Lifestyle
Nuove prospettive sulla memoria nell’era dell’invecchiamento
L’esempio dei superanziani ci invita a riconsiderare le nostre concezioni sulla memoria nell’invecchiamento, aprendo la strada a nuove prospettive e approcci per mantenere attiva e vitale la nostra mente anche negli anni d’oro della vita.
Nel panorama del progressivo invecchiamento della popolazione, il tema della memoria riveste un’importanza sempre maggiore. Sebbene comunemente si associ l’avanzare dell’età a un declino delle capacità cognitive, gli studiosi stanno ora gettando luce su una categoria di individui che sembrano sfidare questa concezione: i “super-agers”. Questi superanziani, come li definiscono gli scienziati dell’Alzheimer Disease Research Unit di Madrid, possiedono una memoria eccezionale, paragonabile a quella di individui molto più giovani.
Ecco i superanziani
Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience, i ricercatori hanno seguito per cinque anni 64 superanziani dotati di una memoria brillante, confrontandoli con un gruppo di 55 anziani tipici. I risultati hanno evidenziato che i superanziani mostrano una migliore tenuta della sostanza bianca cerebrale, un maggiore volume in aree cruciali come l’ippocampo e la corteccia entorinale, e una migliore connettività tra le regioni coinvolte nei processi cognitivi.
Straordinarie capacità
Tuttavia, i motivi alla base di queste straordinarie capacità restano ancora da chiarire. Mentre alcuni fattori come una pressione sanguigna ottimale, un metabolismo del glucosio equilibrato, una buona mobilità e relazioni sociali soddisfacenti sembrano correlati a questa eccezionale memoria, altri, come la qualità del sonno, l’alimentazione e lo stile di vita, non sembrano avere lo stesso peso.
Nonostante il numero di superanziani sia attualmente limitato, gli esperti suggeriscono che potrebbero rappresentare fino al dieci per cento della popolazione anziana. Esempi di super-agers come Amalia Ercoli Finzi, 87 anni, ingegnere aerospaziale e consulente di istituti prestigiosi, e il professor Silvio Garattini, 95 anni, farmacologo e oncologo, dimostrano che una buona memoria può essere mantenuta anche in età avanzata.
Infatti, sia Finzi che Garattini attribuiscono la loro eccezionale memoria a uno stile di vita attivo e al continuo impegno nel mantenere la mente stimolata. Mentre Finzi fa affidamento su trucchi come l’associazione di parole e il focalizzarsi solo sui ricordi positivi, Garattini sottolinea l’importanza di un costante aggiornamento attraverso lo studio della letteratura scientifica.
Anche Corrado Augias, 89 anni, e Silvana Giacobini, 85 anni, offrono preziosi spunti su come mantenere viva la memoria anche in età avanzata. Augias consiglia un costante esercizio mnemonico e un interesse genuino per ciò che si desidera ricordare, mentre Giacobini sottolinea l’importanza di eliminare i ricordi negativi e concentrarsi su quelli positivi.
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Lifestyle
“Screen time”: sempre più studi lanciano l’allarme sull’uso intenso di schermi da parte dei più piccoli
Un recente studio internazionale fa il punto sulle linee guida già esistenti. E in Italia nascono campagne per aiutare genitori e famiglie a gestire l’esposizione a tablet e smartphone.
Ogni giorno, nuove ricerche e appelli mettono in guardia famiglie e comunità: l’uso eccessivo di smartphone, tablet e altri dispositivi da parte di bambini e adolescenti potrebbe avere effetti nocivi molto concreti. Un’ultima revisione sistematica, pubblicata su Public Health in Practice, analizza 41 documenti elaborati da agenzie internazionali, autorità sanitarie, società scientifiche e ONG, mettendo in chiaro che la maggior parte delle raccomandazioni converge verso limiti precisi — limiti che però difficilmente vengono rispettati.
I dati: quante raccomandazioni, pochi controlli
Nella revisione, i ricercatori delle università di Trieste, Burlo Garofalo (Trieste), Liverpool e London School of Hygiene & Tropical Medicine hanno evidenziato che le raccomandazioni sul tempo massimo davanti agli schermi — e sulla qualità dell’esposizione — sono molto simili tra loro in tutto il mondo.
Ma la grande disparità si verifica tra teoria e pratica: molte famiglie non seguono queste linee guida, e lo studio denuncia l’urgenza di politiche e interventi concreti.
