Lifestyle
Oltre ai ristoranti sono state assegnate le Chiavi ai migliori hotel italiani. Voi quali conoscete?
Da Capri alle colline umbre e da Venezia alla campagna del modenese, andiamo a conoscere le strutture premiate dalla Guida Michelin 2024.
La Guida Michelin 2024 ha svelato i nomi delle 146 strutture ricettive d’eccellenza sul territorio italiano a cui ha attribuito le sospirate Chiavi che distinguono le strutture d’eccellenza dalle altre. Ogni regione è rappresentata. Da Capri alle colline umbre, da Venezia alla campagna del modenese. Voi quali strutture conoscete? Vi accompagnamo a conoscere alcune delle strutture premiate.
I premiati dalla Guida Michelin come i migliori d’Italia
Otto strutture hanno ottenuto tre Chiavi (che equivalgono alle Stelle per i ristoranti). In pratica il riconoscimento più prestigioso. Bene quest’anno Michelin ha assegnato 31 due Chiavi e 107 una Chiave. l direttore internazionale della Guida Gwendal Poullennec è stato molto lusinghiero nei giudizi delle nostre strutturi definendole dei veri e propri “gioielli gestiti con talento da grandi professionisti”. Tutti sono prenotabili online sulle piattaforme digitali della Guida. Di seguito presentiamo le strutture che hanno ottenuto le tre Chiavi.
Casa Maria Luigi dello chef Massimo Bottura e di Lara Gilmore
Con sole 12 camere, la Guida la definisce “intima, ma tutt’altro che banale grazie al vivace design degli interni e alla nobile collezione di mobili moderni e opere d’arte contemporanea”. Dista 15 minuti di auto da Modena, che per chi viene ospitato dalla struttura viene considerata poco rispetto a poter “rimanere sul posto per esplorare i giardini e i terreni della tenuta”. Ha “una piscina, un campo da tennis e un centro fitness che funge anche da galleria d’arte”.
J.K. Capri
Dispone di 22 camere, come gli altri hotel della catena, gli interni sono firmati dall’architetto e designer toscano Michele Bonan:. “Classici, eleganti, con un tocco di stile country inglese, colori pastello e carte da parati a fantasia”. È una delle poche strutture che a Capri possono affacciarsi direttamente sul mare, sulla scogliera sopra il porto di Marina Grande.
Il San Pietro di Positano
“E’ arroccato sulle scogliere frastagliate” della Costiera Amalfitana. .Una piccola cappella del XVII secolo delimita l’ingresso, “mentre il resto della struttura si sviluppa sulla scogliera sottostante” con ogni piano adagiato “sulla parete rocciosa come una scala”. Arroccato com’è la vista non può che essere spettacolare. Ogni stanza “si affaccia sul mare con una terrazza privata sul lato anteriore”. Dispone di 59 camere, piscina scavata nella scogliera e un pratico ascensore che dalla hall porta direttamente alla spiaggia privata.
Corte della Maestà
Nella “città che muore” in provincia di Viterbo, a Civita di Bagnoregio, c’è la Corte della Maestà. Una bomboniera con “cinque suite dai nomi femminili ed evocativi: La Badessa, la Sonnambula, L’Intrusa, La Maestà e La Scrittrice”. Le stanze sono state “restaurate con cura e arredate con la collezione di oggetti d’arte e antiquariato dei proprietari”. Una di queste stanze ha il letto a baldacchino, un’altra il soffitto affrescato. Naturalmente non sono previsti apparecchi televisivi né la tremenda aria condizionata
Belmond Hotel Cipriani
E’ uno dei più grandi a essere premiato con le tre chiavi. Ha 95 camere e si trova sull’Isola della Giudecca. “Palazzo Vendramin, antica residenza aristocratica del XV secolo, è ora parte dell’Hotel Cipriani e si compone di sette suites di lusso e di tre camere doppie, con servizio di maggiordomo privato e, naturalmente, una vista spettacolare su Venezia”, spiega il sito della Guida. Ha “motoscafi privati che non concludono le corse fino a che l’ultimo ospite è rientrato” e l’immancabile piscina di acqua salata (riscaldata).
Aman Venice
Sempre a Venezia c’è l’Aman Venice con 24 camere. “A parte alcuni discreti interventi di interior design e i molti mobili moderni, il palazzo è esattamente come l’hanno lasciato i suoi antichi proprietari“, spiega la Guida. Le stanze migliori affacciano sul Canal Grande e agli ospiti “vengono organizzate visite guidate con storici dell’arte, chef e letterati, per scoprire ogni sfaccettatura della città lagunare“.
