Lifestyle
Domanda: quand’è che vi sentite anziani? Risposta: mai!
«A che età ti considererai anziano?». Ve lo dice uno studio dei ricercatori delle Università di Berlino, del Lussemburgo e della Stanford University degli Stati Uniti diretti da Wettstein Markus appena pubblicato su Psychology and Aging e condotto per 12 anni su oltre 14mila persone ricavate dal database del German Centre of Gerontology.
Quando ci si considera anziani è una questione soggettiva che può variare da persona a persona. Una volta, quando ero un bambino, una persona della mia età oggi (compio 70 anni in giugno), praticamente era considerato con “un piede nella fossa“. Esagero, ma non tanto. C’erano persone di 60 anni che assumevano atteggiamenti di vita tristi, di persone che si avvicinavano verso la fine. Oggi è tutto diverso. Per mia e vostra fortuna.
Età percepita? Forever young
E’ stato presentato uno studio condotto delle Università di Berlino, del Lussemburgo e della Stanford University degli Stati Uniti diretti da Wettstein Markus. Lo studio pubblicato su Psychology and Aging è stato condotto per 12 anni su oltre 14mila persone ricavate dal database del German Centre of Gerontology. I dati hanno rilevato che l’età percepita come quella in cui ci si sente anziani sta ritardando nel tempo, in parte grazie al miglioramento della qualità della vita e all’aumento dell’aspettativa della stessa.
Io, un boomer in attesa di giudizio
Ad esempio, i “boomers“, cioè coloro nati tra la seconda metà degli anni ’40 e gli anni ’70, percepiscono l’età della vecchiaia intorno ai 74 anni. Questo è un cambiamento rispetto alle generazioni precedenti. Per esempio, chi è nato nel 1911 considerava di essere anziano già a 71 anni. In media, l’età percepita della vecchiaia sembra aumentare di circa un anno ogni 4-5 anni di invecchiamento reale.
… e la vecchiaia? E’ in ritardo
Ci sono diversi fattori che contribuiscono a questo ritardo nella percezione della vecchiaia. Innanzitutto, l’aumento dell’aspettativa di vita e il miglioramento della salute giocano un ruolo importante. Anche l’età pensionabile più tardiva e il miglior funzionamento psicosociale dopo il pensionamento possono influenzare la percezione dell’età anziana. Esiste anche una differenza di genere nella percezione della vecchiaia, con le donne che in media la ritardano di circa 2 anni rispetto agli uomini.
Quando si vive soli arriva prima
La sensazione di solitudine può accelerare la percezione della vecchiaia, mentre il supporto sociale e l’autocompassione possono ritardarla. L’autocompassione, che è la gentilezza verso se stessi in momenti di difficoltà, può influenzare positivamente la percezione dell’età anziana.
Compassione e legami sociali aiutano
La percezione dell’età anziana è influenzata da una serie di fattori, inclusi cambiamenti sociali, miglioramenti nella salute e nel benessere, nonché il supporto sociale e l’autocompassione. Essere compassionevoli con se stessi e mantenere un forte legame sociale possono contribuire a invecchiare in modo più positivo e soddisfacente.
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Lifestyle
L’albero di Natale, una storia lunga secoli: come è nata la tradizione che illumina le nostre case
Oggi fa parte della magia dell’8 dicembre e delle feste natalizie, ma l’usanza di addobbare un albero ha radici antichissime, tra riti pagani e devozione cristiana.
Quando arriva dicembre, l’atmosfera cambia: in quasi tutte le case prende posto un albero decorato, luci scintillanti e ornamenti colorati che segnano l’inizio del periodo più atteso dell’anno. È un gesto diventato naturale, quasi scontato, ma che custodisce una storia affascinante, ricca di simboli, culti antichi e tradizioni popolari.
Le radici pagane: l’albero come simbolo di vita
Molto prima di essere legato al Natale, l’albero sempreverde era un segno di vita che resiste all’inverno. Nelle culture del Nord Europa, druidi e popolazioni germaniche decoravano abeti e rami di agrifoglio per celebrare il solstizio d’inverno: un rituale che evocava la rinascita del sole e la fine dell’oscurità.
L’albero verde, anche nel freddo più intenso, ricordava che la natura non muore mai: era il tramite tra l’uomo e il divino, tra Terra e Cielo.
Il passaggio al cristianesimo
Con la diffusione del cristianesimo, molte usanze pagane vennero reinterpretate. L’albero divenne simbolo dell’Eden, del legno della Croce e della speranza nella salvezza. In alcune comunità medievali si metteva in scena l’“Albero del Paradiso” l’8 dicembre, festa di Adamo ed Eva nel calendario liturgico dell’epoca: era un abete addobbato con mele e ostie per ricordare la caduta e la redenzione dell’uomo.
Questo gesto scenico rappresenta uno dei primi antenati diretti del nostro albero di Natale.