In Italia: la “Carta di Padova” e la campagna per le neomamme
Per provare a colmare questo divario, dal novembre scorso l’ospedale-nido dell’Azienda Ospedaliera-Università di Padova ha lanciato una campagna informativa rivolta a genitori, nonni, zii e babysitter. Un decalogo distribuito al momento delle dimissioni, con consigli chiari e aggiornati: niente smartphone nei primi due anni, massimo un’ora tra i 2 e i 5 anni, al massimo due ore giornaliere dopo i sei anni.
Il professor Eugenio Baraldi, direttore del Dipartimento Salute Donna e Bambino dell’ospedale, ricorda che non si tratta di allarmismo fine a sé stesso, ma di prevenzione: «Nei bambini piccoli l’uso prolungato di dispositivi elettronici può interferire con lo sviluppo del linguaggio, compromettere il sonno e, nel lungo periodo, favorire ansia, obesità o difficoltà di attenzione».
I rischi evidenziati dagli studi
- Sviluppo del linguaggio rallentato: per i bambini sotto i 2 anni, interagire con genitori e adulti è fondamentale; lo schermo non sostituisce la comunicazione reale.
- Disturbi del sonno: la luce blu degli schermi può inibire la produzione di melatonina, compromettendo il riposo notturno.
- Problemi cognitivi e di attenzione: l’uso intensivo e precoce associato a scarse attività fisiche e sociali può aumentare il rischio di difficoltà cognitive. Studi su bambini con smartphone mostrano un’incidenza maggiore di insonnia, obesità e stati depressivi rispetto a chi non ha accesso continuo ai dispositivi.
- Dipendenza comportamentale: alcuni bambini manifestano stress, agitazione, irritabilità o momenti di rabbia intensa quando viene tolto il dispositivo — segnali che devono allarmare.
Come approcciarsi in modo consapevole
Gli esperti concordano su alcune regole fondamentali:
- Evitare l’uso di schermi nei primi 24 mesi: nessuno smartphone, tablet o video. Il contatto umano resta cruciale.
- Fissare limiti chiari dopo i 2 anni: 1 ora al giorno tra i 2 e i 5 anni, non più di 2 ore dopo i 6 anni.
- Preferire contenuti educativi e supervise l’uso: meglio condividere lo schermo con un adulto piuttosto che lasciar navigare da soli.
- Promuovere attività alternative: gioco all’aperto, lettura insieme, contatto sociale.
- Conversazioni aperte in famiglia: spiegare i rischi, instaurare dialoghi, non criminalizzare l’uso, ma educare.
Queste indicazioni sono parte del decalogo proposto con la campagna dell’ospedale di Padova, ma possono — e dovrebbero — diventare una guida più ampia per tutte le famiglie.
Cosa resta da fare
Il gap tra raccomandazioni e pratica dimostra che non basta trasmettere informazioni: servono politiche pubbliche, iniziative educative capillari, supporto alle famiglie — soprattutto nei contesti più fragili. I primi anni di vita sono decisivi per lo sviluppo cognitivo ed emotivo: ogni scelta fatta oggi può segnare il futuro di un bambino.
La tecnologia non è un nemico, ma quando entra troppo presto nella quotidianità dei più piccoli, senza regole né equilibrio, può diventarlo. E allora serve un solo sforzo: renderla uno strumento, non un rifugio. In fondo, crescere felici — senza schermo — è possibile.
Curiosità
Il profumo perfetto sotto l’albero: come scegliere il regalo ideale senza sbagliare
Dalle famiglie aromatiche alle abitudini quotidiane di chi lo riceverà: ecco i criteri per orientarsi tra centinaia di essenze e trovare quella davvero giusta.
Regalare un profumo a Natale è un gesto intimo e raffinato, ma scegliere la fragranza giusta può trasformarsi in una sfida. Non si tratta soltanto di individuare un’essenza gradevole: il profumo racconta qualcosa di personale, riflette lo stile e lo stato d’animo di chi lo indossa, e deve adattarsi alla pelle e alle abitudini di ogni persona. Per questo è fondamentale conoscere alcuni criteri che aiutano a prendere la decisione migliore e a evitare scelte azzardate.
