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Cucina

Omurice: il capolavoro gastronomico che arriva dal Giappone e seduce i sensi!

Omurice è una omelette giapponese farcita con riso e spesso decorata con ketchup, sta diventando una vera e propria sensazione sui social. Con il suo aspetto invitante e le varianti creative, questa deliziosa combinazione di cucina occidentale e giapponese conquista sempre più cuori (e palati) in tutto il mondo. Un piatto tanto semplice quanto affascinante: l’uovo soffice viene adagiato in genere sul riso e, una volta inciso, si sparge delicatamente sul piatto.

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    Ma chi l’ha inventata, e perché si chiama così?
    L’omurice è diventata virale per il suo aspetto invitante e il suo gusto delizioso. Si tratta di una frittata di riso fritto, farcita con ingredienti a scelta come pollo, verdure e salsa al pomodoro, e avvolta in una soffice omelette. L’omurice, vanta una storia affascinante che intreccia influenze orientali e occidentali. Le sue origini risalgono all’era Meiji (1868-1912), un periodo di grande apertura del Giappone verso l’Occidente. In questo contesto, la cultura culinaria nipponica subì un’importante influenza, incorporando elementi e tecniche provenienti da Europa e America. L’omurice nasce proprio da questa fusione di sapori e tradizioni.

    Alcune presentazioni dell’Omurice

    Cibo da imperatori

    La sua paternità è incerta, ma si ipotizzano diverse teorie. Secondo alcuni, l’omurice sarebbe nato dall’imitazione del “Riz à l’Impératrice“, un piatto francese a base di riso e omelette. La ricetta sarebbe stata adattata con l’aggiunta del ketchup, un ingrediente molto popolare in Giappone fin dall’inizio del Novecento. Altri invece sostengono che l’omurice sia nato all’interno di una scuola, come pietanza speciale per i bambini. L’unione di riso e omelette, facile da preparare e nutriente, sarebbe stata apprezzata dai piccoli studenti.

    Ricetta letteraria

    Un’ultima ipotesi riconduce l’omurice al romanzo “Sono un gatto” di Natsume Soseki, pubblicato nel 1905. Nel libro, il protagonista descrive un piatto simile all’omurice, chiamato “neko meshi” (riso del gatto). Altri ancora ritongono che il piatto sia stato creato in un ristorante di Tokyo chiamato Renga-tei, come parte della corrente “yoshoku” che combina elementi della cucina occidentale con quella giapponese. Il nome “Omurice” è una fusione delle parole inglesi “omelette” e “rice”, che descrive perfettamente la sua composizione, cioè un’omelette ripiena di riso condito.

    Dal Giappone con furore

    Indipendentemente dalle sue origini precise, l’omurice si è diffuso rapidamente in tutto il Giappone, diventando un piatto simbolo della cucina Yoshoku, ovvero la reinterpretazione giapponese di piatti occidentali. Oggi, l’omurice è un piatto amato da persone di tutte le età e ceti sociali. Lo si può trovare nei ristoranti, nei caffè e persino nelle bancarelle di street food. Esistono infinite varianti della ricetta originale, con l’aggiunta di ingredienti come pollo, verdure, funghi, frutti di mare e salse di ogni tipo.

    Tanta scena?

    L’omurice conquista non solo per il suo gusto, ma anche per la sua presentazione scenografica. La delicatezza dell’omelette che avvolge il riso fritto e la cascata di ketchup che ne decora la superficie creano un’estetica davvero invitante. La vera magia però avviene quando si taglia l’omelette: il tuorlo morbido si espande sul riso, creando un vortice di colori e sapori che unisce tutti gli ingredienti in un abbraccio culinario.

    Un’opera d’arte

    L’omurice rappresenta un esempio perfetto di come un piatto semplice possa diventare un’opera d’arte culinaria, grazie alla cura per i dettagli e alla creatività. Non a caso, questo piatto ha conquistato non solo il Giappone, ma anche il mondo intero, diventando un simbolo della cultura gastronomica giapponese apprezzato da tutti.

