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Arte e mostre

Il museo più piccolo d’Italia di Arzachena ha chiuso i battenti ma non demorde…

Cos’hanno in comune Arzachena e New York dal punto di vista artistico? Apparentemente sembrerebbe proprio nulla. Eppure…qualcosa in comune ce l’hanno: i musei più piccoli del mondo

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    Cos’hanno in comune Arzachena e New York dal punto di vista artistico? Apparentemente sembrerebbe proprio nulla. Eppure…qualcosa in comune ce l’hanno: i musei più piccoli del mondo.

    In Costa Smeralda fino al 20 settembre scorso era visitabile ‘La Scatola del Tempo‘ di Mario Sotgiu di soli 24 mq che dopo 10 anni di attività per via di uno sfratto ha dovuto chiudere. Il ‘suo fratello gemello’ di New York il Mmuseum dei fratelli Benny e Josh Safdie con il regista Alex Kalman, è ospitato in un vano ascensore posizionato al piano strada e gode di ottima salute.

    Quando le misure non contano

    Due musei sono uniti dalla loro particolarità: ospitare oltre che oggetti e arte anche tanta poesia. La ‘Scatola del tempo’ creato da Mario Sotgiu era una stanza grande appena 24 metri quadrati che, all’interno delle sue mura ottocentesche, ospitava la narrazione bilingue della storia del territorio. Situato in via Garibaldi con una facciata quasi fatiscente era ospitato in un vecchio edificio storico datato ‘800. Quello di New York, è allestito nel vano ascensore di una vecchia fabbrica di indumenti di Broadway, tra Chinatown e Tribeca. Con i suoi sei metri quadrati di spazio calpestabile è riconosciuto ufficialmente come il più piccolo museo al mondo di arte contemporanea.

    Ma Mario Sotgiu, 59 anni di Arzachena, titolare di uno studio di grafica pubblicitaria e stampa, non demorde. In quei 24 mq ha racchiuso centinaia di carte topografiche antiche che raccontano la storia del territorio, oltre ad oggetti di vita quotidiana. Sotgiu si è ispirato ad alcuni viaggi di studio fatti a Londra da ragazzo dove ha lavorato accanto a David Wilson, che allora era il curatore del British Museum. “Un giorno mi fece visitare il suo scrigno magico: una stanza in cui aveva raccolto negli anni centinaia di carte e documenti antichi. Ne rimasi folgorato per la minuzia e la pazienza oltre che per l’ardine con cui tutto sembrava catalogato naturalmente“. Tornato in Italia, nel 2014 Sotgiu ha voluto realizzare La Scatola del Tempo, iscritto all’Associazione nazionale dei Piccoli Musei, inaugurando la prima mostra di carte topografiche della Gallura.

    A New York invece, il Mmuseum di New York ha come obiettivo quello di far riflettere i visitatori sugli oggetti della società contemporanea. E quindi si possono vedere cose strane. Come la scarpa che il giornalista Muntadhar al-Zaidi scagliò nel 2008 contro il presidente George W. Bush durante il suo discorso a Baghdad. Oppure la moneta coniata dall’Isis come sfida al sistema capitalistico.

    La sorte del museo di Arzachena, a differenza di quello di NYC era segnato da tempo. I proprietari del palazzo che lo hanno ospitato finora hanno deciso di vendere lo stabile o affittarlo a uso commerciale. Siamo in Costa Smeralda e il business immobiliare è implacabile. Una sorte che non va giù a molti tra cui gli intellettuali dell’Isola, dall’antropologo Bachiso Bandinu, allo scrittore e poeta Bernardo De Muro che stanno cercando di trovare un’altra sede. Forse ancora più piccola…!!

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      Arte e mostre

      La Sindone e il mistero del restauro rinascimentale: c’è la mano di Leonardo?

      La Sindone, uno dei reperti più venerati e studiati al mondo, potrebbe essere stata soggetta a un restauro artistico tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento. Le nuove scoperte sollevano domande sull’autenticità dell’immagine e sul possibile intervento di un artista di grande abilità.

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        La Sindone di Torino, da secoli oggetto di venerazione e dibattito, potrebbe nascondere tra le sue pieghe una storia più complessa di quanto finora immaginato. Un gruppo di ricercatori del Centro di ricerca di Stile Arte ha portato alla luce indizi che suggeriscono un intervento artistico avvenuto tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento, finalizzato a potenziare l’immagine impressa sul sacro lenzuolo.

