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L’autorevole Treccani si piega all’imbarbarimento della lingua italiana dei giovani

La nuova edizione del vocabolario più famoso inserisce nei suoi lemmi le nuove parole nate sul social TikTok. C’è chi festeggia il “nuovo che avanza”… ma sarà proprio così?

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    Termici che a molti potranno risultare oscuri, come delulu, demure e slayare: sono i nuovi termini diffusissimi su TikTok che entrano ufficialmente a far parte del vocabolario Treccani del 2024. Si tratta di cinque termini nati sulla piattaforma della cosiddetta Generazione Z, testimonianza di una trasformazione linguistica – per alcuni una vera e propria degenerazione verbale che riflette l’evoluzione culturale e creativa del digitale.

    Come i social influenzano il linguaggio

    In barba a cosa ne potrebbe pensare Dante, Petrarca o Alessandro Manzoni (che si premurò di risciacquare i personali “panni” in Arno), la collaborazione tra il social TikTok e Treccani conferma l’influenza della piattaforma social sulla nostra lingua italiana, con cinque nuovi termini che entrano ufficialmente nel celebre vocabolario.

    La lingua cambia

    Dopo il successo di BookTok nel 2023, sotto-comunità dell’app TikTok che si concentra sui libri e la letteratura, il 2024 celebra parole come creator, delulu, demure, POV e slayare, emblemi di un mondo culturale (o pseudo tale) che non mostra segni di rallentamento o, peggio, di nostalgia del passato.

    Ma cosa vogliono dire?!?

    Ogni parola rappreenta uno specifico aspetto della modernità, vediamole nel dettaglio.

    Creator – è il termine che si utilizza per parlare di chi crea contenuti originali per il web

    Delulu – fantasia irrealizzabile, tipica del linguaggio social

    Demure – parola che ironizza sugli atteggiamenti di eccessiva compostezza

    POV (Point Of View) – identifica video in soggettiva

    Slayare – un modo per celebrare prestazioni eccezionali, un nuovo modo di esprimere entusiasmo e ammirazione

    I vertici di TikTok e Treccani molto soddisfatti: contenti loro…

    Il direttore generale di Treccani, Massimo Bray, considera il bacino di TikTok come “un osservatorio privilegiato” per i cambiamenti linguistici. Grazie alla creatività della sua community, la piattaforma non solo crea e diffonde nuove parole, ma si attesta come uno strumento per narrare in maniera efficace una realtà in continuo mutamento. Gli fa eco Salvatore Di Mari, responsabile di TikTok Italia (potrebbe fare altrimenti?), sottolineando come il social rappresenti un incubatore di talenti e di innovazione, in grado di unire generazioni e trasformare idee in linguaggio condiviso.

    Così è, se vi pare…

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      Lifestyle

      Gomme da masticare: tra mito, marketing e realtà scientifica

      Le chewing gum senza zucchero possono contribuire alla prevenzione della carie, ma non sostituiscono spazzolino e filo interdentale. Ecco come sono nate, come si sono diffuse e quali benefici reali offrono.

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      Gomme da masticare: tra mito, marketing e realtà scientifica

        La gomma da masticare accompagna generazioni di consumatori da oltre un secolo, tra promesse di freschezza, denti più sani e persino minor stress. Ma, tra slogan pubblicitari sempre più convincenti e un mercato multimiliardario, è legittimo chiedersi: le chewing gum fanno davvero bene ai denti? La risposta, come spesso accade, non è un semplice sì o no.

        Un prodotto antichissimo diventato fenomeno moderno

        La storia della gomma da masticare comincia molto prima dell’era industriale. Resti archeologici indicano che già le popolazioni preistoriche masticavano resine di betulla per pulire i denti o calmare il mal di denti. Ma la forma moderna di chewing gum affonda le radici nel XIX secolo, quando negli Stati Uniti iniziarono a diffondersi prodotti a base di chicle, una gomma naturale ricavata dall’albero della sapodilla.

