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Cucina

Tonno in scatola, cosa ci arriva nel piatto?

Il tonno in scatola è un alimento versatile e nutriente, ideale per una dieta equilibrata. La qualità del prodotto finale dipende da vari fattori, tra cui il tipo di tonno utilizzato, il metodo di conservazione, e il processo di lavorazione. Scegliendo tonno di alta qualità e conoscendo i metodi di conservazione e preparazione, è possibile gustare un prodotto delizioso e salutare.

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    Con l’arrivo dell’estate sono iniziati anche i pranzi freddi e le preparazioni di insalate per tutti i gusti nelle quali il tonno non può mancare. Ma qual è la parte di questo pesce che si presta di più a essere inscatolato mantenendo inalterate le sue proprietà gustative e salutari?

    Quello che usiamo tutti i giorni viene da più lontano…

    Il tonno in scatola viene selezionato in base alla qualità e alla parte del pesce utilizzata. Le parti migliori per la conservazione sono diverse e spaziano dal Tonno Bianco (Albacore) preferito per la sua carne chiara e saporita e per questo considerato tra i migliori in scatola. C’è poi il Tonno Pinne Gialle (Yellowfin) che ha una carne più scura e saporita e viene utilizzato per le scatolette di alta qualità e più costose. Quindi abbiamo il Tonno Skipjack (Tonnetto striato) che è il tipo più comune e accessibile, utilizzato nelle scatolette standard.

    Meglio sott’olio o naturale?

    Naturalmente la scelta tra quello sott’olio e quello al naturale dipende dai gusti e dalle preferenze personali e dalle esigenze dietetiche. Quello sott’olio, spesso conservato in olio di oliva, ha un sapore più ricco e una texture più morbida. È ideale per insalate e piatti dove l’olio può essere utilizzato come condimento. Quello al naturale, conservato in acqua o salamoia, è più leggero e meno calorico. È preferito da chi cerca un’opzione più salutare e con meno grassi.
    Il tonno in scatola è una fonte eccellente di proteine magre. Una porzione da 100 grammi al naturale contiene circa 25-30 grammi di proteine. È anche ricco di omega-3, vitamine del gruppo B, e minerali come il selenio.

    Quanto ce ne serve?

    Una porzione in scatola per pasto dovrebbe essere di circa 100-150 grammi per un adulto. Questa quantità fornisce una buona dose di proteine senza eccedere nelle calorie.

    Dove si pescano i tonni migliori

    Il Mar Mediterraneo è un buon bacino insieme all’Oceano Atlantico per la pesca del Tonno Rosso (Bluefin), considerato il re, tuttavia è raramente utilizzato per la produzione di tonno in scatola a causa del suo alto valore economico e dell’uso predominante nel sushi.
    Il Tonno Albacore viene pescato principalmente nel Pacifico e nell’Atlantico. È apprezzato per la sua carne bianca e delicata. Il Tonno Yellowfin si trova nelle acque tropicali di tutti gli oceani, ed è apprezzato per la sua carne compatta e saporita. Infine il Tonno Skipjack è il tipo più comune e viene pescato nelle acque tropicali di tutto il mondo. È la scelta principale per il tonno in scatola che usiamo tutti i giorni.

    Il lungo processo di lavorazione

    I tonni vengono pescati utilizzando metodi sostenibili come la pesca a canna o con reti speciali per minimizzare l’impatto ambientale. Una volta pescati, i tonni vengono immediatamente refrigerati e trasportati agli stabilimenti di lavorazione. Qui vengono puliti, eviscerati e tagliati. Le parti migliori vengono selezionate per la lavorazione in scatola. I tranci vengono cotti a vapore o bolliti per preservare il sapore e le proprietà nutrizionali. Dopo la cottura, i tranci vengono inseriti nelle scatolette insieme a olio, acqua o salamoia. Le scatolette vengono poi sigillate ermeticamente e sterilizzate per garantire la sicurezza alimentare e la lunga conservazione.

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      Cucina

      Frico friulano: la tradizione croccante che racconta il cuore del Friuli

      Patate, formaggio Montasio e una cottura lenta che diventa arte: ecco la storia, gli ingredienti e il metodo autentico per preparare il vero frico friulano.