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      Cucina

      Anone, il frutto esotico che conquista l’Europa: dolce come una crema, ricco di benefici

      Dall’Andalusia alle tavole italiane, l’anone incuriosisce per il suo gusto delicato, a metà tra banana e pera, e per le sue proprietà salutari. Ricco di vitamina C e potassio, è un alleato naturale per la digestione e la pressione.

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      Anone, il frutto esotico

        Ha l’aspetto di una pigna verde e la consistenza di una crema dolce: l’anone – o Annona cherimola – è un frutto tropicale che sta lentamente conquistando il pubblico europeo. Originario delle zone montuose del Sud America, tra Perù ed Ecuador, oggi cresce con successo anche in alcune regioni del Mediterraneo, soprattutto nel sud della Spagna, dove il clima mite ne favorisce la maturazione.

        In Italia si comincia a trovarlo sempre più spesso nei supermercati e nei mercati specializzati, grazie alla sua crescente popolarità come “superfrutto” naturale. La stagione ideale va da ottobre a marzo: quando la buccia inizia a scurirsi leggermente e il frutto cede alla pressione delle dita, significa che è pronto da gustare.

        Dolce, cremoso e versatile

        Una volta aperto, l’anone rivela una polpa bianca, morbida e profumata, che si mangia al cucchiaio. Il suo sapore è sorprendente: ricorda una miscela di banana, pera e fragola, con un retrogusto tropicale. All’interno si trovano alcuni semi neri e duri, non commestibili e da rimuovere prima del consumo.

        Può essere gustato al naturale, ma anche aggiunto a smoothie, macedonie e dessert freddi. La sua consistenza cremosa lo rende perfetto come alternativa sana ai gelati o come base per dolci crudisti. In alcuni paesi viene utilizzato anche per preparare yogurt vegetali o mousse.

        Un concentrato di salute

        Oltre al gusto, l’anone offre numerosi benefici nutrizionali. È una fonte naturale di vitamina C, utile per rafforzare le difese immunitarie, e di potassio, che contribuisce a mantenere stabile la pressione sanguigna. Contiene inoltre fibre, che favoriscono la digestione, e vitamina B6, che supporta il corretto funzionamento del sistema nervoso.

        Con circa 70–80 calorie per 100 grammi, è un frutto moderatamente calorico ma altamente saziante. È indicato in una dieta equilibrata e può rappresentare uno spuntino dolce e salutare. Tuttavia, come per molti frutti tropicali, è consigliabile non eccedere nel consumo, soprattutto in caso di problemi metabolici o durante la gravidanza: meglio chiedere consiglio al proprio medico o nutrizionista.

        Dalla Spagna al resto d’Europa

        L’Europa è diventata negli ultimi anni un importante punto di produzione dell’anone, in particolare l’Andalusia, che detiene la denominazione Chirimoya de la Costa Tropical de Granada-Málaga con marchio DOP. Tra le varietà più diffuse c’è il Fino de Jete, apprezzato per la polpa compatta, pochi semi e un sapore dolce e delicato.

        Il prezzo, ancora relativamente alto per un prodotto di nicchia, oscilla tra i 7 e i 12 euro al chilo, a seconda della stagione e della provenienza. Per conservarlo al meglio, è bene lasciarlo a temperatura ambiente se ancora acerbo e spostarlo in frigorifero quando è maturo. Si può anche congelare la polpa o la purea per usarla più avanti in frullati o dolci.

        Curiosità e consigli

        Il nome “anone” deriva dalla parola quechua chirimuya, che significa “semi freddi”, in riferimento alla sua capacità di crescere anche in zone montuose. Mark Twain, che lo assaggiò durante un viaggio in Sud America, lo definì “il frutto più delizioso conosciuto all’uomo”.

        Oggi, grazie alla sua versatilità e al crescente interesse per la frutta esotica, l’anone è sempre più apprezzato anche da chef e appassionati di cucina naturale. Ideale per chi cerca nuovi sapori e vuole unire gusto e benessere, è un piccolo lusso tropicale che profuma d’autunno e sa di sole.

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          Cookie alla cannella: il profumo dell’autunno in un biscotto morbido e goloso

          Friabili fuori e morbidi dentro, con una delicata glassa al formaggio fresco, i cookie alla cannella conquistano per il loro aroma avvolgente e il gusto equilibrato. Ecco la ricetta passo passo e i segreti per prepararli alla perfezione.

