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Auto e moto

Tesla e il contachilometri impazzito: scoppia il caso sulla garanzia truccata

Una causa legale accusa Tesla di manipolare a distanza i contachilometri delle auto usate, accelerandone l’usura apparente per far decadere la garanzia. Un nuovo scandalo che si inserisce in una serie di pratiche discutibili, dai limiti occulti alle batterie ai sequestri digitali dei veicoli.

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    I veicoli Tesla stanno diventando protagonisti di un trend inquietante: la manipolazione dei dati digitali a danno dei consumatori. Un recente caso giudiziario ha portato alla luce una pratica tanto subdola quanto allarmante, sollevando interrogativi fondamentali sul controllo che i produttori mantengono sui veicoli, attraverso aggiornamenti remoti e interfacce digitalizzate.

    La causa legale, depositata lo scorso febbraio, accusa il colosso di Elon Musk di alterare a distanza i valori dei contachilometri sui veicoli considerati “particolarmente problematici”, con l’obiettivo di farli superare artificialmente il limite di garanzia delle 50.000 miglia.

    Il caso emblematico riguarda un proprietario californiano che, dopo aver acquistato una Tesla usata con 36.772 miglia all’attivo, ha notato anomalie inspiegabili: pur percorrendo circa 20 miglia al giorno, il contachilometri registrava aumenti quotidiani di oltre 72 miglia. Un’anomalia tanto eclatante quanto, paradossalmente, difficile da rilevare senza un monitoraggio costante.

    Non si tratta di un episodio isolato. I forum dedicati a Tesla raccolgono segnalazioni simili: picchi improvvisi del chilometraggio, poi il ritorno alla normalità subito dopo lo scadere della garanzia. Una dinamica che si inserisce in un più ampio ventaglio di pratiche controverse adottate dal costruttore californiano.

    Già nell’estate del 2023, Tesla era finita sotto accusa per aver deliberatamente fornito dati ingannevoli sull’autonomia reale delle sue batterie. Era emerso che l’azienda aveva creato un centro operativo fittizio in Nevada, il “diversion team”, incaricato di deviare le chiamate dei clienti insoddisfatti. Gli operatori, istruiti a mantenere le conversazioni sotto i cinque minuti, fingevano di eseguire diagnosi sui veicoli per rassicurare gli utenti, senza in realtà verificare nulla.

    Ciò che rende Tesla un caso unico nel panorama automobilistico è la sua architettura digitale: i suoi veicoli sono progettati per ricevere aggiornamenti “over-the-air” che possono modificare profondamente le funzionalità dell’auto, spesso senza il consenso – o addirittura contro l’interesse – dei proprietari.

    Se, ad esempio, un utente smette di pagare l’abbonamento che consente di utilizzare tutta la capacità della batteria, Tesla può ridurre a distanza l’autonomia disponibile, limitandola alla metà. Non solo: può bloccare le portiere, immobilizzare l’auto, suonare il clacson, lampeggiare i fari e sbloccare il veicolo al momento dell’arrivo dell’incaricato al sequestro.

    Il problema di fondo risiede nel Digital Millennium Copyright Act (DMCA) del 1998. Nonostante il nome, la legge protegge più i modelli di business delle aziende che i diritti d’autore. La Sezione 1201 del DMCA rende infatti un crimine federale qualsiasi tentativo di aggirare i blocchi software: modificare una Tesla per impedirle di “automanipolarsi” costituisce un reato, punibile con cinque anni di carcere e 500.000 dollari di multa, anche senza violazione di copyright.

    Un sistema che Jay Freeman, esperto di sicurezza informatica, ha definito come “oltraggio criminale al modello di business”: la legge non difende il consumatore, ma tutela pratiche aziendali al limite dell’etico, impedendo agli utenti di riprendere il controllo sui propri dispositivi.

    Le automobili moderne, Tesla in testa, sono ormai diventate computer su ruote progettati per servire più gli interessi del produttore che quelli del proprietario. Auto capaci di rubare dati sulla posizione, rivenderli ai broker, immobilizzarsi in caso di mancato pagamento e spiare lo stile di guida per favorire le compagnie assicurative.

    Il rischio? Possedere un veicolo che non risponde più ai comandi del suo proprietario, ma solo a quelli di un server distante migliaia di chilometri.

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      Auto e moto

      Automobili come opere d’arte: il nuovo collezionismo su quattro ruote

      Ferrari, Bugatti, Rolls-Royce e Aston Martin riscrivono il concetto di lusso con atelier su misura e modelli unici, pensati per raccontare chi li possiede. La personalizzazione è il nuovo motore del desiderio.

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        Non basta più la velocità. Nel nuovo universo del lusso, le automobili sono diventate opere d’arte mobili, manifesti di estetica e personalità. I collezionisti le trattano come sculture, i marchi le costruiscono come gioielli. Ogni dettaglio, dal colore del metallo al cucito dei sedili, è una dichiarazione d’identità.

        Ferrari, con il programma Tailor Made, ha aperto la strada: un atelier dedicato dove il cliente disegna la propria vettura come un artista sulla tela. Verniciature uniche, interni in materiali rari, rifiniture che citano modelli storici o passioni personali. Non è più solo un’auto: è la versione meccanica di un autoritratto.

        Sulla stessa scia, Bugatti Sur Mesure offre un’esperienza quasi museale. I committenti vengono accolti come mecenati del XXI secolo: osservano le fibre di carbonio intrecciarsi, scelgono tonalità d’oro, tessuti in seta e motivi incisi a mano. Le linee diventano calligrafie, le superfici raccontano storie.