Conoscere le famiglie olfattive
Il primo passo è orientarsi tra le grandi famiglie olfattive, uno strumento essenziale del mondo della profumeria. Le categorie principali sono: floreale, agrumata, orientale, legnosa, aromatica, fruttata e cipriata. Ogni famiglia evoca sensazioni diverse: le floreali sono romantiche e leggere, le legnose intense e sofisticate, le orientali avvolgenti e calde, le agrumate fresche e dinamiche.
Capire quali note dominano nelle fragranze abitualmente usate dal destinatario del regalo può già indirizzare verso un profumo compatibile con i suoi gusti.
Osservare la personalità di chi lo riceve
Il profumo è uno specchio del carattere. Chi ama la discrezione potrebbe preferire fragranze fresche e pulite, come quelle a base di agrumi o note marine. Le persone energiche e sportive spesso prediligono sentori dinamici come menta, basilico o bergamotto.
Al contrario, chi ha uno stile elegante e ricercato può apprezzare profumi più complessi, con note ambrate, legnose, vanigliate o speziate. Le essenze floreali morbide — come rosa, gelsomino o peonia — sono invece perfette per personalità romantiche o nostalgiche.
Considerare il periodo dell’anno
Non esiste un profumo “quattro stagioni” universale. Molte persone preferiscono fragranze fresche e luminose nei mesi caldi, mentre d’inverno si orientano verso note più calde e avvolgenti. Per un regalo natalizio, nocciola, cannella, ambra, muschio, cuoio e spezie possono risultare particolarmente adatti alla stagione, evocando atmosfere accoglienti e festive.
Eau de toilette o eau de parfum?
Un altro elemento da valutare è la concentrazione.
- Eau de toilette (EDT): più leggera, perfetta per chi non ama profumi intensi o lavora in ambienti dove la discrezione olfattiva è richiesta.
- Eau de parfum (EDP): persistente, ricca e profonda, ideale per chi cerca un’essenza che accompagni tutto il giorno.
- Parfum: la forma più concentrata e duratura, generalmente scelta da appassionati esperti.
Capire ciò che il destinatario preferisce evita di regalare qualcosa che risulti troppo forte o troppo tenue.
Attenzione al tipo di pelle
La chimica cutanea influisce sulla resa del profumo: una fragranza può sembrare diversa da persona a persona. Le pelli secche, ad esempio, trattengono meno le molecole profumate, mentre quelle più idratate ne aumentano la durata. Anche questo può guidare la scelta, indirizzando verso fragranze più o meno intense.
La soluzione “sicura”: i profumi iconici
In caso di dubbio, esistono fragranze “evergreen” considerate grandi classici, apprezzate e vendute da anni grazie alla loro equilibrata costruzione olfattiva. Non garantiscono la perfezione assoluta, ma rappresentano una scelta solida e più facile da indossare. Le profumerie, inoltre, propongono spesso cofanetti natalizi con formati diversi: un modo elegante per regalare un set completo senza rischiare troppo.
Il valore di un gesto personalizzato
Per rendere il dono ancora più speciale, molte maison offrono la possibilità di incidere il nome sul flacone o aggiungere un packaging dedicato. Un dettaglio che trasforma un semplice regalo in un ricordo prezioso.
Scegliere un profumo per Natale non è soltanto un acquisto: è un’attenzione sincera, un modo per raccontare affetto attraverso una scia che accompagna chi la indossa. Con qualche accortezza e un pizzico di sensibilità, trovare la fragranza giusta diventa un gesto significativo, capace di lasciare il segno molto più a lungo delle feste.
Lifestyle
Gomme da masticare: tra mito, marketing e realtà scientifica
Le chewing gum senza zucchero possono contribuire alla prevenzione della carie, ma non sostituiscono spazzolino e filo interdentale. Ecco come sono nate, come si sono diffuse e quali benefici reali offrono.
La gomma da masticare accompagna generazioni di consumatori da oltre un secolo, tra promesse di freschezza, denti più sani e persino minor stress. Ma, tra slogan pubblicitari sempre più convincenti e un mercato multimiliardario, è legittimo chiedersi: le chewing gum fanno davvero bene ai denti? La risposta, come spesso accade, non è un semplice sì o no.
