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Cucina

Ghiaccioli: la vera storia del “popsicle” americano!

L’idea di consumare ghiaccio aromatizzato era nota già nell’antica Roma, ma solo nel 1923, in America, un giovanissimo Frank Epperson ne brevettò l’idea, divenuta poi mondiale.

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    La tradizione di mescolare la neve o il ghiaccio con il succo della frutta fu mantenuta dall’antica Roma e perfezionata nei secoli, specialmente nel sud Italia, dove la cultura della granita siciliana, fatta con ghiaccio tritato e sciroppi di frutta, rappresenta un precursore dei moderni ghiaccioli.

    Locandine dell’epoca e un anziano Frank Epperson

    Popsicle o Ice Lolly
    Ma il ghiacciolo moderno ha origini americane. Si racconta che fu inventato per caso nel 1905 da un bambino di undici anni, Frank Epperson, che lasciò fuori una tazza di soda con un bastoncino durante una notte fredda. Al mattino trovò la bevanda congelata e nacque così l’idea del ghiacciolo. Epperson brevettò la sua invenzione nel 1923 e iniziò la produzione commerciale.

    In Italia, i ghiaccioli hanno guadagnato popolarità dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l’aumento della produzione industriale e la diffusione di frigoriferi domestici. Le prime aziende italiane a produrli su larga scala furono Algida e Sammontana. Rappresentano un perfetto esempio di come una semplice invenzione possa evolversi e adattarsi a culture diverse, diventando un simbolo di freschezza e piacere universale.

    Ghiaccioli alle fragole

    Ingredienti per 4 piccoli ghiaccioli
    2 tazze di fragole freschissime già pulite tagliate a cubetti
    Il succo di mezzo limone
    2 cucchiai di zucchero semolato

    Procedimento
    Frulla le fragole con lo zucchero fino a renderle poltiglia, aggiungi il succo di limone, versa il composto negli appositi stampini per ghiaccioli, inserisci i bastoncini di legno e lascia in freezer per almeno una notte, o finché i ghiaccioli non saranno completamente solidi.
    Trascorso il tempo, estrai dal freezer i ghiaccioli, estraili dagli stampini e gusta subito.

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      Cucina

      Francesca Mannis e l’arte di reinventare il gusto: la chef che trasforma tecnica, visione e libertà creativa in esperienze di cucina contemporanea

      Laureata in giurisprudenza, mente creativa nel food & beverage, osservatrice curiosa del mondo dell’arte e della cultura, Francesca Mannis porta in cucina una visione nuova: rispetto delle radici, sperimentazione consapevole e una Cucina Contemporanea di Pesce che diventa linguaggio e stile.

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        Nel panorama gastronomico contemporaneo, la figura dello chef creativo non è più soltanto legata alla tecnica o alla memoria dei sapori. Ma a una vera e propria capacità interpretativa. Qui si inserisce la personalità di Francesca Mannis, che della cucina ha fatto uno spazio di visione, libertà e racconto. La sua storia parte da un percorso non convenzionale. Una laurea in giurisprudenza, l’esperienza nel mondo del food & beverage, una formazione continua che abbraccia organizzazione aziendale. E interessi che spaziano dall’arte alla letteratura, dall’architettura alla moda. È una mente curiosa. Abituata a guardare oltre i confini, capace di trasformare suggestioni e culture in piatti che non si limitano a essere degustati, ma vissuti.

        La cucina di Francesca nasce da una profonda conoscenza della tradizione e, proprio per questo, si permette di osarla. Non per snaturarla, ma per rileggerla con rispetto e coraggio. Ogni ingrediente viene scelto con cura, ogni equilibrio è studiato, ogni piatto è pensato come un frammento di racconto. Le consistenze dialogano tra loro, le presentazioni diventano parte del messaggio, la tecnica si mette al servizio dell’emozione. Il risultato è una cucina che non rompe con le radici, ma le accompagna in un’evoluzione naturale, attuale, necessaria.

        Francesca rifugge da etichette e definizioni rigide. Crede nella libertà mentale come primo strumento creativo. “Se resti ancorato a ciò che già conosci o a ciò che ti è stato insegnato, perdi l’opportunità di superare i tuoi limiti. E di offrire, a chi assaggia i tuoi piatti, un’esperienza che vada oltre il consueto”, afferma. Una filosofia che trova piena espressione nella cucina contemporanea di pesce, filo conduttore del Riva Restaurant & Lounge Bar di Falerna, in provincia di Catanzaro, dove il mare diventa materia viva da interpretare con rispetto, eleganza e personalità.

