felicità sono uguali. Gli esperti distinguono tra felicità edonica, legata al piacere momentaneo, e felicità eudaimonica, radicata nel significato e nei valori personali. Solo quest’ultima sembra avere effetti duraturi sulla salute: chi percepisce la propria vita come utile e coerente con i propri ideali mostra livelli più bassi di infiammazione e una maggiore resilienza allo stress.

                “Il benessere autentico non dipende dal divertimento, ma dal senso,” sintetizza la psicologa Barbara Fredrickson, tra le maggiori studiose del tema.

                Un privilegio (non per tutti)

                Gli effetti positivi della felicità, inoltre, non sono uguali in tutti i contesti. Le persone che vivono in situazioni di precarietà economica o discriminazione cronica non riescono a trasformare la gioia in salute. Lo stress continuo, spiegano gli esperti di The Lancet Public Health, può neutralizzare i benefici fisiologici delle emozioni positive. È ciò che oggi viene definito “disuguaglianza del benessere”.

                La lezione della scienza

                La felicità, dunque, non è una formula universale, ma un equilibrio dinamico tra mente, corpo e contesto. Coltivare relazioni sincere, praticare gratitudine e accettare anche la tristezza come parte naturale della vita sembra più salutare di qualunque “positività forzata”.

                Essere felici non significa non soffrire mai, ma imparare a dare senso anche ai momenti difficili. È lì, dicono gli scienziati, che la felicità diventa davvero una forza che guarisce.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù