Lifestyle
AAA Capannina di Forte dei Marmi vendesi: Giorgio Armani in prima fila
In Versilia fioccano le proposte d’acquisto per il mitico locale, simbolo di un’era dorata della vita notturna dei bei tempi andati.
Quando era ancora in vita, il patron Gherardo Guidi si era dichiarato disponibile a valutare possibili contatti, riservandosi poi di stringere un’eventuale trattativa successivamente. La sua improvvisa scomparsa riapre l’opportunità di offerte. Il locale, attualmente gestito dalla moglie Carla e dalla figlia Cristina, potrebbe passare in mani illustri. Sono tanti i nomi altisonanti interessati a quello spazio dal sapore magico. L’iniziale richiesta – circa 20 milioni di euro – sarebbe stata rimodulata. A presentare la più proposta più recente sarebbe lo stilista Giorgio Armani che – secondo i bene informati – avrebbe messo sul piatto una proposta formale (con tanto di cifra espressa) per acquistare il locale nell’ottica di una revisione totale del suo impero di investimenti.
Il suo legame con quel territorio
“Re Giorgio” ha un legame affettivo preciso con Forte dei Marmi e Pietrasanta… ma non è l’unico. Ci sarebbe anche Alessandro Boniperti, figlio di Giampiero, ex giocatore e presidente della Juventus, ultimamente molto legato alla famiglia Guidi. Pare che con l’amico Gherardo avesse già parlato a più riprese per proporsi in un eventuale passaggio di testimone.
Lo stilista non è l’unico in lista
Non molla neanche la catena Cipriani, società nata nel 1931 specializzata in hotel e tempo libero domiciliata in Lussemburgo,. Un gruppo che gestisce ristoranti e club di lusso in tutto il mondo, tra cui l’Harry’s Bar a Venezia e l’ex Rainbow Room a New York City. Lo scorso anno avrebbe offerto 10 milioni per la Capannina e non pare intenzionata, per ora, a rinunciare al progetto. Sfumato invece il nome di Attilio Bindi, il re dei dessert che dopo aver acquistato ville e hotel al Forte ha rivenduto la maggior parte dei beni per canalizzare le energie nel rilancio di un’altra discoteca storica: la Canniccia. Un luogo mitico, quest’estate ribattezzata Canniccia Motor Club come autodromo, con ristorante annesso e spettacolare parco in una suggestiva cornice.
Il Twiga per ora non passa la mano
Per ora bloccato da problemi giudiziari la sbandierata vendita delle quote del Twiga di Flavio Briatore. L’offerta più interessante è stata di Leonardo Maria Del Vecchio (il quarto dei sei figli del patron di Luxottica) finito nei giorni scorsi tra gli indagati legati alla questione del “dossieraggio” a danno di numerosi politici. Una vicenda tutta da chiarire che però potrebbe compromettere la conclusione del subentro societario di Del Vecchio al Twiga, che tra l’altro era stato citato anche come interessato a rilevare la Capannina).
I tempi cambiano, le icone sbiadiscono
Nella girandola dei locali storici che potrebbero cambiare proprietà restano attualmente due grandi punti interrogativi: il futuro della Bussola, discoteca chiusa dalla scorsa estate a seguito di un contenzioso tra gestore e concessionario, come pure quello del Cavalluccio Marino di Lido di Camaiore. Icone di un tempo che fu e che, quasi sicuramente, non tornerà più.
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Luxury
Vacanza da super ricchi in Svizzera: nello chalet di Sir Richard Branson si spendono oltre 35mila euro al giorno
Mentre per una famiglia svizzera una settimana sugli sci a Verbier può superare i 7mila euro, esiste un altro livello di esclusività: lo chalet The Lodge di Sir Richard Branson, affittabile per oltre 32mila franchi al giorno. Nove camere, piscina, spa, cinema privato e personale 24 ore su 24, con prenotazioni già pieni fino a febbraio. E non è il solo indirizzo a prezzi stellari: tra le Alpi, da Zermatt a Courchevel, gli chalet di lusso competono a colpi di comfort e cifre impressionanti.