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          Cookie alla cannella: il profumo dell’autunno in un biscotto morbido e goloso

            Il dolce profumo della cannella

            Pochi profumi evocano il calore della casa come quello della cannella appena sfornata. In autunno e in inverno, questi cookie speziati diventano un classico intramontabile, ideali per accompagnare una tazza di tè fumante o per arricchire un vassoio di dolci natalizi.

            I cookie alla cannella nascono dall’incontro tra la tradizione americana dei biscotti morbidi e l’aroma intenso delle spezie usate nella pasticceria europea. Il risultato è un dolce semplice ma irresistibile, perfetto per chi ama i sapori decisi e avvolgenti.

            Ingredienti e preparazione

            La ricetta prevede due preparazioni principali: una base di impasto al burro e una crema speziata alla cannella che, una volta amalgamate, creano un effetto marmorizzato elegante e goloso.

            Per la crema, basta mescolare burro ammorbidito, zucchero di canna e cannella in polvere fino a ottenere una pasta liscia e profumata.

            L’impasto, invece, si ottiene lavorando burro e zucchero bianco fino a una consistenza chiara e spumosa, poi unendo un uovo, un pizzico di sale, vaniglia e infine farina e lievito. Il segreto è mescolare solo il necessario: un impasto troppo lavorato rischia di perdere la sua friabilità.

            A questo punto, si unisce la crema di cannella con movimenti irregolari per creare le venature aromatiche tipiche di questi cookie. Dopo aver formato delle palline (una paletta da gelato aiuta a mantenerle uniformi), i biscotti devono riposare in frigorifero per un’ora, così da mantenere la forma in cottura.

            Cottura perfetta e tocco finale

            Il forno va preriscaldato a 180°C. In circa 11 minuti i biscotti saranno pronti: devono dorarsi ai bordi ma restare morbidi al centro. Una volta sfornati, è importante lasciarli raffreddare completamente prima di decorarli.

            La glassa al formaggio fresco è l’elemento che rende questi cookie davvero speciali. Si prepara mescolando formaggio spalmabile, latte, zucchero a velo e un tocco di vaniglia, fino a ottenere una crema vellutata. Stesa sui biscotti freddi, regala un contrasto perfetto tra dolcezza e freschezza, bilanciando l’intensità della cannella.

            Perché piacciono a tutti

            I cookie alla cannella sono facili da preparare, ma sanno di “fatto con amore”. Piacciono ai grandi per il loro sapore speziato e ai bambini per la consistenza morbida e burrosa. Sono perfetti da servire a colazione, come merenda o da regalare durante le feste: si conservano per diversi giorni in un contenitore ermetico, mantenendo intatta la loro fragranza.

            La cannella, oltre al profumo inconfondibile, apporta anche benefici naturali: contiene antiossidanti e ha proprietà digestive e riscaldanti, perfette per la stagione fredda.

            Un dolce che sa di casa

            In un’epoca di dolci elaborati e ingredienti esotici, questi biscotti ricordano la semplicità genuina della pasticceria casalinga. Bastano pochi ingredienti, un po’ di pazienza e la voglia di impastare per riempire la cucina di un profumo che sa di famiglia, ricordi e domeniche lente.

            Che li gustiate ancora tiepidi, con un velo di glassa, o li confezioniate come piccolo dono homemade, i cookie alla cannella restano un simbolo di dolcezza autentica: un abbraccio fragrante racchiuso in un biscotto.

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              Pandolce genovese: il dolce delle feste che racconta la Liguria

              Dalle origini nella Repubblica di Genova ai due impasti — alto e basso — oggi simboli del Natale ligure. La ricetta tradizionale e le curiosità storiche di uno dei dolci più antichi d’Italia.

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              Pandolce genovese

                Profuma di anice, agrumi e frutta candita, ed è uno dei dolci più rappresentativi del Natale italiano. Il pandolce genovese (o “pan döçe”) affonda le sue radici nella storia della Repubblica marinara, quando Genova era un porto ricco di spezie e commerci. Ancora oggi è immancabile sulle tavole liguri e al centro di una tradizione che si rinnova ogni dicembre.

