Lifestyle
Locanda Locatelli chiude i battenti: ma il patron non lascia Londra. Scopriamo cosa bolle in pentola
Il giudice di MasterChef ci lascia con l’amaro in bocca, ma presto ci sorprenderà con nuovi progetti. Scopriamo insieme cosa si nasconde dietro la chiusura del suo storico ristorante e dove potremo gustare di nuovo le sue creazioni.
Una notizia che ha lasciato tutti a bocca aperta ha scosso il mondo della gastronomia. La celebre e apprezzata Locanda Locatelli, il ristorante londinese dello chef stellato e giudice di MasterChef Italia, Giorgio Locatelli, ha chiuso i battenti. Dopo 23 anni di successi e una stella Michelin conquistata subito dopo l’apertura, il locale ha salutato i suoi clienti con un messaggio carico di nostalgia e di speranza per il futuro.
Addio, Locanda Locatelli!
Ma cosa si nasconde dietro questa decisione inaspettata? Le ragioni ufficiali della chiusura rimangono avvolte nel mistero, ma alcune indiscrezioni fanno luce su possibili scenari. Secondo alcune fonti, alla base della decisione ci sarebbero forti tensioni con l’amministrazione del palazzo che ospitava il ristorante. Altri rumors parlano di un cambio di strategia da parte dell’hotel Hyatt Regency London – The Churchill, con cui Locatelli aveva un contratto di gestione.
Ma Locatelli non si ferma!
Ma non disperate, ammiratori di Locatelli! Lo chef non ha alcuna intenzione di appendere il grembiule al chiodo. Anzi, è già al lavoro su nuovi progetti che promettono di far parlare di sé. A maggio, infatti, aprirà un ristorante all’interno della prestigiosa National Gallery di Trafalgar Square. Sarà la prima volta che un ristorante italiano avrà l’onore di ospitare i visitatori di uno dei musei più famosi al mondo. Un’occasione unica per portare la cucina italiana in un contesto internazionale e per far conoscere al mondo le creazioni di uno dei nostri chef più amati.
Come ci stupirà?
In attesa di scoprire i dettagli dei nuovi progetti alla National Gallery una cosa è certa: lo chef non si ferma mai. La sua passione per la cucina, la sua creatività e la sua voglia di sperimentare sono inarrestabili. Siamo sicuri che ci riserverà ancora tante sorprese e che continuerà a farci sognare con le sue inaspettate creazioni.
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Auto e moto
Automobili come opere d’arte: il nuovo collezionismo su quattro ruote
Ferrari, Bugatti, Rolls-Royce e Aston Martin riscrivono il concetto di lusso con atelier su misura e modelli unici, pensati per raccontare chi li possiede. La personalizzazione è il nuovo motore del desiderio.
Non basta più la velocità. Nel nuovo universo del lusso, le automobili sono diventate opere d’arte mobili, manifesti di estetica e personalità. I collezionisti le trattano come sculture, i marchi le costruiscono come gioielli. Ogni dettaglio, dal colore del metallo al cucito dei sedili, è una dichiarazione d’identità.
Ferrari, con il programma Tailor Made, ha aperto la strada: un atelier dedicato dove il cliente disegna la propria vettura come un artista sulla tela. Verniciature uniche, interni in materiali rari, rifiniture che citano modelli storici o passioni personali. Non è più solo un’auto: è la versione meccanica di un autoritratto.
Sulla stessa scia, Bugatti Sur Mesure offre un’esperienza quasi museale. I committenti vengono accolti come mecenati del XXI secolo: osservano le fibre di carbonio intrecciarsi, scelgono tonalità d’oro, tessuti in seta e motivi incisi a mano. Le linee diventano calligrafie, le superfici raccontano storie.
Anche Rolls-Royce ha trasformato la personalizzazione in un rito. Con la divisione Bespoke, ogni vettura è un pezzo irripetibile: intarsi di madreperla, cieli stellati di luci a LED, legni provenienti da foreste selezionate. L’auto si fa esperienza sensoriale, una cattedrale di silenzio e precisione.
Il collezionismo contemporaneo si muove tra arte e investimento. Alle aste di RM Sotheby’s o Bonhams, le supercar storiche toccano cifre da capogiro. Ma il vero valore oggi è nel “pezzo unico”: il modello creato su commissione, costruito come si farebbe con una statua o un violino.
Guidarle è quasi un sacrilegio: molte finiscono in garage climatizzati, illuminate come reliquie. Altri, invece, le portano in strada con orgoglio, come quadri in movimento. Perché nel lusso autentico — quello che sfida il tempo — la bellezza non si conserva: si vive.