        Fu l’inventore Thomas Adams, negli anni ’60 dell’Ottocento, a industrializzare la produzione e dare il via al business. Da lì la diffusione fu rapidissima: sapori innovativi, formati portatili e una campagna pubblicitaria aggressiva trasformarono la gomma da masticare in un’abitudine globale. Nel secondo dopoguerra, con l’introduzione delle gomme aromatizzate alla menta, il prodotto esplose definitivamente, diventando simbolo di freschezza e di “igiene tascabile”.

        Oggi si stima che il mercato mondiale valga oltre 25 miliardi di dollari l’anno, con centinaia di varianti e un consumo che coinvolge soprattutto giovani e adulti attenti alla cura del cavo orale.

        Il claim più diffuso: previene davvero le carie?

        Molte gomme da masticare, specialmente quelle senza zucchero, vengono presentate come utili per la salute dei denti. Ed è vero che i principali enti di odontoiatria, tra cui l’American Dental Association (ADA) e diverse associazioni europee, riconoscono alcuni benefici, purché si tratti di gomme senza zuccheri aggiunti.

        Gli effetti positivi riconosciuti dalla scienza sono tre:

        1. Aumento della salivazione
          Masticare stimola il flusso salivare, che aiuta a neutralizzare gli acidi presenti nella bocca, riducendo uno dei fattori di rischio per la carie.
        2. Rimozione meccanica dei residui di cibo
          Anche se molto più lieve rispetto allo spazzolamento, l’azione masticatoria può contribuire a “ripulire” la bocca dopo i pasti.
        3. Uso di dolcificanti come lo xilitolo
          Alcune gomme utilizzano xilitolo, un polialcol che non favorisce la crescita dei batteri cariogeni e, secondo numerosi studi, può ridurla.

        Tuttavia, è importante ricordare ciò che gli stessi esperti ribadiscono da anni: la gomma da masticare non sostituisce mai spazzolino, dentifricio e filo interdentale. Può essere un supporto, non una soluzione.

        Il rovescio della medaglia: possibili effetti collaterali

        Le gomme da masticare non sono prive di limiti. In grandi quantità, alcuni dolcificanti — soprattutto sorbitolo — possono causare disturbi gastrointestinali. Masticare troppo a lungo può affaticare l’articolazione temporo-mandibolare, soprattutto in persone già predisposte. Inoltre, le gomme zuccherate aumentano il rischio di carie, annullando del tutto eventuali effetti benefici.

        Un altro punto spesso ignorato è l’impatto ambientale: molti chewing gum moderni utilizzano basi sintetiche non biodegradabili, che possono resistere per anni sulle superfici urbane.

        Marketing e realtà: tra promesse e percezione

        Nella cultura popolare, la gomma da masticare è stata spesso raccontata come un “mini spazzolino” da portare in tasca. Un’immagine efficace, ma non completamente aderente alla realtà.

        Negli anni ’80 e ’90, le campagne pubblicitarie alludevano apertamente a benefici odontoiatrici, fino a quando i regolatori europei e americani imposero criteri più rigidi sui claim sanitari. Oggi le aziende possono dichiarare effetti positivi solo se scientificamente provati, come l’aumento della salivazione.

        Usare la gomma sì, ma in modo intelligente

        Gli odontoiatri suggeriscono alcune semplici regole per beneficiare davvero della gomma da masticare:

        • scegliere gomme senza zucchero;
        • masticare 10–20 minuti dopo i pasti;
        • evitare un uso eccessivo durante la giornata;
        • non utilizzarla in presenza di disturbi mandibolari;
        • non considerarla un sostituto dell’igiene orale.

        La gomma da masticare non è un rimedio miracoloso, ma può rappresentare un piccolo aiuto quotidiano se scelta e utilizzata nel modo corretto. La sua storia, dalle resine degli antichi popoli alle mega-campagne pubblicitarie del Novecento, racconta un prodotto entrato profondamente nelle abitudini moderne.