                Le origini: un dono alla Repubblica

                Il pandolce nasce tra il XVI e il XVII secolo, periodo in cui la città era un crocevia di scambi tra Mediterraneo, Oriente e Nord Europa. L’impasto ricco, con uvetta, pinoli e spezie, ricalcava i dolci “da viaggio” diffusi nelle repubbliche marinare.

                Secondo alcune ricostruzioni storiche, fu il doge Andrea Doria a incoraggiare la creazione di un dolce simbolico che rappresentasse prosperità e buon auspicio. Per questo il pandolce veniva preparato soprattutto per Natale e consumato fino all’Epifania: doveva essere nutriente e ben conservabile, qualità indispensabili in un’epoca in cui gli ingredienti erano preziosi.

                Le due versioni: alto e basso

                Oggi il pandolce esiste in due varianti:

                Pandolce alto

                È il più antico. Si prepara con lievito madre o lievitazione lunga; risulta più soffice, simile a un pane brioche. Richiede tecniche più impegnative e diverse ore di riposo.

                Pandolce basso

                È l’evoluzione ottocentesca — più moderna — nata con l’introduzione del lievito chimico. È friabile, compatto e ricorda quasi una frolla morbida. È quello più diffuso nelle case, perché semplice da realizzare.

                Entrambe le versioni prevedono ingredienti ricorrenti: uvetta, pinoli, cedro candito, zibibbo o acqua di fiori d’arancio.

                La tradizione del “taglio del pandolce”

                In molte famiglie liguri è ancora viva la consuetudine che il membro più giovane della casa porti il pandolce in tavola, mentre il capofamiglia ne taglia la prima fetta, riservandola a un ospite inatteso o ai più poveri. Una ritualità che celebra ospitalità e condivisione.

                La ricetta del pandolce genovese (versione bassa tradizionale)

                Ingredienti (per un pandolce da 1 kg circa)

                • 500 g di farina 00
                • 150 g di zucchero
                • 150 g di burro morbido
                • 2 uova
                • 150 g di uvetta ammollata
                • 80 g di pinoli
                • 120 g di cedro candito o misto canditi
                • 1 bustina di lievito per dolci
                • 1 cucchiaio di acqua di fiori d’arancio o scorza grattugiata di arancia
                • 1 cucchiaio di semi di finocchio o anice (facoltativo, tipico di alcune zone)
                • 1 pizzico di sale

                Procedimento

                1. Ammollare l’uvetta
                  Mettete l’uvetta in acqua tiepida per circa 15 minuti, poi strizzatela bene.
                2. Preparare l’impasto
                  In una ciotola lavorate il burro con lo zucchero fino a ottenere una crema chiara. Unite le uova una alla volta, mescolando.
                3. Aggiungere gli aromi
                  Incorporate l’acqua di fiori d’arancio (o la scorza), i semi di anice e un pizzico di sale.
                4. Unire la farina
                  Aggiungete la farina setacciata insieme al lievito. Amalgamate fino a ottenere un impasto morbido ma modellabile.
                5. Inserire frutta e pinoli
                  Incorporate uvetta, canditi e pinoli distribuendoli uniformemente.
                6. Dare la forma
                  Create una pagnotta rotonda e incidete una croce superficiale sulla sommità: è il segno distintivo del pandolce tradizionale.
                7. Cottura
                  Cuocete in forno statico a 170 °C per circa 45–50 minuti. Se la superficie scurisce troppo, coprite con carta forno.
                8. Raffreddamento
                  Lasciate raffreddare completamente: il pandolce migliora dopo qualche ora, quando gli aromi si assestano.

                Un patrimonio gastronomico che resiste al tempo

                Il pandolce genovese continua a essere un ambasciatore della tradizione ligure, apprezzato anche fuori regione e spesso inserito nei prodotti tipici tutelati dalle associazioni locali. Tra i dolci natalizi italiani, è uno dei pochi ad avere una storia documentata che attraversa secoli, commerci e culture.

                Prepararlo in casa significa portare in tavola un pezzo di storia, oltre che un profumo inconfondibile di festa. È il sapore del Natale ligure, immutabile e rassicurante, che ogni anno conquista nuove generazioni.

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