Castello di Reschio
Questa struttura molto antica sorge a Tabaccaia di Reschio, Lisciano Niccone, Perugia, adagiato “in una vasta tenuta sulle suggestive colline umbre al confine con la Toscana”. La struttura ospita 36 camere, e risale al X secolo Dopo Cristo. Buona parte delle suite sono ubicate nell’antica sacrestia, “ma le più straordinarie occupano cinque piani dell’antica torre del castello“. Dietro le mura c’è una piscina di forma ovale, e le terme romane, un hammam, una sauna svedese e sala massaggi.
Rosewood Castiglion del Bosco
In provincia di Siena, a Montalcino, ottiene tre Chiavi anche il Rosewood Castiglion del Bosco, al cui interno opera una scuola culinaria e un orto biologico. La struttura si trova sul terreno di tenuta agricola di 2 mila ettari, che ospitano anche un’azienda vinicola. Di seguito l’elenco delle strutture che hanno ottenuto le due Chiavi.
Hotel Santa Caterina, Amalfi, Campania
Borgo Santandrea, Amalfi, Campania
Capri Palace Jumeirah, Capri, Campania
Hotel Borgo San Felice, Castelnuovo Berardenga, Toscana
Four Seasons Hotel Firenze, Firenze, Toscana
Villa La Massa, Firenze, Toscana
Villa Cora, Firenze, Toscana
Palazzo Portinari Salviati Residenza D’Epoca, Firenze, Toscana
Eala My Lakeside Dream, Limone sul Garda, Lombardia
Bellevue Hotel & Spa, Cogne, Valle d’Aosta
Therasia Resort, Lipari, Sicilia
Grand Hotel Victoria, Menaggio, Lombardia
Bulgari Hotel Milano, Milano, Lombardia
Portrait Milano, Milano, Lombardia
Grand Hotel et de Milan, Milano, Lombardia
Villa Eden The Leading Park Retreat, Merano, Trentino-Alto Adige
Castel Fragsburg, Merano, Trentino-Alto Adige
Castelfalfi, Montaione, Toscana
Forestis Dolomites, Plose, Trentino-Alto Adige
Lefay Resort & Spa Dolomiti, Pinzolo, Trentino-Alto Adige
Grand Hotel Belmond Timeo
I Borghi dell’Eremo San Giovanni, Piegaro, Umbria
Castello di Casole, Belmond Hotel, Siena, Toscana
Il Sereno, Torno, Lombardia
Grand Hotel Tremezzo, Tremezzo, Lombardia
Bellevue Syrene 1820, Sorrento, Campania
La Minervetta, Sorrento, Campania
San Domenico Palace, Taormina, A Four Seasons Hotel, Taormina,Sicilia
Grand Hotel Timeo, A Belmond Hotel, Taormina, Sicilia
Hotel Gritti Palace, Venezia, Veneto.



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Animali
Fuochi d’artificio e animali domestici: come proteggerli dalla paura
Fuochi d’artificio e animali domestici: come proteggerli dalla paura
Per molte persone i fuochi d’artificio sono sinonimo di festa e celebrazione. Per gli animali domestici, invece, rappresentano spesso una fonte di forte stress. Cani e gatti hanno un udito molto più sensibile di quello umano e percepiscono i botti come suoni improvvisi, intensi e imprevedibili, impossibili da interpretare. Il risultato può essere paura intensa, agitazione e, nei casi più gravi, veri e propri attacchi di panico.
Perché i fuochi spaventano così tanto gli animali
Il rumore non è l’unico problema. Ai suoni esplosivi si sommano vibrazioni, odori di polvere da sparo e lampi di luce improvvisi. Il cervello dell’animale interpreta questi stimoli come una minaccia. Nei cani, in particolare, la paura dei botti è una delle fobie più diffuse: può manifestarsi con tremori, ansimare, vocalizzi, tentativi di fuga o comportamenti distruttivi. I gatti tendono invece a nascondersi, diventare immobili o cercare luoghi isolati.
Secondo i veterinari, l’esperienza negativa può rafforzarsi nel tempo: ogni episodio non gestito correttamente aumenta la sensibilità dell’animale agli stimoli sonori futuri.
Preparare la casa prima dei festeggiamenti
La prevenzione inizia dall’ambiente domestico. Durante i fuochi è consigliabile tenere gli animali in casa, chiudendo porte e finestre per attenuare il rumore. Tirare le tende o abbassare le tapparelle aiuta a ridurre i lampi di luce. Creare una “zona sicura” – una stanza tranquilla, una cuccia coperta o un angolo dove l’animale si rifugia abitualmente – può offrire un senso di protezione.