        Tra mito e realtà, la verità sta nel mezzo: la chewing gum non “cura” i denti, ma può contribuire a proteggerli, a patto che resti ciò che è sempre stata — un complemento, non il protagonista dell’igiene orale.

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          Animali

          Dentro o fuori? Perché il gatto cambia idea davanti alla porta

          Un comportamento che fa sorridere e disperare milioni di proprietari: il continuo avanti e indietro dei gatti tra casa e giardino ha spiegazioni precise.

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          Perché il gatto cambia idea davanti alla porta

            Chi vive con un gatto lo conosce bene: graffia alla porta per uscire, poi miagola subito per rientrare. Una volta dentro, dopo pochi minuti, eccolo di nuovo davanti all’uscio, come se non avesse ancora deciso dove stare. Un atteggiamento che può sembrare un dispetto o un capriccio, ma che in realtà affonda le radici nella biologia e nel comportamento naturale del gatto domestico.

            Il gatto è un animale territoriale (ma prudente)

            A differenza del cane, il gatto è un animale fortemente territoriale. Anche se vive in appartamento, percepisce la casa come una parte del proprio dominio e l’esterno come un’area da controllare. Entrare e uscire non significa scegliere un luogo migliore, ma monitorare due ambienti diversi, verificando che tutto sia sotto controllo.

            Quando è fuori, il gatto resta esposto a rumori, odori e potenziali minacce. Il rientro in casa rappresenta una zona sicura. Al contrario, una volta dentro, nuovi stimoli esterni — un rumore, un altro animale, un odore interessante — possono riattivare la curiosità e spingerlo di nuovo fuori.

            Istinto di controllo e bisogno di sicurezza

            Secondo gli etologi, il gatto tende a mantenere sempre una via di fuga. Sapere di poter entrare o uscire quando vuole riduce lo stress e gli dà un senso di controllo sull’ambiente. Questo comportamento è particolarmente evidente nei gatti che hanno accesso libero all’esterno o che vivono in zone con giardini e cortili.

            Non si tratta di indecisione, ma di una strategia adattiva: il gatto valuta continuamente se l’ambiente in cui si trova è quello più vantaggioso in quel preciso momento, dal punto di vista termico, sensoriale o di sicurezza.

            Temperatura, odori e stimoli cambiano tutto

            Un altro fattore spesso sottovalutato è il microclima. I gatti sono molto sensibili alla temperatura: possono uscire per prendere aria fresca e rientrare pochi minuti dopo se percepiscono freddo, vento o umidità. Allo stesso modo, un odore nuovo — come il passaggio di un altro animale — può spingerli a esplorare, mentre un rumore improvviso li induce a cercare rifugio.

            Anche la luce gioca un ruolo importante: l’alba e il tramonto sono i momenti in cui i gatti sono naturalmente più attivi, perché coincidono con i picchi di attività delle prede in natura.

            È un comportamento normale?

            Sì. Gli esperti di comportamento felino concordano sul fatto che questo atteggiamento rientra nella normalità assoluta, soprattutto nei gatti adulti non sterilizzati o in quelli particolarmente curiosi e vigili. Diventa invece un campanello d’allarme solo se accompagnato da segnali di stress, vocalizzazioni eccessive o cambiamenti improvvisi delle abitudini.

            Come gestire la situazione senza stress

            Per ridurre il continuo avanti e indietro, i veterinari consigliano di arricchire l’ambiente domestico con giochi, tiragraffi e punti di osservazione, come mensole o finestre sicure. Se possibile, una gattaiola consente all’animale di gestire autonomamente i propri spostamenti, diminuendo la frustrazione — la sua e quella del proprietario.

            In definitiva, il gatto che vuole uscire quando è dentro e rientrare quando è fuori non è confuso né viziato. Sta semplicemente facendo ciò che la sua natura gli impone: controllare il territorio, valutare gli stimoli e scegliere, momento per momento, dove sentirsi più al sicuro. Un piccolo promemoria quotidiano di quanto l’istinto resti vivo anche nei felini più domestici.

