Società
Altro che “Non è un paese per vecchi”: in Italia lo è fin troppo
Secondo l’Inps, nei prossimi vent’anni l’Italia sarà abitata da milioni di pensionati over 65 e over 75 sempre più soli, con famiglie disgregate e un crollo delle nascite irreversibile. Il tutto in un Paese che invecchia a velocità doppia rispetto all’Europa, con i giovani che scappano e non tornano

Se i fratelli Coen dovessero girare oggi il loro celebre film, in Italia avrebbero qualche problema con il titolo. Perché altro che “Non è un paese per vecchi”, il nostro è ormai diventato il regno incontrastato degli anziani. E non è un’impressione da chi guarda i capelli bianchi aumentare in metropolitana: è la fotografia scattata nientemeno che dall’Inps.
Entro il 2043, ci saranno 6,2 milioni di pensionati over 65 che vivranno da soli (+38%) e 4 milioni di over 75 (+4%) sempre più isolati, senza una rete familiare capace di sostenerli. Il tutto mentre la popolazione complessiva si restringe come un maglione di lana lavato male: dai 59 milioni del 2023 ai 58,6 del 2030, fino a 54,8 nel 2050 e addirittura 46,1 nel 2080.
Una discesa lenta e inesorabile, guidata da due motori ben oliati: l’invecchiamento e il crollo della natalità. Il primo è da record: l’Italia ha l’età media più alta d’Europa (48,7 anni), contro i 44,7 della media continentale. Ma non solo: negli ultimi dieci anni è aumentata di 4 anni, mentre la media europea è cresciuta di appena 2,2.
Quanto alle nascite, qui entriamo nella zona horror del grafico: nel 2024 il tasso di fecondità è crollato a 1,18 figli per donna, nuovo minimo storico, peggio anche del famigerato 1995. E no, neppure negli scenari più ottimistici – quelli in cui si fanno finta di non vedere le bollette, i mutui e gli stipendi da fame – si riuscirebbe a compensare i decessi.
Nel frattempo, mentre i neonati si fanno desiderare, i giovani italiani tra i 25 e i 34 anni hanno preso un’altra strada: l’autostrada per l’estero. In dieci anni se ne sono andati 352 mila, ma solo 104 mila sono tornati indietro. Il che significa che non solo perdiamo residenti, ma perdiamo pure quelli con l’età e le competenze per tenere in piedi il Paese.
Risultato? Un’Italia che diventa sempre più grigia, sempre più sola, sempre più in cerca di una badante… o di un miracolo. E a questo punto, visto l’andazzo, tanto vale fare pace con i nonni, chiedergli la paghetta e preparargli un comodo divano: tanto saremo noi a doverci sedere lì molto prima di quanto immaginiamo.
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Società
Hacker etici? Sì per dare la caccia ai predatori del web e proteggere i minori
Grazie al loro lavoro, centinaia di pedofili sono già stati identificati e denunciati, e il loro contributo continua a essere fondamentale per rendere internet un luogo più sicuro per tutti, soprattutto per i più vulnerabili.

Nell’ombra del cyberspazio, dove spesso si nascondono minacce invisibili, esiste un gruppo di esperti informatici che ha scelto di usare le proprie competenze per combattere il crimine. Sono hacker, ma non quelli di cui si sente parlare in relazione ad attacchi informatici o frodi. Qui si tratta di hacker etici, conosciuti anche come white hat hackers, e hanno fatto della protezione dei più vulnerabili la loro missione. In particolare, si dedicano alla caccia ai pedofili che cercano di adescare minori online. Tra questi, il gruppo Cyber Sentinels, fondato da Volpe e Dottore (nomi di copertura). Conta oggi più di mille membri, tra esperti di cybersecurity, avvocati, studenti e tecnici informatici. Il loro obiettivo è duplice: stanare i pedofili e denunciarli alle autorità, e fornire formazione gratuita sulla sicurezza informatica e sull’hacking etico.
Come funzionano le operazioni di caccia degli hacker buoni
La strategia degli hunter, ovvero i cacciatori digitali, segue uno schema preciso. Entrano nei canali pubblici di chat, dove il rischio di adescamento è più alto, e si fingono adolescenti. È qui che iniziano a intercettare i predatori digitali, individui che cercano di instaurare un dialogo con minori fingendosi amici o confidenti. Quando un pedofilo abbocca, lo spingono a scoprirsi con tecniche di ingegneria sociale. Ovvero manipolazione psicologica: raccontano di vite difficili, assenza di figure genitoriali, cercando di far abbassare le difese del criminale. A quel punto, il pedofilo inizia a chiedere foto, video o incontri, e gli hacker raccolgono prove cruciali per l’incriminazione. Una delle fasi chiave è il passaggio su Telegram, dove gli hacker hanno strumenti avanzati per risalire all’identità dell’adescatore attraverso indirizzi IP e numeri di telefono. Quando raccolgono informazioni sufficienti, preparano un fascicolo digitale con chat, foto, email e profili social, e lo inviano alla Polizia Postale, al Moige o al Telefono Azzurro per l’intervento immediato delle autorità.