Verbier è sinonimo di neve perfetta, piste spettacolari e atmosfera elegante. Ma è anche una delle località dove il concetto di “settimana bianca” assume sfumature decisamente estreme. Già prima di Natale, i dati diffusi in Svizzera avevano fatto discutere: per una famiglia di quattro persone, una vacanza sugli sci può arrivare a costare quasi 7mila euro. Una cifra che per molti rappresenta già un lusso, ma che diventa quasi minima se paragonata al livello superiore del turismo super esclusivo.










Qui, infatti, si trova The Lodge, lo chalet di proprietà del miliardario britannico Sir Richard Branson. Una struttura che sembra uscita da una cartolina, immersa nella neve vallesana, ma che ha un prezzo da capogiro: oltre 32.600 franchi al giorno, più di 35mila euro. Nonostante le cifre, trovare una settimana libera non è semplice: bisogna attendere fino a febbraio, segno che il mondo del lusso estremo continua a muoversi senza esitazioni.
Cosa offre una residenza del genere? Spazi immensi, nove camere da letto, piscina coperta, centro fitness, sauna, sala cinema e uno staff sempre presente, pronto a soddisfare ogni richiesta. Un microcosmo perfetto per chi vuole vivere la montagna senza rinunciare a nulla, nemmeno alle comodità di un resort a cinque stelle.
Il quotidiano elvetico Handelszeitung ha stilato una classifica degli chalet più costosi dell’arco alpino. Oltre a Verbier, la Svizzera domina con altre strutture iconiche. A Zermatt, ad esempio, c’è lo Chalet White Pearl, con vista sul Cervino e tariffe che partono da circa 36mila euro a settimana. Nei Grigioni, a Klosters, si arriva a cifre intorno ai 50mila franchi settimanali per residenze come la Chesa Falcun, in una località storicamente frequentata anche dalla famiglia reale britannica.
Ma per trovare il vero vertice del lusso bisogna spostarsi in Francia, a Courchevel, dove lo chalet Edelweiss rappresenta una sorta di Olimpo delle vacanze invernali: suite immense, piscina, spa, cantina di altissimo livello, discoteca privata e uno staff dedicato. Il prezzo? Oltre 450mila euro a settimana. Una cifra che fotografa un mondo a parte, fatto di super ricchi, jet-set internazionale e vacanze fuori da ogni misura comune.
Le Alpi, insomma, continuano a essere il rifugio dorato di chi può permetterselo. Mentre per molti la settimana bianca resta un sogno da organizzare con attenzione, per altri è un’esperienza esclusiva capace di trasformarsi in un simbolo di status e potere. Le montagne, però, restano sempre le stesse: imponenti, silenziose, indifferenti al rumore dei conti correnti.
Cucina
Antonino Cannavacciuolo, il prezzo del sogno: «Quando gli altri festeggiano, tu lavori». Dal no del padre a Villa Crespi, passando per la tv
Ai microfoni di Gianluca Gazzoli, Antonino Cannavacciuolo ripercorre il suo viaggio: il padre che lo mette in guardia («Colora di nero le giornate rosse sul calendario»), l’adolescenza tra scuola alberghiera e lavoro, la scommessa di Villa Crespi con la moglie Cinzia, l’arrivo di MasterChef vissuto come un rischio e poi trasformato in opportunità. Una frase torna più volte, come un mantra e un monito: «Quando gli altri festeggiano, tu lavori».
C’è una frase che Antonino Cannavacciuolo ripete più volte, quasi fosse una formula che si è incisa nella memoria e nelle ossa: «Quando gli altri festeggiano, tu lavori». È il riassunto brutale di cosa significhi davvero scegliere la cucina come mestiere, ma anche la sintesi perfetta della sua vita. Nel podcast «Passa dal BSMT», ospite di Gianluca Gazzoli, lo chef stellato mette in fila ricordi, inciampi, paure e successi senza scivolare nella favola motivazionale.
Dietro il personaggio televisivo, dietro le pacche sulle spalle e i meme, resta un ragazzo di Napoli cresciuto con un padre che, paradossalmente, non voleva che diventasse cuoco.