La leggenda di Martin Lutero e le luci sull’abete
Una delle storie più celebri racconta che sia stato Martin Lutero, nel XVI secolo, a introdurre le luci sull’albero. Di ritorno da una passeggiata invernale, incantato da un cielo pieno di stelle tra i rami degli abeti, avrebbe portato a casa un albero e lo avrebbe illuminato con piccole candele. Un modo per raccontare ai figli la bellezza del creato e la luce di Cristo nel mondo.
Non ci sono prove certe di questo episodio, ma la tradizione delle candele sull’albero si diffuse rapidamente nei paesi protestanti di Germania e Scandinavia.
Dal Nord Europa al resto del mondo
Fu proprio la Germania, tra XVII e XIX secolo, la culla dell’albero di Natale moderno: addobbi, dolci appesi ai rami, figurine, ghirlande. La tradizione viaggiò poi in tutta Europa grazie ai matrimoni reali e agli scambi culturali. A Londra divenne celebre quando nel 1841 la regina Vittoria e il principe Alberto — di origini tedesche — ne esposero uno a Buckingham Palace: la moda contagió tutta la società britannica e, da lì, gli Stati Uniti.
Con l’arrivo dell’Ottocento industriale, fecero la loro comparsa le palline in vetro e i primi ornamenti prodotti in serie, trasformando l’albero in un vero rituale familiare.
L’albero in Italia
Nel nostro Paese la tradizione si affermò con decisione nel Novecento, soprattutto nel secondo dopoguerra. Oggi è simbolo della festa tanto quanto il presepe, e in molte famiglie viene decorato proprio l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata: un momento che unisce religione, festa e convivialità.
Nelle piazze italiane — da Milano a Palermo — l’accensione dell’albero è un evento pubblico aspettato e condiviso, capace di portare luce e comunità durante l’inverno.
Un rito che si rinnova ogni anno
Che sia vero o artificiale, minimale o ricco di addobbi, l’albero di Natale è diventato parte del nostro modo di vivere la festività: riempie le case di colori, richiama profumi dell’infanzia e ci fa ritrovare, anche solo per un attimo, il senso di calore e meraviglia.
Dietro quelle luci che brillano c’è un viaggio millenario, fatto di simboli e storie intrecciate. Un gesto semplice che continua a unire generazioni e culture, ricordandoci che — proprio come l’abete sempreverde — anche nei giorni più freddi possiamo conservare un po’ di luce e di speranza.
Cucina
Sfincette dell’Immacolata: la dolce tradizione siciliana che apre le feste
L’8 dicembre, in Sicilia, il profumo di cannella invade le case: piccole frittelle soffici e dorate celebrano l’inizio del periodo natalizio.
In Sicilia, l’attesa del Natale si apre con un profumo: quello caldo e avvolgente delle sfincette dell’Immacolata, frittelle soffici passate nello zucchero e nella cannella. L’8 dicembre, quando si celebra la festa dell’Immacolata Concezione, questo dolce arriva sulle tavole di molte famiglie siciliane come segno di buon auspicio e inizio delle festività.
La tradizione delle sfincette — chiamate in alcuni luoghi anche “zeppole dell’Immacolata” — affonda le sue radici nella cucina popolare dell’isola. Il termine “sfincia” deriverebbe dal latino spongia (spugna), a sottolineare la consistenza morbida e ariosa dell’impasto. Un dolce povero, nato da ingredienti semplici: farina, acqua, lievito e un tocco ingegnoso della tradizione agricola siciliana, la patata lesse aggiunta per rendere l’impasto ancora più soffice.
Un rito domestico che profuma di famiglia
Prepararle è molto più di una semplice ricetta: è un momento condiviso, spesso affidato alle nonne, custodi di segreti tramandati di generazione in generazione. La pasta viene fatta lievitare e poi “gettata” nell’olio bollente in cucchiaiate che diventano morbide palline dorate. Ancora calde, vengono rotolate nello zucchero profumato alla cannella: una festa per occhi, naso e palato.
Le sfincette sono amate dai grandi e dai più piccoli, perfette per concludere il pranzo dell’Immacolata o per una merenda che sa di casa. E una tira l’altra: resistere è praticamente impossibile.
La ricetta autentica delle Sfincette dell’Immacolata
Ingredienti per l’impasto
- 300 g di farina 00
- 300 ml di acqua a temperatura ambiente
- 140 g di patate lesse e schiacciate
- 8 g di lievito di birra fresco
- 1 pizzico di sale
Per la finitura
- Zucchero semolato
- Cannella in polvere
Procedimento
- Sciogliere il lievito
In una ciotola o bicchiere, stemperate il lievito nell’acqua e mescolate fino a farlo dissolvere. - Preparare la pastella
In una ciotola capiente unite farina e patate ridotte in purea. Versate a filo l’acqua con il lievito e aggiungete il sale. Con una forchetta o una frusta lavorate fino a ottenere un composto morbido, liscio e senza grumi. - Lievitazione
Coprite la ciotola con pellicola alimentare e lasciate riposare circa un’ora in forno spento con luce accesa, finché l’impasto raddoppia. - Frittura
Scaldate abbondante olio di semi in un pentolino. Prelevate cucchiaiate di pastella e tuffatele nell’olio bollente. Le sfincette si gonfieranno immediatamente: rigiratele finché risulteranno dorate uniformemente. - Zucchero e cannella
Scolatele su carta assorbente, poi, ancora calde, rotolatele nel mix di zucchero e cannella. Procedete così fino a terminare l’impasto.