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      Frico friulano

        Il frico friulano di patate è uno dei simboli gastronomici del Friuli-Venezia Giulia, una ricetta che racchiude artigianalità, sostenibilità e memoria contadina. Oggi è un piatto diffuso in trattorie, sagre e tavole di tutta la regione, ma la sua storia affonda le radici nelle malghe carniche, dove i malgari utilizzavano gli scarti dei formaggi stagionati per creare un piatto nutriente, caldo e poco costoso.
        Il primo riferimento scritto al frico risale al XV secolo nel De arte coquinaria del Maestro Martino da Como, che descriveva un piatto composto da formaggi fritti e “ristretti” in padella. Nel tempo la versione più popolare è diventata quella con patate e Montasio, oggi riconosciuta come la più tipica.

        A differenza del “frico morbido”, quello croccante – frico di patate – punta sull’effetto dorato, con una crosticina saporita e un cuore filante. Una ricetta povera che, grazie alla sua bontà, ha superato secoli e confini, fino a diventare un orgoglio gastronomico friulano.

        Ingredienti per 4 persone

        • 600 g di patate a pasta gialla
        • 250 g di formaggio Montasio (meglio metà fresco e metà mezzano)
        • 1 cipolla piccola (facoltativa, ma tipica in molte zone della Carnia)
        • 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva oppure una noce di burro
        • Sale e pepe q.b.

        Procedimento

        1. Preparare gli ingredienti.
          Pelare le patate e grattugiarle grossolanamente. Fare lo stesso con il Montasio, utilizzando una grattugia a fori larghi. Se si usa la cipolla, affettarla finemente.
        2. Rosolare la base.
          In una padella antiaderente (meglio se di ferro), scaldare l’olio o il burro. Aggiungere la cipolla e cuocerla a fuoco dolce fino a quando diventa trasparente.
        3. Cuocere le patate.
          Unire le patate grattugiate, salare leggermente e lasciar cuocere per 10–12 minuti mescolando spesso, finché iniziano ad ammorbidirsi.
        4. Aggiungere il formaggio.
          Quando le patate risultano morbide, distribuire il Montasio sopra e cominciare a mescolare con calma: il formaggio si scioglierà creando una massa uniforme.
        5. Formare il frico.
          Compattare il composto e lasciarlo cuocere senza toccarlo per ottenere una crosta dorata. Occorrono 6–8 minuti.
          Poi, aiutandosi con un piatto, girare il frico come una frittata e ripetere la cottura sull’altro lato.
        6. Servire caldo.
          Il frico deve risultare esternamente croccante e internamente filante. Tradizionalmente si serve con polenta, insalata o verdure di stagione.

        Origini e tradizione

        Il frico è considerato uno dei piatti identitari del Friuli-Venezia Giulia, soprattutto della zona della Carnia. Veniva preparato dai pastori nelle malghe d’alta quota durante i mesi estivi, quando la produzione di formaggio era al massimo.
        L’uso del Montasio non è casuale: questo formaggio DOP, nato nel XIII secolo nei monasteri delle Alpi Giulie, era perfetto per essere utilizzato fresco o stagionato e si prestava benissimo alla cottura.

        Il frico rappresenta uno dei primi esempi di cucina antispreco: si recuperavano ritagli di formaggio e patate, ingredienti economici e facilmente reperibili. Oggi è un piatto celebrato nelle sagre, come la Sagra del Frico di Carpacco, e continua a essere una delle ricette più richieste nel territorio.

        Un piatto che unisce semplicità e autenticità

        Il frico friulano è molto più di un disco croccante: è un piatto che parla di vita in montagna, di economia domestica, di ricette tramandate nelle famiglie.
        La sua popolarità non smette di crescere grazie alla sua versatilità e alla combinazione irresistibile di formaggio filante e patate dorate.

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          Cucina

          Strudel di mele: storia, tradizione e la ricetta autentica del grande classico dell’Alto Adige

          Dalle antiche influenze dell’Impero Ottomano fino alle tavole dell’Europa alpina: lo strudel è un viaggio nel tempo che profuma di mele, cannella e cultura gastronomica.

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          Strudel di mele

            Lo strudel di mele è uno dei dolci più rappresentativi dell’Alto Adige e, più in generale, dell’area mitteleuropea. La sua fama va ben oltre le montagne italiane: Austria, Germania, Ungheria e molti Paesi dell’Est lo considerano parte integrante del loro patrimonio culinario. Ma lo strudel non è nato tra i meleti dell’Adige: la sua origine affonda in un passato sorprendente, fatto di contaminazioni e scambi culturali.