«Fai tutto, ma non il cuoco»: il padre e la “benzina” del contrasto
Il padre insegna all’alberghiero, conosce il mestiere e non lo idealizza. Quando Antonino gli dice che vuole fare il cuoco, la risposta è secca: «Fai qualsiasi cosa, ma non il cuoco». Gli spiega il conto da pagare: niente feste, niente sabati e domeniche, niente ferie “normali”. «Prendi un pennarello nero e colora di nero anche le giornate rosse sul calendario. Non ci sono vacanze, quando gli altri festeggiano, tu lavori».
Lui però insiste. Entra all’alberghiero, a tredici anni lavora già mentre studia. Il padre va dai professori e chiede di fargli cambiare idea, la madre prova a bilanciare, lo incoraggia. Il riconoscimento, quello vero, arriverà molto più tardi, quasi di nascosto. Quando gli porta un articolo importante, il padre lo legge in silenzio e poi concede solo una frase: «Se è vero quello che c’è scritto, ci deve essere un seguito». Nessun complimento esplicito, solo pressione. «Quella cosa lì è stata la mia benzina», dirà Cannavacciuolo.
Villa Crespi, il rischio e le notti a fare i conti
Il capitolo Villa Crespi non nasce da un piano perfetto, ma da uno di quei momenti in cui la vita ti mette davanti a un bivio senza preavviso. Antonino lavora già sul lago d’Orta quando il proprietario del ristorante comincia a osservarlo con una certa insistenza. La proposta arriva dopo: prendere in gestione Villa Crespi, appena chiusa.
La prima reazione è di sospetto: «Ho pensato subito: dov’è la fregatura?». La fregatura sono i numeri. Affitto da pagare in anticipo, mesi invernali quasi senza clienti, una struttura enorme da tenere in piedi. Lui e Cinzia Primatesta, che diventerà sua moglie e socia in tutto, hanno poco più di vent’anni. Ma accettano.
«A gennaio giocavamo alle tre carte – racconta – ad agosto lavoravamo bene, ma quando arrivava febbraio servivano tutti i santi». È la fotografia di un’impresa che rischia continuamente di non farcela e che, proprio per questo, costringe a non sedersi mai. La svolta arriva con le guide, prima il Gambero Rosso, poi la Michelin. Alle Tre Forchette, l’emozione è tale che Antonino «attacca il telefono» a metà comunicazione. Eppure, confessa, il pensiero di mollare non l’ha mai davvero sfiorato: «Il pensiero di non farcela non c’è mai stato. Non l’ho mai contemplato».
Cinzia, MasterChef e l’equilibrio tra cucina e tv
Nel racconto a Gazzoli, Cinzia non è mai “la moglie di”, ma parte strutturale dell’ingranaggio. All’inizio è “la figlia del proprietario”, lui è il cuoco stagionale. La distanza è netta, quasi di ruolo. La relazione nasce dopo, piano, nel momento in cui lui annuncia che tornerà a Napoli e capisce di star lasciando qualcosa di più di un lavoro. Da lì in avanti, il viaggio diventa condiviso: «Se mi fermo io tira lei, se si ferma lei tiro io».
Quando arriva MasterChef, lo chef è già sulla mappa della grande cucina italiana. La prima risposta alla tv è un no: l’obiettivo è la terza stella, non la popolarità. Cambia idea solo quando si rende conto che le riprese possono incastrarsi nella vita del ristorante. «Giriamo quando il ristorante è chiuso», ribadisce. Finita la registrazione, si torna in brigata: «Finisco di registrare e torno in cucina».
La televisione allarga il pubblico, cambia il rapporto con le persone, aggiunge pressioni e aspettative. Ma non sposta il centro. Persino la “pacca” diventata tormentone, spiega, nasce lontano dalle telecamere, come gesto istintivo in cucina, non come gag studiata.
Guardando indietro, Cannavacciuolo non si vende come modello perfetto, né come guru della motivazione. Ricorda piuttosto che è l’insonnia, non l’applauso, a tenere viva la fiamma. «L’insuccesso è quello che ti fa crescere. Quando il successo ti fa dormire, lì rischi. Quello che non ti fa dormire la notte è il motore vero».