Qual è il profilo dei predatori digitali?
Secondo l’esperienza degli hacker etici, i pedofili online sono sempre uomini, con età che variano dai 30 ai 70 anni, provenienti da ogni parte d’Italia. Alcuni hanno un buon livello di istruzione, altri meno, ma il comportamento è spesso lo stesso: cercano di instaurare un rapporto di fiducia con la vittima, per poi farla cadere in una trappola psicologica. L’aspetto più inquietante è che, nel 90% dei casi, le prime domande che pongono riguardano l’abbigliamento: “Sei in pigiama?”. È il primo segnale che permette agli hacker etici di identificare una possibile minaccia.
L’impegno contro la cyberpedofilia
I forum del dark web, dove si vendono droga, malware e servizi illegali, vietano categoricamente la pedopornografia. Questo dimostra quanto sia considerato abominevole persino tra i criminali informatici. La lotta contro la cyberpedofilia è una priorità assoluta per le forze dell’ordine, che intervengono con la massima urgenza quando ricevono segnalazioni dettagliate e documentate. Per questo motivo, il lavoro degli hacker etici è prezioso. Agiscono lì dove spesso le autorità hanno difficoltà a operare in tempo reale, prevenendo abusi e aiutando a mettere sotto processo chi sfrutta il web per compiere crimini contro i minori.
Come proteggere i minori online
Se il lavoro degli hacker etici è fondamentale, altrettanto importante è la prevenzione. Tra i diversi consigli per i genitori al primo posto è quello di dare ai figli il cellulare il più tardi possibile. Installare software di parental control per limitare l’accesso a contenuti pericolosi. Importante monitorare proattivamente l’attività online dei ragazzi, verificando siti, app e contatti. E naturalmente serve insegnare la consapevolezza digitale, spiegando i rischi legati alle interazioni con sconosciuti. Infine fare molta attenzione ai videogiochi online, dove i pedofili possono infiltrarsi fingendosi altri giocatori.
Hacker al servizio del bene
Gli hacker etici dimostrano che la tecnologia non è solo un’arma per i criminali, ma può diventare un potente strumento di protezione. Il loro operato è una risposta concreta a una delle minacce più oscure del web, e il loro impegno offre una speranza. Il cyberspazio può essere reso più sicuro, se chi lo conosce lo usa per combattere il male.
Società
Perché continuano le chiamate spam?
Nonostante le difficoltà, il continuo miglioramento delle normative e delle misure di controllo può aiutare a ridurre il fenomeno del telemarketing molesto nel tempo.

Con l’attivazione del registro delle opposizioni, due anni fa, sembrava finalmente arrivata l’inizio di una nuova era. Quella nella quale non saremmo più stati disturbati da chiamate telefoniche indesiderate. Purtroppo molti di noi continuano ancora a ricevere chiamate di telemarketing molesto. Vediamo perché succede questo e quali sono le iniziative del Garante Privacy per contrastare il fenomeno.
Cos’è il registro delle opposizioni e come funziona?
Il registro pubblico delle opposizioni (RPO) è un servizio gratuito istituito nel 2022 dal Ministero dello Sviluppo Economico. Consente ai cittadini di opporsi alle chiamate promozionali, inclusi i numeri cellulari. Iscrivendosi al registro, i consensi alla pubblicità rilasciati in precedenza vengono annullati, ma è necessario rinnovare l’iscrizione per annullare eventuali nuovi consensi.
Ancora troppe telefonate spam?
Ci sono diverse ragioni per cui le chiamate di telemarketing persistono. La prima riguarda la violazione continua da parte degli operatori. Nonostante l’iscrizione al RPO, alcuni operatori continuano a utilizzare illegalmente numeri di telefono per le loro campagne. La seconda riguarda la circolazione di liste telefoniche illegali. Molti call center si avvalgono di liste telefoniche ottenute illegalmente. Questi database possono contenere numeri di telefono raccolti senza il consenso degli utenti. La terza riguarda i consensi rilasciati successivamente all’iscrizione presso l’RPO. Se dopo l’iscrizione al registro si rilascia nuovamente il consenso alla pubblicità, le chiamate continueranno.