Tech
Il Web in ginocchio: guasto a Cloudflare spegne siti e piattaforme globali
Le prime segnalazioni sono arrivate a metà mattinata, ma il problema è diventato critico in poco tempo. L’azienda ha identificato la causa e sta lavorando per ripristinare i servizi, ma il down evidenzia ancora una volta la fragilità di un Internet gestito da poche “Big Tech”.
Un’interruzione del servizio da parte di Cloudflare, colosso delle infrastrutture digitali, ha causato un vasto e improvviso “blackout” che ha reso inaccessibili numerosi siti e piattaforme in tutto il mondo. L’azienda, che funge da intermediario tra i visitatori e i server web per garantire sicurezza e velocità, ha subito un guasto che ha automaticamente reso offline tutti i portali che si affidano alla sua rete. L’episodio ha avuto inizio a partire dalle 12:17 ora italiana, ma è stato intorno alle 12:48 che la situazione ha raggiunto il suo picco critico.
In una nota ufficiale, Cloudflare ha riconosciuto il problema, dichiarando di essere “a conoscenza di un’anomalia che potrebbe interessare diversi clienti” e che stava già indagando per risolverla. Successivamente, poco dopo le 14, un aggiornamento pubblicato sulla pagina di stato del servizio ha confermato che la causa era stata identificata e che era in corso l’implementazione di una soluzione. I primi segnali di ripristino dei servizi sono arrivati dopo le 13:00 UTC (le 14:00 italiane) quando alcuni servizi come Cloudflare Access e WARP sono tornati a funzionare normalmente.
Si stima che circa il 20% di tutti i siti web globali utilizzi i servizi di Cloudflare. Sebbene non sia ancora disponibile un elenco ufficiale completo delle vittime del disservizio, numerosi utenti hanno segnalato problemi di accesso a piattaforme di primo piano come il chatbot ChatGpt di OpenAI, il social network X (ex Twitter), la piattaforma di streaming musicale Spotify e il servizio di grafica Canva. A causa della natura centrale di Cloudflare, l’interruzione ha avuto un impatto su una parte significativa della rete, dimostrando quanto sia cruciale il ruolo di questi “custodi” del traffico internet.
Questo evento si inserisce in un contesto di fragilità della rete Internet, già evidenziata da recenti e simili disservizi. Soltanto il mese scorso, un down di Amazon Web Services (AWS) aveva mandato offline oltre un migliaio di siti e applicazioni, seguito poi da un’altra interruzione che aveva interessato Microsoft Azure. Questi eventi sottolineano la dipendenza del web da un numero limitato di grandi fornitori di infrastrutture, rendendo l’intero ecosistema digitale vulnerabile a guasti circoscritti, ma con conseguenze globali.
Cucina
Vin brulè, il profumo dell’inverno: la bevanda calda che riscalda mani, cuore e memoria
Una tradizione antica, nata per scaldare i viaggiatori nelle locande di montagna e oggi diventata un rituale conviviale. Prepararlo in casa è facile: basta scegliere il vino giusto e dosare con cura le spezie.
C’è un momento, tra novembre e gennaio, in cui il profumo del vin brulè sembra inseguirci ovunque: nei mercatini di Natale, nelle baite, perfino nelle piazze delle città. È un aroma che sa di legno e agrumi, di cannella e fuoco acceso, capace di risvegliare ricordi e riscaldare anche le giornate più fredde.
La sua storia è antichissima. Già i Romani bevevano il conditum paradoxum, un vino dolce scaldato con miele e spezie, antesignano dell’attuale vin brulè (dal francese vin brûlé, “vino bruciato”). In origine era un rimedio contro i malanni invernali, ma col tempo è diventato un piacere da condividere.
Oggi ogni regione ha la sua versione: in Trentino si usa il Merlot o il Lagrein, in Valle d’Aosta il Petit Rouge, in Piemonte il Barbera. Ma la regola resta la stessa: serve un rosso corposo, non troppo giovane, capace di resistere al calore senza perdere carattere.
La preparazione è un gesto antico, quasi rituale. In una casseruola si versa il vino con zucchero, scorza d’arancia e di limone, cannella, chiodi di garofano, anice stellato e — per i più audaci — una punta di noce moscata o di pepe. Si scalda lentamente, senza mai far bollire, finché lo zucchero si scioglie e la casa si riempie di un profumo avvolgente. Poi si filtra e si serve bollente, in tazze spesse o bicchieri resistenti, magari accompagnato da biscotti di panpepato o castagne arrosto.
Il segreto sta nell’equilibrio: troppo zucchero lo rende stucchevole, troppe spezie lo coprono. Il vin brulè perfetto è armonia — caldo ma non bruciante, dolce ma non sciropposo, aromatico ma mai invadente.
E come tutte le tradizioni che resistono al tempo, la sua magia è nella condivisione. Un sorso di vin brulè non si beve da soli: si offre, si racconta, si alza in un brindisi lento che sa di inverno, amicizia e ritorno alle origini.
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