Lifestyle
La dittatura dello smartphone: l’allarme degli esperti sulla salute dei giovani
Nel suo ultimo saggio, il medico e scienziato Miguel Ángel Martínez-González mette in guardia contro gli effetti devastanti dei social e dell’uso eccessivo del cellulare tra gli adolescenti.

Nel 2010 Steve Jobs dichiarò al New York Times di aver imposto ai propri figli regole severe sull’uso della tecnologia, arrivando persino a proibire loro l’iPad, fiore all’occhiello della sua stessa azienda. Anche Bill Gates adottò misure simili: niente telefoni a tavola e smartphone regalati solo in età più avanzata. Due pionieri dell’innovazione che, pur avendo contribuito a plasmare l’era digitale, erano consapevoli del rischio che i dispositivi potessero trasformarsi in strumenti di dipendenza.
Quindici anni dopo, il quadro delineato dalla scienza appare ancora più preoccupante. Nel volume La dittatura dello smartphone (Tre60, €15,90), Miguel Ángel Martínez-González, medico ed epidemiologo di fama internazionale, denuncia come l’uso compulsivo dei cellulari e dei social stia compromettendo in modo tangibile la salute mentale dei giovani. «Non conosco uno psichiatra che non sia spaventato da ciò che osserva quotidianamente negli adolescenti», scrive l’autore.
Gli studi raccolti nel libro evidenziano un meccanismo preciso: i social media si basano sul principio della “ricompensa variabile”, lo stesso che regola il gioco d’azzardo. Scrollare, postare e ricevere like innesca il rilascio di dopamina, neurotrasmettitore legato al piacere e alla gratificazione. È il carburante della FOMO (Fear Of Missing Out), la paura di restare esclusi, che tiene incollati gli utenti agli schermi.
Le conseguenze, elencate da Martínez-González, sono gravi: ansia, stress, deficit dell’attenzione, insonnia, depressione e pensieri suicidari. Un fenomeno che non riguarda soltanto l’adolescenza, ma che colpisce anche bambini e adulti. Il medico individua in particolare i “sette peccati capitali dei social”: riduzione del sonno, iper-esposizione a contenuti violenti e pornografici, perdita di concentrazione, dipendenza crescente e impoverimento delle relazioni reali.
Non mancano, però, le proposte per arginare il problema. L’autore suggerisce un vero e proprio percorso di disintossicazione digitale familiare, fondato su dodici regole pratiche: stabilire orari di “coprifuoco” digitale, spegnendo e riponendo i dispositivi in un luogo comune; vietare i cellulari in camera da letto e a tavola; non dare l’esempio sbagliato utilizzando lo smartphone mentre si parla con i figli. «Non c’è predica che tenga se i genitori non sono coerenti: l’autorevolezza nasce dal buon esempio», sottolinea Martínez-González.
Il libro invita a negoziare regole condivise: niente imposizioni unilaterali, ma patti in cui i ragazzi possano ottenere in cambio esperienze o oggetti desiderati – dallo sport alle vacanze – in cambio del rispetto delle limitazioni digitali. Un approccio che punta a responsabilizzare senza demonizzare.
Sul piano istituzionale, il medico lancia un monito: vietare l’uso dei social agli under 16 e la vendita di smartphone connessi ai minori di 18 anni, equiparandoli ad alcol e tabacco. Una proposta estrema, ma che riflette la gravità della situazione. Intanto in Italia, pedagogisti come Daniele Novara e psicoterapeuti come Alberto Pellai hanno promosso petizioni per vietare il cellulare prima dei 14 anni.
Il fenomeno del “vamping”, cioè l’uso notturno dei dispositivi che compromette il sonno, riguarda ormai tre adolescenti su quattro. Le conseguenze sono evidenti: scarso rendimento scolastico, maggiore vulnerabilità alla depressione, fragilità fisica ed emotiva.
Per Martínez-González non c’è più tempo da perdere: «Se i governi non interverranno con misure strutturali a tutela dei minori, sarà una grave negligenza verso la salute pubblica». Nel frattempo, la prima linea di difesa resta nelle mani delle famiglie, chiamate a dimostrare coerenza, fermezza e, soprattutto, capacità di ascolto.
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Animali
Finalmente arriva una legge che tutela gli animali domestici
Il Senato approva definitivamente il ddl che inasprisce le pene per i reati contro gli animali. Un cambiamento epocale che li riconosce come esseri senzienti e rafforza la loro tutela.

