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Società

Madri, staffette, combattenti: la Liberazione delle donne

Le donne della Resistenza italiana: oltre le cifre, le medaglie mancate e le celebrazioni tardive, il loro contributo fu decisivo. E dimenticato troppo a lungo.

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    Non erano eroine per vocazione, né militanti per posa. Le 35mila donne che dal 1943 al 1945 parteciparono alla Resistenza italiana cercavano, più semplicemente, una vita degna. Lottavano per la libertà in un Paese che le voleva mute e chiuse in casa. Furono madri, staffette, combattenti. E troppo spesso, vittime.

    Molte salirono in montagna, armi in spalla. Altre rimasero nelle città, invisibili ma essenziali: trasportavano messaggi e munizioni, curavano i feriti, nascondevano i fuggiaschi. Alcune pagarono con la vita: oltre 4.500 vennero arrestate, torturate, condannate; 623 morirono fucilate, impiccate, o in combattimento. Altre tremila furono deportate nei lager.

    Eppure, alla Liberazione, non ci fu gloria. Non una donna in prima fila nei cortei delle città liberate, nonostante la loro guerra fosse stata vera almeno quanto quella dei partigiani armati. Appena una trentina furono le decorazioni al valore militare assegnate al femminile. Come se l’antifascismo, al femminile, non potesse fare notizia.

    Solo trent’anni dopo, il silenzio cominciò a incrinarsi. Liliana Cavani girò nel 1965 il documentario Le donne nella Resistenza, e nel 1975 il trentennale accese i riflettori su una verità storica fin lì ignorata: il ruolo delle donne non fu marginale né di contorno. Fu centrale, costitutivo, e soprattutto consapevole.

    Le combattenti

    C’era Germana Boldrini, diciassette anni, che il 7 novembre 1944 lanciò il primo colpo nella battaglia di Porta Lame a Bologna. Al suo fianco, donne come Norma Barbolini, che prese il comando di un’intera divisione partigiana. Iris Versari, invece, scelse la morte per non finire catturata e torturata. Il suo corpo venne appeso in piazza a Forlì come monito.

    Molte, invece, subirono violenze indicibili. Angela Lazzarini, fucilata dopo essere stata stuprata dal suo stesso carnefice. Nei carceri italiani, come quello di San Michele a Vicenza, le partigiane furono seviziate sistematicamente. Ma non parlarono mai.

    Le staffette

    C’erano anche le staffette. Ragazzine che camminavano per giorni con lettere, ordini, armi. Anna Cherchi, ad appena diciott’anni, si lasciò catturare da una colonna nazista per salvare il suo gruppo. Fu torturata con scariche elettriche, le vennero strappati 15 denti, poi deportata a Ravensbrück.

    Marisa Ombra, partigiana piemontese, ha descritto con lucidità quel lavoro nascosto: “Possedevano prontezza di riflessi, lucidità, sangue freddo. Dovevano improvvisare, mentire, resistere. Una scuola di sopravvivenza costruita secolo dopo secolo sotto il patriarcato”.

    Le madri

    E infine, le madri. Quelle che restavano a casa, che cucivano abiti, nascondevano fuggiaschi, mandavano in montagna i pacchi viveri. Quelle che piangevano figli morti o dispersi.

    Maria Giraudo perse due figli in una rappresaglia. La madre di Anna Maria Enriques Agnoletti la vide andare incontro alla fucilazione. Genoveffa Cocconi, la madre dei fratelli Cervi, morì d’infarto un anno dopo l’eccidio. «Torno a stare con i figli miei», disse ad Alcide.

    Una memoria ancora viva

    Oggi, ottant’anni dopo, non bastano le lapidi a raccontare il coraggio. Quelle donne non combattevano solo contro il fascismo, ma contro un’idea di società che non le voleva né libere né protagoniste. La loro fu una doppia liberazione.

    E se ogni 25 aprile ricordiamo chi ci ha resi liberi, dovremmo ricordare anche chi lo fece in silenzio, con le mani spaccate e le scarpe rotte. Con i denti stretti. Con il cuore pieno di rabbia e futuro.

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      Lifestyle

      In attesa delle Olimpiadi invernali Cortina come Venezia: chi vuole entrare paga

      Reinhold Messner sostiene che pagare un ticket per entrare a Cortina sarebbe una misura necessaria per difendere le Dolomiti dal turismo aggressivo, preservando le montagne per escursionisti e ciclisti.