        Ma la cucina, per Francesca, non è mai un gesto solitario. È un progetto condiviso, una costruzione collettiva. Centrale è il rapporto con il team, la capacità di far crescere idee, armonie, professionalità. “Non cerco seguaci, ma compagni di viaggio”, dice. Perché in cucina l’armonia non è un dettaglio. Ma è la condizione necessaria affinché ogni energia, ogni talento, ogni sensibilità possa contribuire a creare qualcosa che non sia solo buono, ma significativo. È in questo equilibrio tra disciplina e libertà, studio e intuizione, che nasce la sua cucina: una cucina che racconta, emoziona, guarda avanti.

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          Natale a tavola: il grande viaggio nei sapori dell’Italia, da Nord a Sud

          Cenone di magro, pranzo del 25, dolci della tradizione, pesci rituali e primi piatti d’altri tempi: un mosaico gastronomico che racconta la storia delle comunità e le identità locali.

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          Natale a tavola

            La mappa del gusto delle feste

            In Italia non esiste un solo “menu di Natale”. Il Paese, con le sue mille culture e storie regionali, celebra le feste attraverso una straordinaria varietà gastronomica. Al Centro e al Sud la cena più importante è quella della Vigilia, consumata rigorosamente “di magro”, mentre in gran parte del Nord l’appuntamento cruciale è il pranzo del 25 dicembre.
            A cambiare non sono soltanto gli orari, ma anche gli ingredienti, le modalità di preparazione e persino il simbolismo dei piatti. In comune rimangono solo alcune certezze: la frutta secca, considerata beneaugurante, e i dolci iconici come panettone e pandoro.

            Le tradizioni del Nord: sapori forti e cotture lunghe

            Sulle tavole della Valle d’Aosta si celebra la carne, con la carbonade — manzo stufato nel vino rosso — a rappresentare uno dei piatti più identitari del periodo. Non mancano sfiziosità come i crostini al miele, accompagnati da salumi locali di capra e pecora.

            In Piemonte le feste significano agnolotti e bollito misto, servito con le salse tradizionali come bagnet verd e bagnet ross. In Liguria, invece, prevale la leggerezza del mare: ravioli di pesce, verdure e il celebre cappon magro, un imponente piatto di pesce e ortaggi stratificati.

            La Lombardia custodisce una tradizione inaspettata: l’anguilla, spesso cotta al cartoccio, protagonista della Vigilia in molte famiglie. In Veneto convivono polenta e baccalà mantecato, mentre il lesso con le salse rimane un must del 25 dicembre.

            In Friuli Venezia Giulia il freddo invernale porta in tavola la brovada e muset, rape macerate nella vinaccia servite con cotechino. In Trentino-Alto Adige il Natale profuma di canederli, capriolo e strudel, ma anche del ricco zelten, un pane dolce a base di frutta secca e canditi.

            Il Centro Italia: tra pasta ripiena, pesce e arrosti importanti

            L’Emilia Romagna è da sempre regina della pasta fresca: tortellini, passatelli e lasagne sono i protagonisti assoluti del pranzo del 25. Tuttavia, esistono zone come Modena dove la Vigilia è da tradizione “di pesce”, con spaghetti a base di tonno, sgombro e acciughe.

            Nel Lazio il 24 dicembre porta in tavola baccalà fritto, fritto misto di verdure e il simbolico capitone. A Roma non mancano piatti storici come la minestra di pesce, la pasta e broccoli in brodo di arzilla e gli spaghetti con le alici. A Natale si passa alla carne: abbacchio al forno, cappelletti in brodo e bollito misto sono riti tramandati di generazione in generazione.

            In Toscana si aprono le danze con i crostini ai fegatini e si prosegue con arrosti di faraona, anatra o cappone ripieno. Nelle Marche dominano i maccheroncini di Campofilone, mentre in Umbria spiccano i cappelletti ripieni spesso anche di cappone e piccione.

            In Abruzzo il pranzo si arricchisce di agnello arrosto, lasagne e zuppe. Imperdibili i caggionetti, dolcetti fritti ripieni di castagne o mandorle.

            Il Sud: trionfo di mare, frattaglie rituali e dolci sorprendenti

            La Campania accoglie il Natale con un patrimonio gastronomico ricchissimo. La Vigilia è dominata dal pesce: spaghetti alle vongole, insalata di rinforzo e naturalmente il capitone, scelto per un’antica tradizione simbolica che lo associa alla vittoria sul male. Il 25 dicembre si passa a zuppe, struffoli, roccocò e molta frutta secca.

            In Basilicata le feste portano in tavola zuppe di verdure come scarole e cardi in brodo di tacchino, oltre al baccalà lesso e alle scarpedde, sfoglie fritte ricoperte di miele. In Calabria si celebrano salumi e primi semplici ma saporiti come spaghetti con mollica e alici, oltre al pesce stocco e al capretto accompagnato da broccoli tipici.

