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Moda

Elena Novelletto: “Con la mia lingerie racconto la femminilità autentica. Elena di Cuori è un’esperienza, non solo un brand”

Dalle prime creazioni fatte a mano nel suo atelier fino al corner nel Coin Intimate di San Giovanni a Roma, la stilista si racconta: “La seduzione non è apparenza, ma energia. E la femminilità non è mai stata così libera”.

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    Ha iniziato come modella, poi come costume designer nel mondo del cinema, ma il suo sogno era un altro: raccontare la femminilità attraverso la materia, il tessuto, il gesto sartoriale. Così è nata Elena di Cuori, la linea di lingerie e accessori di Elena Novelletto, oggi considerata una delle nuove eccellenze del Made in Italy. I suoi capi, sensuali e raffinati, hanno conquistato i buyer internazionali e piattaforme come Zalando, ma anche marchi di distribuzione storici come Coin, che di recente ha aperto un corner monobrand Elena di Cuori nel punto vendita di Roma San Giovanni.

    L’incontro con Elena avviene nel suo studio milanese, un laboratorio luminoso dove pizzi, bozzetti e fili dorati si mescolano a musica e profumo di cera d’api. La sua voce è calma, il sorriso deciso.

    Com’è nata l’idea di Elena di Cuori?
    «Dal desiderio di creare qualcosa di autentico, che avesse radici nel nostro artigianato e parlasse la lingua della sensualità italiana. Ho cominciato con la lingerie perché è il primo abito che indossiamo, quello che non si vede ma che ci cambia dentro. Ha un potere invisibile: può farci sentire più sicure, più consapevoli, più donne. Poi ho esteso il progetto alle borse, che considero un’estensione naturale di quel mondo. Hanno la stessa anima, gli stessi ricami e la stessa attenzione per il dettaglio».

    Cosa rappresenta per te la seduzione?
    «È qualcosa che nasce da dentro. Non ha a che fare con la provocazione o con l’apparenza, ma con l’equilibrio interiore. Sedurre significa sentirsi bene con sé stesse, emanare una sicurezza naturale. Anche un capo intimo, se disegnato con amore, può diventare uno strumento di seduzione, perché ci aiuta a riconnetterci con la parte più autentica e sensuale di noi».

    Hai parlato spesso di una “nuova femminilità”. Cosa intendi?
    «Credo che la femminilità oggi non sia più un modello da imitare, ma un modo personale di esprimersi. È libera, fluida, inclusiva. Ogni donna la interpreta a suo modo, e questo la rende unica. Per me la femminilità è un percorso: cambia con l’età, con le esperienze, con le cicatrici. E più una donna diventa consapevole, più la sua femminilità diventa potente. È quella forza quieta che non ha bisogno di dimostrare nulla».

    Qual è secondo te il futuro dell’intimo italiano?
    «Sta nella capacità di coniugare tradizione e innovazione. Il Made in Italy è sinonimo di artigianalità, ma oggi non basta: dobbiamo essere anche sostenibili, creativi, riconoscibili. Le nuove generazioni vogliono prodotti che abbiano un’anima, una storia. L’intimo non è più solo un capo d’abbigliamento, ma un’esperienza. Deve raccontare chi sei, valorizzarti, far parte del tuo modo di stare al mondo. È questa la sfida più bella: evolversi senza perdere autenticità».

    Hai appena aperto un corner monobrand al Coin Intimate di Roma. Che traguardo rappresenta?
    «È un passo importante, certo, ma non lo considero un punto d’arrivo. È la prova che un progetto indipendente, nato in un periodo complesso, può crescere grazie alla coerenza e alla passione. Coin ha creduto nella mia visione e questo mi rende orgogliosa, ma so che il percorso è appena cominciato. Voglio consolidare Elena di Cuori in Italia e al tempo stesso aprirmi ai mercati internazionali, mantenendo però il cuore artigianale del brand».

    Qual è il tuo sogno oggi?
    «Continuare a creare bellezza, ma una bellezza che non sia solo estetica. Voglio che ogni donna che indossa un mio capo si senta parte di una community, di un modo di vivere che celebra la libertà, la sensualità e il rispetto per sé stesse. Elena di Cuori non è solo un marchio: è un messaggio di autenticità. E io voglio che arrivi lontano».

    Mentre parla, Elena sfiora con le dita un reggiseno in pizzo color cipria. «È tutto cucito a mano», sorride. «Ogni punto è un’emozione». E in quel gesto, nel filo sottile che unisce artigianato e sogno, c’è tutta la filosofia di una giovane donna che sta riscrivendo il linguaggio della seduzione italiana — con cuore, testa e stoffa.