La festa che prepara alla festa
Nelle città e nei piccoli borghi siciliani, l’Immacolata non è solo un giorno di festa religiosa: è la scintilla che accende l’atmosfera natalizia. Tra presepi che iniziano a prendere vita e luminarie che si accendono, il dolce ruolo delle sfincette è proprio quello di inaugurare ufficialmente le celebrazioni.
Un gesto semplice, un sapore antico e un simbolo di comunità: basta un morso a una sfincetta per sentire che il Natale è davvero iniziato.
Animali
Quando il cane diventa adulto: segnali, tempi e consigli per affrontare l’adolescenza canina
Capire quando termina davvero l’adolescenza del cane aiuta a gestire meglio questa fase cruciale e a costruire un rapporto sereno e duraturo con il proprio compagno a quattro zampe.
L’adolescenza canina è un periodo complesso, una sorta di “terra di mezzo” in cui il cucciolo non è più tale, ma non è ancora un adulto stabile ed equilibrato. Come accade negli esseri umani, anche nei cani questa fase è scandita da cambiamenti fisici, ormonali e comportamentali che influenzano profondamente il loro modo di reagire al mondo. Riconoscere i segnali della crescita e capire quando il cane ha raggiunto la maturità può aiutare a prevenire incomprensioni e a impostare un’educazione più efficace.
Il corpo che cambia: i segnali fisici della maturità
Uno dei primi indicatori dell’ingresso nell’età adulta è il completamento della crescita corporea. Le tempistiche variano sensibilmente in base alla taglia: le razze piccole tendono a raggiungere la maturità fisica già intorno ai 10-12 mesi, mentre quelle medie e grandi possono impiegare dai 18 ai 24 mesi, con alcune razze giganti che maturano anche più tardi.
Quando l’aumento di peso e altezza si stabilizza, significa che il cane ha completato la fase di sviluppo più intenso.
Un altro segnale evidente è la dentatura definitiva. I denti da latte lasciano progressivamente il posto a quelli permanenti già intorno ai 5-7 mesi, ma la struttura mascellare continua a completarsi nel corso dell’adolescenza. Una bocca completa e stabile indica che il cane ha superato una tappa essenziale della crescita.
Dal caos alla calma: i comportamenti che segnano la fine dell’adolescenza
Molti proprietari conoscono bene il carattere “ribelle” dei cani adolescenti: improvvisi picchi di energia, disobbedienza selettiva, difficoltà di concentrazione. Questo accade perché il cervello è ancora in formazione, soprattutto le aree legate al controllo degli impulsi.
Quando il cane si avvicina alla maturità, questi comportamenti iniziano a ridursi. Il cane appare più sereno, reattivo ai comandi e capace di mantenere l’attenzione durante l’addestramento. Anche episodi legati allo stress — come marcature eccessive o eliminazioni in casa — diventano più rari.
Non si tratta solo di “buona educazione”, ma di un vero cambiamento neurobiologico che permette al cane di gestire meglio emozioni e stimoli esterni.
Come accompagnare il cane attraverso l’adolescenza
Affrontare questa fase richiede un mix di pazienza, costanza e strategie mirate. Gli esperti concordano su alcuni punti chiave:
- Routine di addestramento coerente: anche quando sembra che il cane ignori i comandi, la continuità aiuta a consolidare le buone abitudini.
- Stimoli mentali adeguati: giochi di problem solving, attività olfattive, esercizi cognitivi migliorano autocontrollo e concentrazione.
- Movimento quotidiano: le uscite regolari e l’attività fisica aiutano a sfogare l’energia in eccesso, prevenendo comportamenti distruttivi.
- Socializzazione controllata: interazioni positive con altri cani e ambienti nuovi contribuiscono a sviluppare sicurezza e stabilità emotiva.
Un percorso individuale
Non esiste un’età universale in cui il cane diventa adulto: ogni animale segue il proprio ritmo, influenzato da genetica, ambiente, esperienze e relazione con il proprietario. Alcuni cani raggiungono la stabilità già prima dei 12 mesi, altri impiegano due anni o più.
Ciò che conta davvero è osservare il cane, riconoscere i segnali del cambiamento e accompagnarlo con rispetto e consapevolezza. Con un supporto adeguato, anche il cucciolo più irruento può trasformarsi in un adulto equilibrato, collaborativo e felice — il compagno di vita che tutti desideriamo.
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