La frase del padre, «Quando gli altri festeggiano, tu lavori», continua a tornare. Non come condanna, ma come chiave per leggere il suo percorso: niente scorciatoie, niente mitologie, solo anni di fatica appoggiati su un’idea semplice e testarda di mestiere.
Arte e mostre
I presepi più belli d’Italia: viaggio tra le meraviglie della tradizione
Dal Presepe di Manarola al celebre San Gregorio Armeno, dalla Natività dei Frati Cappuccini di Genova ai borghi che si trasformano in palcoscenici a cielo aperto: una guida per scoprire le tappe imperdibili.
Ogni anno, con l’arrivo di dicembre, l’Italia riscopre una delle sue tradizioni più radicate: il presepe. Nato in area mediterranea e codificato nel Medioevo, il presepio si è evoluto in forme diversissime a seconda delle regioni, dando vita a opere artistiche, allestimenti monumentali e vere e proprie scenografie urbane. Ecco una selezione dei presepi più suggestivi che vale la pena visitare.
San Gregorio Armeno, Napoli: la capitale del presepe
Nel cuore di Napoli, la strada dei presepi per eccellenza è un simbolo internazionale dell’artigianato partenopeo. A San Gregorio Armeno si producono pastori e miniature tutto l’anno, con botteghe che tramandano tecniche secolari. Qui convivono statuine della Natività, figure popolari e personaggi contemporanei: un incontro unico tra devozione e creatività.
Il Presepe di Manarola, Liguria: la Natività più grande del mondo
Sulle colline delle Cinque Terre, Manarola ospita un presepe luminoso di dimensioni record. Ideato negli anni Settanta da Mario Andreoli, l’allestimento utilizza migliaia di lampadine e sagome ricavate da materiali riciclati. Ogni dicembre la collina soprastante il borgo si trasforma in un’immensa scenografia visibile anche dal mare, oggi completamente alimentata da energia rinnovabile.
Greccio, Lazio: dove tutto ebbe inizio
Secondo la tradizione francescana, fu a Greccio che nel 1223 San Francesco realizzò il primo presepe vivente della storia. Il santuario che domina il paese offre un percorso museale dedicato alla Natività e ogni anno vengono proposte rievocazioni che riportano l’atmosfera del Medioevo. Una tappa fondamentale per chi vuole riscoprire le origini del presepe.
Il Presepe dei Cappuccini, Genova: un capolavoro di scuola ligure
Nel Museo dei Beni Culturali Cappuccini si trova una delle collezioni presepiali più raffinate d’Italia. Le statue lignee policrome del Settecento, opera di maestri come Anton Maria Maragliano, sono esposte in scenografie che ricostruiscono ambienti quotidiani e paesaggi pastorali. Un esempio magistrale della tradizione artistica ligure.
Città dei Presepi: le mostre e i borghi che si trasformano
Molti centri italiani dedicano interi quartieri alla Natività. A Verona, ad esempio, la grande mostra internazionale nella suggestiva cornice dell’Arena raccoglie presepi provenienti da tutto il mondo. In Umbria, Gubbio propone un presepe meccanico ospitato all’interno della chiesa di San Francesco della Pace, mentre a Matera le rappresentazioni viventi sfruttano l’unicità dei Sassi per creare ambientazioni naturali di grande impatto visivo.
Ceramica e tradizione: il presepe di Deruta
Nel borgo umbro celebre per le sue ceramiche artistiche, ogni anno viene allestito un presepe monumentale con figure in terracotta dipinte a mano secondo la tradizione locale. Un esempio di come l’artigianato regionale possa dare nuova vita alla narrazione sacra.
In Italia il presepe non è soltanto un simbolo religioso: è un linguaggio culturale che varia di regione in regione, un racconto condiviso che ogni anno si arricchisce di nuove interpretazioni. Che si tratti di un borgo intero trasformato in palcoscenico o di un’opera custodita in un museo, visitare questi luoghi significa entrare nel cuore della tradizione natalizia.
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