Accendere la televisione o la radio a volume moderato contribuisce a mascherare i botti esterni con suoni più continui e familiari.
Il ruolo del proprietario: calma e presenza
Uno degli errori più comuni è rinforzare involontariamente la paura. Coccolare eccessivamente l’animale mentre è in preda al panico può confermare che c’è davvero qualcosa di cui aver paura. Gli esperti consigliano invece di mantenere un atteggiamento calmo e rassicurante, continuando le normali attività senza enfatizzare l’evento.
La presenza del proprietario, però, è fondamentale: non lasciare l’animale solo durante i momenti più rumorosi riduce il senso di abbandono e insicurezza.
Mai forzare o punire
Costringere un cane ad affrontare il rumore dall’esterno o rimproverarlo per reazioni di paura è controproducente. La paura non è un capriccio, ma una risposta emotiva involontaria. Punizioni o forzature possono peggiorare la fobia e compromettere il rapporto di fiducia.
Supporti utili e quando chiedere aiuto
In commercio esistono feromoni sintetici, diffusori ambientali o collari che possono aiutare a ridurre l’ansia in alcuni animali. Anche indumenti contenitivi, come le fasce calmanti per cani, funzionano su alcuni soggetti grazie a una leggera pressione costante che favorisce il rilassamento.
Nei casi più severi, è importante consultare il veterinario: potrà valutare strategie personalizzate o, se necessario, un supporto farmacologico temporaneo. L’autosomministrazione di sedativi, invece, è fortemente sconsigliata.
Una questione di responsabilità collettiva
Ogni anno, dopo le notti di festa, si registrano smarrimenti, incidenti e animali feriti nel tentativo di fuggire dai botti. Proteggere gli animali domestici significa anche limitare l’uso irresponsabile di fuochi d’artificio, scegliendo soluzioni più silenziose o partecipando a eventi organizzati e controllati.
Aiutare cani e gatti a superare la paura dei fuochi non è solo un gesto di affetto, ma un dovere di cura. Con attenzione, preparazione e un po’ di empatia, anche le notti più rumorose possono diventare più tollerabili per i nostri amici a quattro zampe.
Lifestyle
Dire no senza sensi di colpa: perché è così difficile e come iniziare
Molte persone faticano a rifiutare una richiesta d’aiuto e si sentono in colpa quando provano a farlo. Le ragioni sono psicologiche e radicate, ma con alcuni esercizi pratici è possibile imparare a stabilire confini sani.
Ti è mai capitato di trovarti incapace di rifiutare un favore, anche quando non avevi tempo, energie o voglia? Se ti senti in colpa solo all’idea di dire “no”, sappi che non sei affatto solo. Molti vivono con il timore di deludere gli altri, di sembrare egoisti o di compromettere un rapporto. È un comportamento comune, spesso automatico, ma che a lungo andare porta a stress, sovraccarico e frustrazione.
La difficoltà nel porre limiti personali ha radici psicologiche precise. Una delle cause più diffuse è il bisogno di approvazione: si teme che dire di no possa compromettere il giudizio altrui. Alcune persone crescono in contesti familiari dove essere disponibili a ogni costo è visto come un “dovere morale”. Altre, invece, temono il conflitto e preferiscono piegarsi alle richieste pur di evitare tensioni. Tutti questi fattori fanno sì che aiutare diventi un riflesso più che una scelta consapevole.
Il risultato? Ritrovarsi esausti, sovraccarichi e spesso risentiti. A forza di mettere i bisogni degli altri al primo posto, si perde contatto con i propri. Dire sempre sì, infatti, non è un atto di altruismo: può diventare un modo per annullarsi. Imparare a dire no significa recuperare spazio per respirare, scegliere, pensare e vivere in modo più autentico.
Come si può, quindi, iniziare a costruire confini più sani senza essere travolti dal senso di colpa? Il primo passo è riconoscere il proprio diritto a dire di no. Non siamo obbligati a soddisfare ogni richiesta. La disponibilità è un valore solo se è libera, non se nasce dalla paura.
Un altro metodo efficace è prendere tempo prima di rispondere. Dire: “Fammi controllare e ti dico”, o “Ci penso un attimo” aiuta a valutare davvero se si ha modo di aiutare. Riduce l’impulso a dire sì e dà la possibilità di ascoltare le proprie esigenze.
È utile anche imparare a formulare un no gentile ma fermo. Ecco alcuni esempi:
- “Mi dispiace, ma non posso occuparmene.”
- “In questo periodo ho già diversi impegni.”
- “Vorrei aiutarti, ma non ce la faccio.”