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      Moda

      David Beckham e il front row da infarto: tra Boss, Cavalli ed Elodie la Milano Fashion Week perde la testa

      David Beckham conquista Milano con il suo charme e un completo di velluto color cioccolato, ma a rubare la scena sono le star italiane e internazionali che hanno trasformato la Fashion Week in una première hollywoodiana. Da Cavalli a Prada, da Max Mara a Cucinelli, è stato un trionfo di look audaci, ospiti stellari e sensualità sfacciata.

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        David Beckham ha vinto ancora. Non in campo, ma nel front row di Boss, dove è stato accolto come una rockstar. L’ex numero 7 del Manchester United, oggi più “comfort fit” che atleta scolpito, sedeva accanto al CEO Daniel Grieder, impeccabile nel suo completo di velluto a coste color chocolate firmato proprio Boss. Elegante, rilassato, un po’ appesantito rispetto ai tempi in cui posava in mutande, ma ancora capace di mandare in tilt i fan: basti pensare allo scatto a petto nudo postato sulla terrazza dell’Hotel Principe di Savoia. Risultato? Internet in fiamme.

        Nel parterre, accanto a lui, il fenomeno Khaby Lame, uno dei tiktoker più seguiti al mondo, che con la sua solita mimica impassibile ha attirato quasi più flash del capitano.

        Ma la Milano Fashion Week 2026 non è solo Beckham. A rendere bollente la passerella di Roberto Cavalli ci hanno pensato Diletta Leotta, praticamente in mutande in un abito maculato da capogiro, e Elodie, fasciata in un oro incandescente che ha messo d’accordo pubblico e fotografi. “Una gioia per gli occhi”, ha sussurrato qualcuno in prima fila.

        Da Emporio Armani ha sfilato l’olimpionico Thomas Ceccon, simbolo di eleganza sportiva. Da Moschino, invece, è arrivata la “voce” di Anna Pepe, idolo della Gen Z. “Chissà che ne direbbe Franco Moschino”, mormoravano i nostalgici tra una canzone e un applauso.

        A Casa Cucinelli l’atmosfera era più soft ma non meno vip: Gwyneth Paltrow, Marisa Abela, Alessandra Mastronardi, Fotinì Peluso, Barbara Ronchi, la cinese Li Yitong, e le top Yasmin Wijnaldum e Tina Kunakey.

        Da Prada invece sfilata di stelle con Kerry Washington, Benedetta Porcaroli, Carey Mulligan, Felicity Jones ed Emma Chamberlain, tutte elegantemente dosate tra minimalismo e carattere.

        E poi Lourdes Ciccone, la figlia di Madonna, definita da molti una “Cecilia Rodriguez dark”, e Mariacarla Boscono, regina assoluta della passerella, tra tulle e trasparenze.

        La verità è che, tra Beckham e Boscono, tra Cavalli e Prada, Milano non è mai sembrata così viva, sfacciata e irresistibilmente glamour.

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          Moda

          Gucci riparte da Demna: il debutto del nuovo direttore creativo in Piazza Affari a Milano

          La prima collezione del designer georgiano per la maison è stata presentata con un evento spettacolare nel cuore della città.

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          Demna

            Piazza Affari, simbolo dell’economia italiana, è diventata per una sera il palcoscenico della moda. Qui Gucci ha presentato il debutto del suo nuovo direttore creativo, Demna, lo stilista georgiano che prende il timone della storica maison fiorentina. Un appuntamento molto atteso, che segna l’inizio di una nuova fase dopo gli anni di Alessandro Michele.

            Moda e cinema insieme

            Per raccontare la sua prima collezione, Demna ha scelto un linguaggio inedito: non una classica sfilata, ma un film proiettato in una sala temporanea allestita in Piazza Affari. Sullo sfondo un sipario di velluto color senape che spezza il grigio dei palazzi circostanti.

            Il corto, dal titolo The Tiger, è stato diretto da Halina Reijn con la collaborazione di Spike Jonze, maestro dei videoclip. Protagonista Demi Moore, nel ruolo di Barbara Gucci, donna ricca e fragile chiamata a gestire un’eredità pesante. Al suo fianco compaiono attori del calibro di Edward Norton, Elliot Page e Keke Palmer. In scena, tra compleanni psichedelici e dialoghi pungenti, gli abiti della collezione diventano parte integrante della narrazione, indossati e vissuti dai protagonisti.

            Gli abiti che raccontano una storia

            La nuova linea Gucci by Demna mescola glamour e ironia. Vestiti lunghi ricoperti di paillettes, abiti da sirena con colli altissimi e stampe floreali, caftani leggeri decorati con piume, gioielli importanti e collier scintillanti. Non mancano set di valigie pensati “per il padre, la madre e il figlio”, a richiamare il tema della famiglia.

            Poche ore prima dell’evento, sui social ufficiali della maison era stata svelata la collezione La Famiglia, un progetto fotografico che racconta personaggi caricaturali e affettuosamente legati alla tradizione italiana, dalla “sciura” milanese ai ritratti da salotto incorniciati come vecchi quadri.