            Dalle corti ottomane alle Alpi: un dolce in viaggio

            Lo strudel, nella sua forma attuale, deriva da un dolce molto più antico: il baklava, specialità unica della tradizione mediorientale e balcanica. Fu durante l’espansione dell’Impero Ottomano — tra il XVI e XVII secolo — che ricette simili al baklava raggiunsero l’Europa centrale. Gli austriaci le reinterpretarono sostituendo gli ingredienti più ricchi (come miele e frutta secca) con materie prime locali, in particolare le mele, abbondanti nella regione alpina.

            Il primo documento scritto che cita lo “strudel” risale al 1696 e si trova negli archivi della Biblioteca di Vienna. Da lì, il dolce si diffuse rapidamente nelle cucine borghesi e poi in quelle popolari, diventando un simbolo della tradizione contadina dell’Alto Adige, dove l’incontro tra culture germaniche e italiane ha plasmato un’identità unica anche nel cibo.

            La ricetta tradizionale dello Strudel di mele

            Di strudel esistono oggi tantissime varianti: con pasta tirata, pasta sfoglia, uvetta ammollata nel rum, pangrattato tostato nel burro o frutta secca. La ricetta che segue si ispira alla versione classica altoatesina, quella che meglio conserva l’autenticità storica pur essendo alla portata di ogni cucina domestica.

            Ingredienti (per 6–8 porzioni)

            Per la pasta tirata:

            • 250 g di farina 00
            • 1 uovo
            • 30 g di olio di semi
            • 1 pizzico di sale
            • 100 ml circa di acqua tiepida

            Per il ripieno:

            • 1 kg di mele (preferibilmente Renetta o Golden)
            • 80 g di zucchero
            • 60 g di uvetta
            • 40 g di pinoli (opzionali ma tradizionali)
            • 1 cucchiaino di cannella
            • Succo di mezzo limone
            • 40 g di pangrattato
            • 40 g di burro

            Per la finitura:

            • Burro fuso q.b.
            • Zucchero a velo q.b.

            Procedimento

            1. Preparate la pasta tirata

            Impastate farina, uovo, olio e sale, aggiungendo l’acqua poco alla volta fino a ottenere un composto elastico. Lavoratelo almeno 10 minuti: la caratteristica dello strudel è proprio la sua pasta sottilissima. Formate una palla, copritela e lasciate riposare 30 minuti.

            2. Preparate il ripieno

            Sbucciate le mele, tagliatele a fettine sottili e mescolatele con zucchero, cannella, uvetta ammollata e strizzata, pinoli e succo di limone. Fate fondere il burro in padella e tostate il pangrattato fino a doratura: servirà ad assorbire l’umidità del ripieno, come vuole la tradizione.

            3. Stendete la pasta

            Stendete la pasta prima con il mattarello, poi con le mani, su un canovaccio infarinato. Deve diventare quasi trasparente, tanto da poter leggere un giornale attraverso: è il segno della corretta elasticità.

            4. Assemblate e arrotolate

            Distribuite il pangrattato tostato sulla pasta, lasciando un bordo libero, poi aggiungete il ripieno di mele. Aiutandovi con il canovaccio, arrotolate delicatamente lo strudel. Sigillate bene le estremità.

            5. Cottura

            Adagiate il rotolo su una teglia con carta da forno, spennellate con burro fuso e cuocete in forno a 180°C per 40–45 minuti, finché sarà dorato.

            6. Servizio

            Lasciate intiepidire e spolverate con zucchero a velo. È perfetto servito con crema alla vaniglia o gelato fiordilatte.

            Un dolce che racconta una storia

            Lo strudel di mele è molto più di una ricetta: è il simbolo dell’incontro tra culture, della capacità del cibo di migrare, trasformarsi e radicarsi altrove. Oggi rappresenta una delle specialità più amate dell’Alto Adige, dove ogni famiglia conserva la propria versione tramandata da generazioni.

            Prepararlo in casa significa riportare nella propria cucina un pezzo di storia europea, fatta di profumi antichi e gesti pazienti — gli stessi che, secoli fa, hanno dato vita a uno dei dolci più iconici e rassicuranti della tradizione alpina. Buon viaggio… e buon strudel.

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              Cucina

              Natale a tavola: il grande viaggio nei sapori dell’Italia, da Nord a Sud

              Cenone di magro, pranzo del 25, dolci della tradizione, pesci rituali e primi piatti d’altri tempi: un mosaico gastronomico che racconta la storia delle comunità e le identità locali.