Queste frasi rispettano l’altro senza mettere da parte se stessi. Non servono scuse elaborate: la chiarezza è più efficace del tentativo di giustificarsi.
Un altro passo importante è accettare il disagio iniziale. Chi non è abituato a rifiutare può sentirsi in colpa le prime volte. È normale: è il risultato di abitudini radicate. Ma il senso di colpa diminuisce con la pratica, soprattutto quando si vede che gli altri continuano a rispettarci e che i rapporti non si spezzano — anzi, spesso migliorano.
Infine, imparare a dire no è più facile se si coltivano spazi personali di cura: riposo, tempo libero, hobby, momenti di decompressione. Quando la propria vita è più equilibrata, anche i confini diventano più chiari.
Riscoprire i limiti, stabilirli e proteggerli è un atto di rispetto verso se stessi. Non è egoismo: è la base per relazioni sane, autentiche e reciproche. E se fino a oggi hai avuto difficoltà, non significa che non puoi cambiare. Dire no è un’abilità, e come tutte le abilità si può imparare, un passo alla volta.
Lifestyle
Genitori iperprotettivi: quando un controllo ossessivo rischia di fare più danni che bene
Proteggere i figli è naturale, ma trasformare la cura in sorveglianza costante può ostacolare lo sviluppo emotivo e l’autonomia.
Essere presenti nella vita dei figli è una delle responsabilità più delicate dell’essere genitori. Tuttavia, negli ultimi anni si parla sempre più spesso di ipercontrollo e iperprotezione, due atteggiamenti che nascono da buone intenzioni ma che, secondo numerosi studi psicologici, possono avere effetti negativi nel lungo periodo. Dove finisce la cura e dove inizia il controllo eccessivo?
Cos’è l’ipercontrollo genitoriale
Per ipercontrollo si intende un modello educativo in cui il genitore monitora in modo costante e invasivo ogni aspetto della vita del figlio: amicizie, attività, rendimento scolastico, emozioni e perfino pensieri. L’iperprotezione è spesso la sua conseguenza diretta: evitare qualsiasi rischio, frustrazione o fallimento al bambino, anticipando ogni difficoltà.
Secondo la psicologia dello sviluppo, questo stile educativo è aumentato anche a causa della percezione di un mondo più pericoloso e competitivo, amplificata dai social media e dall’ansia sociale diffusa.
Le conseguenze durante la crescita
Nel breve periodo, bambini iperprotetti possono apparire ubbidienti, tranquilli e “ben educati”. Ma gli effetti emergono spesso più avanti. Numerose ricerche indicano che una protezione eccessiva può ostacolare lo sviluppo di competenze fondamentali come:
- la capacità di prendere decisioni autonome;
- la gestione delle emozioni negative;
- la tolleranza alla frustrazione;
- il senso di autoefficacia.
Quando ogni problema viene risolto dall’adulto, il bambino non impara a farlo da solo.
Cosa accade da adulti
Gli effetti dell’ipercontrollo genitoriale diventano più evidenti nell’adolescenza e nell’età adulta. Psicologi e terapeuti osservano con frequenza giovani adulti che mostrano insicurezza, paura di sbagliare e difficoltà nel prendere iniziative personali o professionali.
In alcuni casi, questo modello educativo è associato a livelli più elevati di ansia, dipendenza emotiva e scarsa fiducia nelle proprie capacità. Paradossalmente, chi è stato troppo protetto può sentirsi impreparato proprio quando deve affrontare il mondo in autonomia.
Il rischio di relazioni sbilanciate
Un altro effetto comune è la difficoltà nel costruire relazioni sane. Chi è cresciuto sotto stretto controllo può oscillare tra due estremi: cercare costantemente l’approvazione degli altri o, al contrario, rifiutare ogni forma di autorità. Entrambe le reazioni sono spesso il risultato di un’autonomia mai davvero sperimentata.
Proteggere senza soffocare: l’equilibrio possibile
Gli esperti concordano su un punto: non si tratta di lasciare i figli soli, ma di accompagnarli gradualmente. Un’educazione equilibrata prevede regole chiare, presenza emotiva e spazio per l’errore. Cadere, sbagliare e rimediare sono passaggi essenziali per crescere.
Insegnare ai figli a gestire il rischio, piuttosto che eliminarlo del tutto, li prepara a diventare adulti più sicuri e resilienti.
In un’epoca in cui la paura di sbagliare come genitori è sempre più forte, ricordare che l’autonomia si costruisce nel tempo è fondamentale. Perché proteggere davvero un figlio significa anche lasciargli la possibilità di diventare se stesso.
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