        Anche Rolls-Royce ha trasformato la personalizzazione in un rito. Con la divisione Bespoke, ogni vettura è un pezzo irripetibile: intarsi di madreperla, cieli stellati di luci a LED, legni provenienti da foreste selezionate. L’auto si fa esperienza sensoriale, una cattedrale di silenzio e precisione.

        Il collezionismo contemporaneo si muove tra arte e investimento. Alle aste di RM Sotheby’s o Bonhams, le supercar storiche toccano cifre da capogiro. Ma il vero valore oggi è nel “pezzo unico”: il modello creato su commissione, costruito come si farebbe con una statua o un violino.

        Guidarle è quasi un sacrilegio: molte finiscono in garage climatizzati, illuminate come reliquie. Altri, invece, le portano in strada con orgoglio, come quadri in movimento. Perché nel lusso autentico — quello che sfida il tempo — la bellezza non si conserva: si vive.

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          Dua Lipa mette all’asta la sua Porsche personalizzata: il ricavato per aiutare i giovani in Kosovo

          Design firmato Dua Lipa, colori fluo e prestazioni da pista: l’esclusiva Porsche GT3 RS è all’asta per finanziare la Sunny Hill Foundation, che sostiene arte e istruzione in Kosovo. Un mix di glamour, beneficenza e velocità.

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            Dalle passerelle ai box, dai palchi agli autodromi: Dua Lipa non si ferma mai. E ora lo fa anche a bordo di una Porsche. Ma non una qualsiasi: una 911 GT3 RS disegnata da lei in persona, con livrea verde acceso e dettagli arancio, rosso e nero. Un bolide da urlo che la popstar ha svelato al Goodwood Festival of Speed, prima di annunciare la sua messa all’asta.

            L’obiettivo? Sostenere i giovani del Kosovo, il suo Paese d’origine, attraverso la Sunny Hill Foundation. Il ricavato sarà infatti destinato a borse di studio e programmi di sviluppo artistico e formativo, in particolare per le ragazze nei settori STEM.

            L’auto, battuta da RM Sotheby’s fino al 31 luglio, è già un pezzo da collezione. Non solo per il design personalizzato dalla cantante, ma anche per gli optional da sogno: pacchetto “Weissach”, freni in ceramica composita, cerchi in magnesio e componenti in fibra di carbonio che la rendono 22 kg più leggera del modello standard.

            “La GT3 RS l’ho guidata in due posti davvero speciali”, ha raccontato Lipa a Goodwood. “Sono felice che possa ora aiutare tanti giovani a realizzare i loro sogni, proprio come è successo a me”.

            Un mix perfetto di beneficenza, musica e velocità. E un’occasione unica per aggiudicarsi una supercar… con l’autografo pop.

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              Hamilton e Ferrari tutto da rifare. Una stagione piena di dubbi e un futuro da decidere

              L’arrivo di Lewis Hamilton in Ferrari doveva segnare una svolta, ma dopo nove gare emergono delusione e difficoltà. La scuderia deve decidere se investire sulla SF-25 o guardare al 2026.

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                L’entusiasmo che ha accompagnato il passaggio di Lewis Hamilton in Ferrari sembra ormai lontano. La realtà della pista racconta una stagione complicata, dove il sette volte campione del mondo fatica a reggere il ritmo di Charles Leclerc e si trova spesso in difficoltà, sia sul tracciato che nelle dinamiche interne alla squadra. A Barcellona, la gara dove Ferrari sperava di rilanciarsi nel mondiale, non c’è stato il salto di qualità atteso. Nonostante il secondo posto nella classifica costruttori, la SF-25 non ha chiuso il gap con la McLaren, rimasta imprendibile. Le novità aerodinamiche introdotte per contrastare le monoposto papaya non hanno portato benefici evidenti, e il distacco rimane praticamente invariato.

                Hamilton, sempre più critico, ha messo in dubbio la direzione tecnica del team, suggerendo di concentrare le risorse sulla macchina del 2026 anziché insistere su un progetto che sta deludendo le aspettative. Il sette volte campione del mondo fatica a trovare il ritmo, spesso costretto a lasciar strada a Leclerc senza riuscire a imporsi. Il suo scetticismo cresce, al punto di credere di più nella prossima stagione piuttosto che cercare miglioramenti su un progetto che ha già mostrato i suoi limiti.

                Le speranze tecniche e la realtà della pista

                L’introduzione delle nuove verifiche FIA sulla flessibilità delle ali avrebbe dovuto rimescolare le carte, ma la McLaren ha giocato d’anticipo, adattandosi prima di tutti e mantenendo quel margine di vantaggio di tre-quattro decimi sulla Ferrari. La strategia di Leclerc, basata sulla conservazione delle gomme medie per la gara, non ha portato i risultati sperati, e senza la Safety Car il monegasco avrebbe concluso alle spalle di Verstappen.

                Le prossime mosse della scuderia

                In Canada è previsto un nuovo pacchetto di aggiornamenti, con l’introduzione di un fondo rivisto e della tanto attesa sospensione posteriore. Tuttavia, Fred Vasseur cerca di tenere basse le aspettative, ammettendo che non sempre le modifiche portano cambiamenti visibili. La domanda ora è inevitabile: ha senso continuare a investire sulla SF-25? Anche all’interno della gestione sportiva, la monoposto viene considerata un progetto sbagliato, e gli interventi previsti potranno migliorare la situazione ma non ribaltarla. La scuderia è a un bivio: continuare a sviluppare la SF-25 nella speranza di miglioramenti significativi, o voltare pagina e puntare tutto sul futuro? La risposta arriverà nelle prossime gare, ma Hamilton sembra aver già fatto la sua scelta.

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