Le iniziative del Garante Privacy
Il Garante della Privacy ha avviato numerose iniziative per contrastare il telemarketing molesto tra queste l’imposizione di nuove significative sanzioni inflitte agli operatori che violano le norme. Nel 2024, ad esempio, Eni Plenitude e Enel Energia sono state multate rispettivamente per 6 e 79 milioni di euro per telemarketing aggressivo. Inezie rispetto agli incassi dei due colossi. Ci sarebbe anche un codice di condotta per i call center approvato nel 2024. Il codice di condotta prevede misure specifiche per garantire la correttezza del trattamento dei dati.
Dopo l’iscrizione all’RPO cosa posso fare per stoppare questo fastidio?
I cittadini possono segnalare le chiamate moleste al Garante tramite un modulo disponibile sul sito ufficiale. Come proteggersi? Oltre all’iscrizione al RPO e al rinnovo periodico, ci sono altre misure che possono aiutare a ridurre le chiamate di telemarketing come evitare di fornire il proprio numero di telefono su siti non affidabili e leggere attentamente le condizioni di utilizzo. Bloccare i numeri. Come? Utilizzando app come Truecaller e Should I Answer specifiche per bloccare le chiamate dei call center. Inoltre si può e si deve segnalare le chiamate moleste al Garante della Privacy per contribuire all’identificazione degli operatori scorretti.
Lifestyle
Basta cambio vita… gli italiani in fuga dal senso di insoddisfazione
Quasi un italiano su dieci – l’8%, per la precisione –, mollerà tutto e cambierà vita «a breve, al massimo entro un anno». Uno su quattro confida di farlo «sicuramente più avanti», mentre addirittura uno su due lo vorrebbe ma al momento «è solo un’idea o un sogno nel cassetto».

Almeno una volta nella vita tutti abbiamo avuto la tentazione di cambiare vita, lasciare il nostro lavoro, la nostra citta e tutti gli stress connessi. Chi vorrebbe scappare al mare, chi sperduto in altissima montagna, chi in un altro Paese anche a migliaia di chilometri. E in effetti quella di mollare tutto e rifarsi una nuova vita è una tentazione condivisa da molti. Secondo un’analisi condotta da Hays Italia e Serenis almeno un italiano su due vorrebbe cambiare vita. E uno su dieci lo farà a breve. A pesare c’è sostanzialmente l’insoddisfazione sul lavoro.
La ricerca della felicità
Quasi un italiano su dieci (8%) cambierà vita “a breve, al massimo entro un anno“. Uno su quattro confida di farlo “sicuramente più avanti“, mentre uno su due lo vorrebbe ma per ora è solo un sogno. Solo il 9% degli italiani ammette di essere soddisfatto della propria situazione attuale.
Un’analisi sull’insoddisfazione professionale
L’analisi, condotta da Hays Italia e Serenis, ha coinvolto quasi mille persone. Soltanto il 28% degli intervistati si è dichiarato “molto o abbastanza” soddisfatto del proprio lavoro. Il 38% ha risposto “poco o per nulla”, e il 34% si è detto “mediamente” soddisfatto.
Le principali ragioni per cambiare vita
Tra le principali ragioni che spingono gli italiani a cambiare città e lavoro troviamo nel 60% dei casi è la ricerca la propria felicità, migliorare la qualità della vita per il 57%. Per il 45% la motivazione sarebbe avere più tempo e allontanarsi da ritmi meno frenetici. E naturalmente la riduzione dello stress (44%). Il 59% dei partecipanti si trasferirebbe in una città di mare, il 31% in un’isola, il 29% in montagna, il 23% in campagna e il 21% in una città d’arte. Le metropoli sono solo seste (20%), mostrando un desiderio di fuga dal caos e dall’inquinamento urbano.
Ma una volta che ti trasferisci che vuoi fare?
Il 32% sogna di avviare un’attività in proprio in un settore totalmente nuovo, aprire un B&B o un agriturismo (28%), lavorare vivendo in campagna o montagna (26%), viaggiare tutto l’anno svolgendo lavori saltuari, diventare artista/influencer, o aprire il famoso chiringuito. Un sogno che da decenni perseguita generazioni di nostri connazionali.
Chi vuole scappare?
Il lavoratore tipo che non vede l’ora di dare le dimissioni non mostra particolari differenze di genere. Vive principalmente da solo, ha dai 50 ai 64 anni, ha spesso un profilo alto (C-level) ma include anche i giovani appena entrati nel mondo del lavoro. In genere vive in comuni molto piccoli (meno di 5.000 abitanti) o medio grandi (100.000-500.000 abitanti) e lavora in grandi aziende.
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