        L’ipotesi di un restauro rinascimentale

        Il lenzuolo di lino, lungo circa 4,41 metri e largo 1,11 metri, porta impressa l’immagine di un uomo nudo, segnato da lesioni che sembrano compatibili con le ferite della crocifissione. Per secoli, la Sindone è stata al centro di controversie: è davvero il sudario che avvolse il corpo di Gesù, come credono molti fedeli, o un manufatto medievale?

        I ricercatori di Stile Arte hanno analizzato i segni presenti sulla Sindone, confrontandoli con le tecniche pittoriche dei monocromi rinascimentali. Il risultato? Esistono “elevate possibilità” che la Sindone sia stata “rinvigorita” con interventi pittorici, forse per renderla più leggibile e suggestiva, in vista della sua esposizione pubblica organizzata dai Savoia intorno al 1502. L’intervento avrebbe potuto essere condotto da un artista di grande abilità, qualcuno vicino all’ambiente di Leonardo da Vinci, che all’epoca era già noto per le sue opere innovative e la sua padronanza delle tecniche ottiche.

        Leonardo da Vinci: il sospettato perfetto?

        Leonardo da Vinci, che tra il 1499 e il 1508 visse un periodo errabondo dopo aver lasciato Milano, avrebbe potuto essere coinvolto in questo restauro. I ricercatori sottolineano che Bona di Savoia, duchessa consorte di Milano e madre di Gian Galeazzo Maria Sforza, aveva stretti contatti con il mondo artistico e culturale di Leonardo. Questo legame suggerisce una possibile connessione tra il grande maestro e l’intervento sulla Sindone.

        Il Centro di ricerca di Stile Arte sostiene che il restauro sia stato condotto con un “pigmento ocra scuro, molto allungato nell’acqua e in materiale rugginoso”, applicato con un pennello appena inumidito. Le tracce di sangue, che oggi sembrano così nitide, sarebbero state potenziate con l’uso di un pennino, un procedimento che avrebbe reso l’immagine più visibile e drammatica, soprattutto se retroilluminata.

        Una sindone “rinvigorita” per un effetto teatrale

        Secondo gli studiosi, la Sindone restaurata doveva essere esposta in modo da ottenere il massimo impatto visivo, con un’immagine che appariva tridimensionale e che scompariva o si intensificava a seconda dell’illuminazione e della distanza dell’osservatore. “A uno-due metri essa è perfettamente a fuoco, mentre avvicinandosi sembra scomparire”, spiegano i ricercatori, sottolineando come questi effetti ottici fossero ben conosciuti e sfruttati dagli artisti rinascimentali.

        Inoltre, il lenzuolo sembra essere stato concepito per una visione retroilluminata, con torce che ne avrebbero evidenziato i dettagli, creando un’atmosfera quasi mistica. L’analisi rivela anche la presenza di figure composite e immagini reversibili, come un crocifisso che appare come un cartiglio quando osservato da una certa angolazione. “L’insieme parrebbe una sorta di colomba posta su un’ancora”, affermano gli studiosi, ipotizzando che l’artista possa aver inserito simboli nascosti con un significato esoterico o religioso.

        La Sindone: un capolavoro rinascimentale?

        Se confermata, l’ipotesi di un restauro rinascimentale della Sindone aggiungerebbe un nuovo capitolo alla sua già complessa storia. Non si tratterebbe quindi di un falso, ma di un’opera potenziata per migliorare la sua leggibilità e il suo impatto durante le esposizioni pubbliche. Un intervento che, pur non alterando l’autenticità del lenzuolo come reliquia, ne avrebbe modificato l’aspetto per renderlo più adatto alle necessità devozionali e politiche del tempo.

        La storia documentata della Sindone

        Per comprendere appieno l’importanza di queste scoperte, è utile ripercorrere la storia documentata della Sindone. Dopo essere stata donata alla chiesa di Lirey nel 1353 dal cavaliere francese Goffredo di Charny, la Sindone passò attraverso numerose mani e contese, fino a diventare proprietà dei Duchi di Savoia nel 1453. Nel 1502, fu costruita una cappella apposita a Chambéry per custodirla, e nel 1506 il Papa Giulio II autorizzò il culto pubblico della Sindone.