            Tra simboli e riferimenti

            Nel film e nella collezione non mancano i simboli cari all’universo Gucci. Le api, ad esempio, già presenti negli archivi storici della casa di moda, tornano come segno ricorrente, quasi a rappresentare la capacità di rigenerarsi e di costruire comunità. Edward Norton, nel corto, arriva persino a immaginare un mondo riconquistato proprio da questi insetti.

            Un nuovo inizio

            Con questo debutto, Gucci apre una nuova pagina della sua storia. Demna, conosciuto per il suo stile diretto e provocatorio, porta la sua visione nel cuore di Milano, città con cui la maison ha un legame profondo. Non una semplice collezione di vestiti, ma un racconto che unisce cinema, arte e moda, parlando a un pubblico sempre più ampio e trasversale.

            L’arrivo del designer segna dunque una sfida: riportare Gucci al centro del dibattito creativo internazionale, non solo con gli abiti, ma con esperienze culturali capaci di lasciare il segno.

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              Moda

              Le ricamatrici kosovare di Reggio Emilia pronte a ricamare l’abito da sposa per Dua Lipa

              Hanno dai 25 ai 45 anni, alcune hanno fatto pulizie, altre erano casalinghe, ma oggi sono artigiane riconosciute. Nel loro laboratorio ci sono pochi macchinari ma tanti aghi e fili.

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                Nascoste tra fili di seta, pizzi intricati e ricami preziosi, c’è una storia di talento, tradizione e riscatto sociale che prende vita nel cuore dell’Emilia-Romagna. Un gruppo di diciassette donne kosovare, arrivate in Italia tra la fine degli anni ’90 e il 2000, ha trasformato un’arte tramandata da generazioni in un’impresa capace di collaborare con le più grandi case di moda. Con ago e filo, queste artigiane non creano solo abiti: danno forma a vere opere d’arte, capaci di impreziosire passerelle e collezioni di lusso. E il loro sogno più grande? Realizzare l’abito da sposa per la cantante di origine kosovara Dua Lipa, simbolo internazionale della loro terra d’origine.

                Dal Kosovo all’Italia un’impresa costruita con il lavoro delle mani

                Per queste donne, il ricamo è una tradizione familiare, imparata in casa, tramandata dalle nonne e affinata nel tempo. In Kosovo era un’abilità quotidiana, in Italia è diventata un lavoro vero e proprio, grazie all’intuizione di Mendehie, detta Mendi, che nel 2019 ha riunito un gruppo di connazionali per dare vita a un laboratorio di alta sartoria. Tra loro ci sono Selvete, Enkelejda, Dhurata, Bukurije, Arbenita, ognuna con una storia da raccontare. Selvete, per esempio, arrivò in Italia a piedi, attraversando l’Albania mentre era incinta, per ricongiungersi al marito giardiniere a Reggio Emilia. Oggi costruisce una casa in Kosovo, ma pensa di tornarci solo per la pensione: il suo presente è in Italia, insieme alle figlie nate qui.

                Arte e moda serve tanta precisione

                L’azienda ha sede a San Martino in Rio, nel distretto industriale di Carpi, una delle capitali del tessile italiano. Il marito di Mendi lavorava già nel settore della maglieria di lusso, e fu proprio lui a segnalare le straordinarie capacità della moglie e delle sue amiche. Un imprenditore, vedendo i loro pizzi e ricami, ne comprese subito la qualità e il valore commerciale. Da allora, queste artigiane hanno collaborato con i brand più prestigiosi, creando dettagli di lusso per abiti da passerella, oltre a scarpe, borse, cappelli e persino charms natalizi. Il loro lavoro è completamente manuale, con tecniche come crochet, macramè, punto incrociato, uncinetto, spesso sperimentando materiali inaspettati, dalle piume al cuoio. Ogni creazione è un pezzo unico, frutto di confronto e ingegno. A volte ricevono solo un’idea astratta, un colore, un disegno, e da lì nasce una decorazione destinata a diventare parte di un abito esclusivo.

                Il sogno di creare l’abito da sposa di Dua Lipa

                Il riconoscimento per queste donne è la soddisfazione di vedere i propri lavori sulle passerelle e sulle riviste di moda. Molti abiti da loro ricamati sono stati indossati da grandi star, Dua Lipa compresa, anche se il loro nome non compare perché le creazioni sono firmate dai brand per cui lavorano. Ma il sogno oggi è più ambizioso. Creare per lei un abito da sposa, una fusione perfetta di arte e tradizione, un tributo al Kosovo e all’impegno della cantante nel promuovere le sue origini. A dimostrare la loro straordinaria maestria c’è un vestito in esposizione nella sede dell’azienda: 81.000 paillettes, tutte cucite a mano, per un totale di 896 ore di lavoro. È solo un esempio di ciò che possono fare con ago e filo.

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