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              Cucina

              Frico friulano: la tradizione croccante che racconta il cuore del Friuli

              Patate, formaggio Montasio e una cottura lenta che diventa arte: ecco la storia, gli ingredienti e il metodo autentico per preparare il vero frico friulano.

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              Frico friulano

                Il frico friulano di patate è uno dei simboli gastronomici del Friuli-Venezia Giulia, una ricetta che racchiude artigianalità, sostenibilità e memoria contadina. Oggi è un piatto diffuso in trattorie, sagre e tavole di tutta la regione, ma la sua storia affonda le radici nelle malghe carniche, dove i malgari utilizzavano gli scarti dei formaggi stagionati per creare un piatto nutriente, caldo e poco costoso.
                Il primo riferimento scritto al frico risale al XV secolo nel De arte coquinaria del Maestro Martino da Como, che descriveva un piatto composto da formaggi fritti e “ristretti” in padella. Nel tempo la versione più popolare è diventata quella con patate e Montasio, oggi riconosciuta come la più tipica.

                A differenza del “frico morbido”, quello croccante – frico di patate – punta sull’effetto dorato, con una crosticina saporita e un cuore filante. Una ricetta povera che, grazie alla sua bontà, ha superato secoli e confini, fino a diventare un orgoglio gastronomico friulano.

                Ingredienti per 4 persone

                • 600 g di patate a pasta gialla
                • 250 g di formaggio Montasio (meglio metà fresco e metà mezzano)
                • 1 cipolla piccola (facoltativa, ma tipica in molte zone della Carnia)
                • 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva oppure una noce di burro
                • Sale e pepe q.b.

                Procedimento

                1. Preparare gli ingredienti.
                  Pelare le patate e grattugiarle grossolanamente. Fare lo stesso con il Montasio, utilizzando una grattugia a fori larghi. Se si usa la cipolla, affettarla finemente.
                2. Rosolare la base.
                  In una padella antiaderente (meglio se di ferro), scaldare l’olio o il burro. Aggiungere la cipolla e cuocerla a fuoco dolce fino a quando diventa trasparente.
                3. Cuocere le patate.
                  Unire le patate grattugiate, salare leggermente e lasciar cuocere per 10–12 minuti mescolando spesso, finché iniziano ad ammorbidirsi.
                4. Aggiungere il formaggio.
                  Quando le patate risultano morbide, distribuire il Montasio sopra e cominciare a mescolare con calma: il formaggio si scioglierà creando una massa uniforme.
                5. Formare il frico.
                  Compattare il composto e lasciarlo cuocere senza toccarlo per ottenere una crosta dorata. Occorrono 6–8 minuti.
                  Poi, aiutandosi con un piatto, girare il frico come una frittata e ripetere la cottura sull’altro lato.
                6. Servire caldo.
                  Il frico deve risultare esternamente croccante e internamente filante. Tradizionalmente si serve con polenta, insalata o verdure di stagione.

                Origini e tradizione

                Il frico è considerato uno dei piatti identitari del Friuli-Venezia Giulia, soprattutto della zona della Carnia. Veniva preparato dai pastori nelle malghe d’alta quota durante i mesi estivi, quando la produzione di formaggio era al massimo.
                L’uso del Montasio non è casuale: questo formaggio DOP, nato nel XIII secolo nei monasteri delle Alpi Giulie, era perfetto per essere utilizzato fresco o stagionato e si prestava benissimo alla cottura.

                Il frico rappresenta uno dei primi esempi di cucina antispreco: si recuperavano ritagli di formaggio e patate, ingredienti economici e facilmente reperibili. Oggi è un piatto celebrato nelle sagre, come la Sagra del Frico di Carpacco, e continua a essere una delle ricette più richieste nel territorio.

                Un piatto che unisce semplicità e autenticità

                Il frico friulano è molto più di un disco croccante: è un piatto che parla di vita in montagna, di economia domestica, di ricette tramandate nelle famiglie.
                La sua popolarità non smette di crescere grazie alla sua versatilità e alla combinazione irresistibile di formaggio filante e patate dorate.

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