        La storia del lenzuolo è segnata da eventi drammatici, come l’incendio del 1532, che causò gravi danni al tessuto, e le successive riparazioni che hanno alterato in parte il suo aspetto originale. Tuttavia, è solo con l’avvento della fotografia nel 1898 che l’immagine della Sindone ha rivelato i suoi segreti più profondi, mostrando dettagli invisibili a occhio nudo.

        Un enigma ancora aperto

        Nonostante i numerosi studi, la Sindone di Torino continua a suscitare dibattiti e controversie. Le nuove scoperte suggeriscono che, oltre a essere una reliquia sacra, la Sindone potrebbe anche essere considerata un capolavoro dell’arte rinascimentale, frutto dell’intervento di un maestro come Leonardo da Vinci o di un artista a lui vicino.

        Questo intreccio tra fede, arte e scienza rende la Sindone un oggetto unico nel suo genere, che continua a sfidare la nostra comprensione e a ispirare nuove ricerche. Con ogni nuova scoperta, ci avviciniamo un po’ di più a svelare i misteri di questo antico lenzuolo, che da secoli affascina credenti e scettici.

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          Addio silenzio: ora anche i musei si riempiono di note e playlist

          Dalla musica di Brian Eno alla Biennale di Venezia al sottofondo sonoro nei musei d’arte contemporanea: l’esperienza sensoriale si arricchisce, ma non tutti gradiscono. I puristi protestano: “L’arte non ha bisogno di colonna sonora”.

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            Entrare in un museo e sentire musica ambient, onde sintetiche, bassi profondi e vibrazioni ovattate. Non è la playlist di una spa, ma l’ultima tendenza dei musei contemporanei. Sempre più spazi espositivi scelgono di accompagnare opere d’arte con suoni d’ambiente, effetti audio, persino playlist curate dagli artisti stessi. E se da una parte c’è chi applaude all’esperienza immersiva, dall’altra i puristi storcono il naso: “L’arte dovrebbe bastare a se stessa”.

            A fare scuola è stato Brian Eno, musicista e produttore, che ha portato la sua ambient music alla Biennale di Venezia e al Design Museum di Londra. Ma anche musei più “classici” come il Reina Sofia di Madrid o il MAXXI di Roma hanno sperimentato percorsi sonori accanto alle esposizioni.

            Il motivo? Creare una fruizione sensoriale più completa, coinvolgere il visitatore, farlo “entrare” nell’opera. In alcuni casi i suoni sono registrazioni naturali, in altri vere e proprie composizioni. E c’è già chi sogna visite su Spotify, con tracce da ascoltare mentre si gira tra i quadri.

            Ma la questione resta aperta: è davvero un arricchimento o una forma di distrazione? Il confine tra esperienza e intrattenimento si fa sempre più sottile. E forse è proprio lì, in quella zona grigia tra emozione e consumo, che oggi si gioca la sfida dell’arte contemporanea.

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              Un ‘covone’ davvero caro venduto da Sotheby’s

              L’opera “Covone a Giverny” di Claude Monet ha suscitato grande interesse con un prezzo di vendita di quasi 35 milioni di dollari.

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                L’asta di “Covone a Giverny” di Claude Monet che si è svolta a New York ha suscitato grande interesse da parte di collezionisti e investitori. Alla fine dell’asta ha ottenuto un notevole risultato, con un prezzo di vendita di quasi 35 milioni di dollari. Questo successo è particolarmente significativo visto che da qualche tempo si assiste a un calo del mercato mondiale dell’arte. E’ soprattutto un inizio promettente per le vendite delle grandi case d’asta come Christie’s e Sotheby’s.

                Inversione di tendenza

                La vendita online, telefonica e in sede di Sotheby’s ha generato un totale di 235 milioni di dollari per una cinquantina di dipinti di arte moderna. La competizione per “Covone a Giverny” è stata descritta come una “guerra di offerte di otto minuti“, culminata con il suo acquisto per 34,8 milioni di dollari. Questo dimostra anche il persistente fascino e valore dell’opera di Monet nel mercato dell’arte.

                Inoltre, un’altra opera d’arte, “Les Distractions de Dagobert” della pittora anglo-messicana Leonora Carrington, ha stabilito un nuovo record d’asta per l’artista, con una vendita di 28,5 milioni di dollari dopo una battaglia di dieci minuti tra gli acquirenti presenti in sala.

                Risultati che indicano un rinnovato interesse e fiducia nel mercato dell’arte, con gli acquirenti che dimostrano una forte disposizione a investire in opere di grande valore artistico e storico.

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