Con il voto favorevole del Senato, l’Italia compie un passo decisivo nella difesa dei diritti degli animali. Il disegno di legge, già approvato dalla Camera, diventa ora definitivo e introduce pene più severe per chi li maltratta, sfrutta o abbandona. Si tratta di una riforma storica, che segna un netto cambio di paradigma. Fino ad oggi, la legislazione proteggeva gli animali in funzione del sentimento umano, ma con questa legge il loro benessere viene finalmente riconosciuto come un valore autonomo. Il cuore del provvedimento è l’inasprimento delle pene per i crimini contro gli animali. La reclusione per maltrattamenti passa fino a 2 anni, l’uccisione può costare fino a 4 anni di carcere e multe fino a 60.000 euro. Mentre i combattimenti tra animali saranno puniti con pene dai 2 ai 4 anni. Anche chi organizza spettacoli con sevizie vedrà le sanzioni raddoppiate.
Se maltratti gli animali ti confiscano la casa come ai mafiosi
La nuova normativa, però, non si ferma alle punizioni: introduce anche tutele cruciali per gli animali coinvolti in procedimenti penali. Viene vietato il loro abbattimento, garantendo la custodia fino al termine del processo. Inoltre, le associazioni animaliste potranno intervenire per chiedere una revisione dei sequestri, assicurandosi che gli animali vivano in condizioni dignitose. Grande attenzione è stata dedicata alla prevenzione. In caso di reati abituali, saranno applicate misure simili a quelle previste per la criminalità organizzata, con confische e sorveglianza speciale.
Basta catene e traffico illecito
La legge introduce anche nuovi divieti, come quello di tenere animali legati con catene, salvo casi certificati per motivi di salute o sicurezza. Il traffico illecito di animali sarà monitorato con maggiore tracciabilità, e viene vietato l’uso commerciale di pellicce di gatti domestici. Infine, per rafforzare il controllo e l’applicazione delle nuove norme, verrà creata una sezione dedicata nella banca dati delle forze dell’ordine, con un coordinamento più efficace tra le polizie per combattere questi reati.
Curiosità
Monkey, il gatto cleptomane che ha arricchito la sua padrona Megan
Monkey è un gatto della Cornovaglia che ruba ogni cosa e lo porta alla sua padrona MeganPer esempio? Un “gratta e vinci” da 14 mila euro.

Un gatto cleptomane della Cornovaglia, Inghilterra, sta diventando una piccola celebrità sui social. Monkey, questo il suo nome, torna ogni giorno a casa con un “dono” per la sua umana, Megan . Il suo bottino? Di tutto: da sacchetti vuoti di patatine a bustine di semi. Ma la vera sorpresa è arrivata quando Monkey ha riportato a casa un gratta e vinci già grattato, e per giunta risultato essere vincente.
Quattordicimila euro tra i canini del gatto
Inizialmente Megan pensava fosse solo spazzatura, ma ha scoperto che il biglietto valeva il doppio di quanto previsto: circa 14 euro. Nulla di straordinario, ma sicuramente un colpo di fortuna inaspettato! Il video dell’impresa felina naturalmente nel corso del tempo è diventato virale su TikTok (@meganchristiann), raccogliendo migliaia di commenti divertiti.
Monkey è diventato social tra divertimento e telecamere segrete
C’è chi scherza sul fatto che Monkey ripaghi i suoi debiti, mentre altri propongono di mettere una telecamera sul suo collare per svelare le sue misteriose incursioni. Megan, però, preferisce mantenere la sorpresa e continua a godersi le buffe avventure del suo gatto. Chi sa cosa Monkey porterà a casa la prossima volta!
Società
Heidi e Leni Klum: corsetti Intimissimi a Venezia tra glamour madre-figlia… e body-shaming sui social
Sul red carpet della Mostra del Cinema 2025, la modella e showgirl tedesco-americana ha sfoggiato un audace corsetto cipria firmato Intimissimi, affiancata dalla figlia Leni in nero. Un duetto elegante, ma travolto da commenti volgari sul suo corpo.

Sul celebre tappeto rosso della Mostra del Cinema di Venezia 2025, Heidi Klum è stata protagonista di un’entrata che non è passata inosservata. Vestita in un corsetto rosa cipria firmato Intimissimi, con una gonna asimmetrica in raso, ha incarnato il glamour sensuale del brand. Accanto a lei, la figlia Leni Klum – ventunenne e sempre più affermata nel mondo della moda – indossava un modello simile in nero, in perfetta sintonia madre-figlia.
Un’immagine pensata per celebrare la complicità familiare e la sintonia di stile, sullo sfondo della kermesse inaugurale del film La Grazia. Ma mentre i flash immortalavano il momento, sui social si è scatenata un’ondata di commenti ostili. Alcuni utenti hanno criticato l’abito considerandolo poco lusinghiero, con frasi come “è ingrassata”, “sembra incinta” o “body-shaming mascherato da opinione di moda”.
Fortunatamente la reazione dei fan non si è fatta attendere. In difesa di Heidi è intervenuta una consistente base di sostenitori, che hanno sottolineato come abbia un corpo “normale”, meriti rispetto e rappresenti un esempio di eleganza senza conformismo.
La scelta dell’abito corsetto, oltre che stilistica, era parte di un teen campaign madre-figlia per Intimissimi, già oggetto di polemiche in passato per la sua natura provocatoria. Leni non si è lasciata facilmente coinvolgere nella negatività, dichiarando di ignorare le critiche e di concentrarsi sulle reazioni positive.
Questa vicenda rappresenta un nuovo capitolo di uno scontro sociale molto attuale: da un lato, la libertà di espressione e autonomia estetica di donne adulte nel mostrare orgogliosamente il loro corpo; dall’altro, l’impietosa cultura online che tende a ridurre ogni scelta a un pretesto per giudicare e offendere.
In un’intervista recente, Heidi Klum ha affrontato la questione dell’immagine corporea con serenità, spiegando che la sua apertura è parte della sua educazione europea e del desiderio di crescere figli che non associno il corpo alla vergogna.
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