            La Puglia porta sulle tavole pettole, frittelle che possono essere salate o dolci, oltre all’anguilla arrostita e al baccalà fritto. L’agnello al forno con i lampascioni rappresenta una delle ricette più identitarie.

            Le isole: tra pasta ripiena, mare e dolci storici

            In Sardegna i culurgiones e i malloreddus dominano la tavola natalizia, mentre in Sicilia i profumi sono quelli di arance, aringhe, pasta con le sarde e beccafico. Lo sfincione è un must delle feste, così come i dolci: buccellati, cassate e cannoli.

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              Cucina

              L’oro dolce dei Balcani: la tradizione dell’halva di semi di girasole

              Dalle sue origini affascinanti fino alla ricetta autentica: ecco come nasce uno dei dolci più amati e diffusi nei mercati di Turchia, Bulgaria, Grecia, Russia e Medio Oriente. Una delizia che unisce storia, cultura e sorprendenti proprietà nutritive.

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              halva di semi di girasole

                Una storia che profuma di tradizione

                Il termine halva deriva dal termine arabo ḥalwā, che significa “dolce”. Le sue radici sono antichissime: le prime versioni documentate compaiono tra Persia e regioni ottomane già dal XIII secolo. Nel corso dei secoli, la ricetta ha viaggiato lungo rotte commerciali e culturali, arrivando nelle attuali Turchia, nei Balcani, in Grecia e fino alla Russia.
                Esistono molte varianti: a base di semola, tahina (crema di sesamo), noci o semi di girasole. Proprio quest’ultima è tra le più popolari nell’Europa orientale, grazie alla disponibilità locale del girasole e al suo sapore ricco e aromatico.

                Perché i semi di girasole?

                Ricchi di grassi “buoni”, vitamine del gruppo B e minerali come magnesio e fosforo, i semi di girasole sono un ingrediente tradizionale ma anche sorprendentemente attuale. Nella versione dell’halva, vengono tostati e macinati fino a diventare una crema rustica che, unita a un caramello leggero, dà vita a un dolce compatto, friabile e naturalmente profumato.

                La ricetta dell’halva ai semi di girasole

                Ingredienti (per circa 8 porzioni)

                • 200 g di semi di girasole sgusciati
                • 120 g di zucchero
                • 80 g di miele (o sciroppo di glucosio nelle versioni più tradizionali)
                • 50 ml di acqua
                • 1 pizzico di sale
                • 1 cucchiaino di estratto di vaniglia (facoltativo)

                (Nelle preparazioni industriali può essere presente anche pasta di semi di girasole, ma a livello casalingo la versione tostata e macinata resta la più comune e fedele alla tradizione.)

                Procedimento

                Tostare i semi

                Distribuisci i semi di girasole su una padella antiaderente e falli tostare a fiamma media per 4–5 minuti, mescolando spesso. Devono dorarsi leggermente e sprigionare il loro profumo, ma senza bruciare.
                Lasciali raffreddare completamente.

                Ridurli in crema

                Una volta freddi, frulla i semi in un mixer potente fino a ottenere una consistenza sabbiosa e poi via via sempre più cremosa.
                Se necessario, procedi a intervalli per evitare di surriscaldare il motore.
                Aggiungi un pizzico di sale e, se lo gradisci, la vaniglia.

                Preparare lo sciroppo

                In un pentolino unisci acqua, zucchero e miele. Cuoci a fuoco medio finché la miscela raggiunge una consistenza densa, simile a un caramello chiaro (circa 118–120°C, fase “soft ball”).
                Se non hai un termometro, osserva che lo sciroppo cominci a filare e diventi viscoso.

                Unire crema e sciroppo

                Versa lo sciroppo caldo nella crema di semi e mescola energicamente con una spatola. Il composto tenderà a compattarsi man mano che lo zucchero cristallizza: è normale ed è proprio questa reazione a creare la tipica consistenza friabile dell’halva.

                Modellare e raffreddare

                Trasferisci la massa in uno stampo foderato con carta da forno, pressandola bene.
                Lascia riposare a temperatura ambiente per 3–4 ore, finché non diventa solida e facile da tagliare.

                Servire

                Taglia l’halva a fette o cubotti. Si conserva per diversi giorni in un contenitore ermetico, senza necessità di frigorifero.

                Un dolce antico che parla al presente

                L’halva di semi di girasole è un dessert che unisce tradizione e modernità: ricca ma naturale, dolce ma non stucchevole, perfetta da gustare da sola o accompagnata da tè caldo o caffè.
                Una ricetta che racconta secoli di scambi e contaminazioni tra culture diverse, ma che continua — ieri come oggi — a conquistare chiunque ami i sapori autentici.

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