Un prodotto antichissimo diventato fenomeno moderno
La storia della gomma da masticare comincia molto prima dell’era industriale. Resti archeologici indicano che già le popolazioni preistoriche masticavano resine di betulla per pulire i denti o calmare il mal di denti. Ma la forma moderna di chewing gum affonda le radici nel XIX secolo, quando negli Stati Uniti iniziarono a diffondersi prodotti a base di chicle, una gomma naturale ricavata dall’albero della sapodilla.
Fu l’inventore Thomas Adams, negli anni ’60 dell’Ottocento, a industrializzare la produzione e dare il via al business. Da lì la diffusione fu rapidissima: sapori innovativi, formati portatili e una campagna pubblicitaria aggressiva trasformarono la gomma da masticare in un’abitudine globale. Nel secondo dopoguerra, con l’introduzione delle gomme aromatizzate alla menta, il prodotto esplose definitivamente, diventando simbolo di freschezza e di “igiene tascabile”.
Oggi si stima che il mercato mondiale valga oltre 25 miliardi di dollari l’anno, con centinaia di varianti e un consumo che coinvolge soprattutto giovani e adulti attenti alla cura del cavo orale.
Il claim più diffuso: previene davvero le carie?
Molte gomme da masticare, specialmente quelle senza zucchero, vengono presentate come utili per la salute dei denti. Ed è vero che i principali enti di odontoiatria, tra cui l’American Dental Association (ADA) e diverse associazioni europee, riconoscono alcuni benefici, purché si tratti di gomme senza zuccheri aggiunti.
Gli effetti positivi riconosciuti dalla scienza sono tre:
- Aumento della salivazione
Masticare stimola il flusso salivare, che aiuta a neutralizzare gli acidi presenti nella bocca, riducendo uno dei fattori di rischio per la carie. - Rimozione meccanica dei residui di cibo
Anche se molto più lieve rispetto allo spazzolamento, l’azione masticatoria può contribuire a “ripulire” la bocca dopo i pasti. - Uso di dolcificanti come lo xilitolo
Alcune gomme utilizzano xilitolo, un polialcol che non favorisce la crescita dei batteri cariogeni e, secondo numerosi studi, può ridurla.
Tuttavia, è importante ricordare ciò che gli stessi esperti ribadiscono da anni: la gomma da masticare non sostituisce mai spazzolino, dentifricio e filo interdentale. Può essere un supporto, non una soluzione.
Il rovescio della medaglia: possibili effetti collaterali
Le gomme da masticare non sono prive di limiti. In grandi quantità, alcuni dolcificanti — soprattutto sorbitolo — possono causare disturbi gastrointestinali. Masticare troppo a lungo può affaticare l’articolazione temporo-mandibolare, soprattutto in persone già predisposte. Inoltre, le gomme zuccherate aumentano il rischio di carie, annullando del tutto eventuali effetti benefici.
Un altro punto spesso ignorato è l’impatto ambientale: molti chewing gum moderni utilizzano basi sintetiche non biodegradabili, che possono resistere per anni sulle superfici urbane.
Marketing e realtà: tra promesse e percezione
Nella cultura popolare, la gomma da masticare è stata spesso raccontata come un “mini spazzolino” da portare in tasca. Un’immagine efficace, ma non completamente aderente alla realtà.
Negli anni ’80 e ’90, le campagne pubblicitarie alludevano apertamente a benefici odontoiatrici, fino a quando i regolatori europei e americani imposero criteri più rigidi sui claim sanitari. Oggi le aziende possono dichiarare effetti positivi solo se scientificamente provati, come l’aumento della salivazione.
Usare la gomma sì, ma in modo intelligente
Gli odontoiatri suggeriscono alcune semplici regole per beneficiare davvero della gomma da masticare:
- scegliere gomme senza zucchero;
- masticare 10–20 minuti dopo i pasti;
- evitare un uso eccessivo durante la giornata;
- non utilizzarla in presenza di disturbi mandibolari;
- non considerarla un sostituto dell’igiene orale.
La gomma da masticare non è un rimedio miracoloso, ma può rappresentare un piccolo aiuto quotidiano se scelta e utilizzata nel modo corretto. La sua storia, dalle resine degli antichi popoli alle mega-campagne pubblicitarie del Novecento, racconta un prodotto entrato profondamente nelle abitudini moderne.
Tra mito e realtà, la verità sta nel mezzo: la chewing gum non “cura” i denti, ma può contribuire a proteggerli, a patto che resti ciò che è sempre stata — un complemento, non il protagonista dell’igiene orale.
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