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              Natale a tavola

                La mappa del gusto delle feste

                In Italia non esiste un solo “menu di Natale”. Il Paese, con le sue mille culture e storie regionali, celebra le feste attraverso una straordinaria varietà gastronomica. Al Centro e al Sud la cena più importante è quella della Vigilia, consumata rigorosamente “di magro”, mentre in gran parte del Nord l’appuntamento cruciale è il pranzo del 25 dicembre.
                A cambiare non sono soltanto gli orari, ma anche gli ingredienti, le modalità di preparazione e persino il simbolismo dei piatti. In comune rimangono solo alcune certezze: la frutta secca, considerata beneaugurante, e i dolci iconici come panettone e pandoro.

                Le tradizioni del Nord: sapori forti e cotture lunghe

                Sulle tavole della Valle d’Aosta si celebra la carne, con la carbonade — manzo stufato nel vino rosso — a rappresentare uno dei piatti più identitari del periodo. Non mancano sfiziosità come i crostini al miele, accompagnati da salumi locali di capra e pecora.

                In Piemonte le feste significano agnolotti e bollito misto, servito con le salse tradizionali come bagnet verd e bagnet ross. In Liguria, invece, prevale la leggerezza del mare: ravioli di pesce, verdure e il celebre cappon magro, un imponente piatto di pesce e ortaggi stratificati.

                La Lombardia custodisce una tradizione inaspettata: l’anguilla, spesso cotta al cartoccio, protagonista della Vigilia in molte famiglie. In Veneto convivono polenta e baccalà mantecato, mentre il lesso con le salse rimane un must del 25 dicembre.

                In Friuli Venezia Giulia il freddo invernale porta in tavola la brovada e muset, rape macerate nella vinaccia servite con cotechino. In Trentino-Alto Adige il Natale profuma di canederli, capriolo e strudel, ma anche del ricco zelten, un pane dolce a base di frutta secca e canditi.

                Il Centro Italia: tra pasta ripiena, pesce e arrosti importanti

                L’Emilia Romagna è da sempre regina della pasta fresca: tortellini, passatelli e lasagne sono i protagonisti assoluti del pranzo del 25. Tuttavia, esistono zone come Modena dove la Vigilia è da tradizione “di pesce”, con spaghetti a base di tonno, sgombro e acciughe.

                Nel Lazio il 24 dicembre porta in tavola baccalà fritto, fritto misto di verdure e il simbolico capitone. A Roma non mancano piatti storici come la minestra di pesce, la pasta e broccoli in brodo di arzilla e gli spaghetti con le alici. A Natale si passa alla carne: abbacchio al forno, cappelletti in brodo e bollito misto sono riti tramandati di generazione in generazione.

                In Toscana si aprono le danze con i crostini ai fegatini e si prosegue con arrosti di faraona, anatra o cappone ripieno. Nelle Marche dominano i maccheroncini di Campofilone, mentre in Umbria spiccano i cappelletti ripieni spesso anche di cappone e piccione.

                In Abruzzo il pranzo si arricchisce di agnello arrosto, lasagne e zuppe. Imperdibili i caggionetti, dolcetti fritti ripieni di castagne o mandorle.

                Il Sud: trionfo di mare, frattaglie rituali e dolci sorprendenti

                La Campania accoglie il Natale con un patrimonio gastronomico ricchissimo. La Vigilia è dominata dal pesce: spaghetti alle vongole, insalata di rinforzo e naturalmente il capitone, scelto per un’antica tradizione simbolica che lo associa alla vittoria sul male. Il 25 dicembre si passa a zuppe, struffoli, roccocò e molta frutta secca.

                In Basilicata le feste portano in tavola zuppe di verdure come scarole e cardi in brodo di tacchino, oltre al baccalà lesso e alle scarpedde, sfoglie fritte ricoperte di miele. In Calabria si celebrano salumi e primi semplici ma saporiti come spaghetti con mollica e alici, oltre al pesce stocco e al capretto accompagnato da broccoli tipici.

                La Puglia porta sulle tavole pettole, frittelle che possono essere salate o dolci, oltre all’anguilla arrostita e al baccalà fritto. L’agnello al forno con i lampascioni rappresenta una delle ricette più identitarie.

                Le isole: tra pasta ripiena, mare e dolci storici

                In Sardegna i culurgiones e i malloreddus dominano la tavola natalizia, mentre in Sicilia i profumi sono quelli di arance, aringhe, pasta con le sarde e beccafico. Lo sfincione è un must delle feste, così come i dolci: buccellati, cassate e cannoli.

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