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        In attesa dell’inzio delle prossime Olimpiadi Invernali di Cortina che si svolgeranno dal 6 al 22 febbraio del 2026, resta sempre valida la proposta di Reinhold Messner di introdurre un ticket d’ingresso per accedere a Cortina. Inoltre lo scalatore vorrebbe fare pagare un ticket a tutti quelli che attraversano e scalano i passi dolomitici. Una proposta che ha suscitato un dibattito acceso tra i sostenitori della conservazione ambientale e coloro che ritengono che la montagna debba rimanere accessibile a tutti.

        Cosa dice l’uomo dei 14 ottomila metri scalati

        Messner sostiene che questa misura sarebbe necessaria per difendere le Dolomiti dal turismo aggressivo, preservando le montagne per escursionisti e ciclisti e riducendo l’impatto ambientale e il rumore causato dal flusso turistico.

        Ma il sindaco non ci sta

        Tuttavia, il sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi, ha respinto categoricamente la proposta, affermando che la fragilità della montagna richiede una gestione diversa e più olistica. Lorenzi ritiene che non sia accettabile precludere l’accesso alla montagna a chiunque venga a visitarla. E quindi? Quindi propone di studiare un progetto ampio che coinvolga tutti gli attori interessati per trovare soluzioni sostenibili e condivise. Intando le Olimpiadi si avvicinano…

        Mentre Messner solleva preoccupazioni legate alla preservazione ambientale e alla sostenibilità del turismo in montagna, il sindaco di Cortina, a differenza del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, fa i suoi conti e suggerisce che qualsiasi misura restrittiva debba essere parte di un piano ben studiato. Ma soprattutto condiviso da tutte le parti interessate. La questione rimane aperta e richiederà un dibattito approfondito e un coinvolgimento attivo delle autorità e della comunità locale per trovare una soluzione che bilanci le esigenze di conservazione ambientale con il desiderio di accessibilità e fruibilità delle montagne.

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          Società

          Altro che “Non è un paese per vecchi”: in Italia lo è fin troppo

          Secondo l’Inps, nei prossimi vent’anni l’Italia sarà abitata da milioni di pensionati over 65 e over 75 sempre più soli, con famiglie disgregate e un crollo delle nascite irreversibile. Il tutto in un Paese che invecchia a velocità doppia rispetto all’Europa, con i giovani che scappano e non tornano

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            Se i fratelli Coen dovessero girare oggi il loro celebre film, in Italia avrebbero qualche problema con il titolo. Perché altro che “Non è un paese per vecchi”, il nostro è ormai diventato il regno incontrastato degli anziani. E non è un’impressione da chi guarda i capelli bianchi aumentare in metropolitana: è la fotografia scattata nientemeno che dall’Inps.

            Entro il 2043, ci saranno 6,2 milioni di pensionati over 65 che vivranno da soli (+38%) e 4 milioni di over 75 (+4%) sempre più isolati, senza una rete familiare capace di sostenerli. Il tutto mentre la popolazione complessiva si restringe come un maglione di lana lavato male: dai 59 milioni del 2023 ai 58,6 del 2030, fino a 54,8 nel 2050 e addirittura 46,1 nel 2080.

            Una discesa lenta e inesorabile, guidata da due motori ben oliati: l’invecchiamento e il crollo della natalità. Il primo è da record: l’Italia ha l’età media più alta d’Europa (48,7 anni), contro i 44,7 della media continentale. Ma non solo: negli ultimi dieci anni è aumentata di 4 anni, mentre la media europea è cresciuta di appena 2,2.

            Quanto alle nascite, qui entriamo nella zona horror del grafico: nel 2024 il tasso di fecondità è crollato a 1,18 figli per donna, nuovo minimo storico, peggio anche del famigerato 1995. E no, neppure negli scenari più ottimistici – quelli in cui si fanno finta di non vedere le bollette, i mutui e gli stipendi da fame – si riuscirebbe a compensare i decessi.

            Nel frattempo, mentre i neonati si fanno desiderare, i giovani italiani tra i 25 e i 34 anni hanno preso un’altra strada: l’autostrada per l’estero. In dieci anni se ne sono andati 352 mila, ma solo 104 mila sono tornati indietro. Il che significa che non solo perdiamo residenti, ma perdiamo pure quelli con l’età e le competenze per tenere in piedi il Paese.

            Risultato? Un’Italia che diventa sempre più grigia, sempre più sola, sempre più in cerca di una badante… o di un miracolo. E a questo punto, visto l’andazzo, tanto vale fare pace con i nonni, chiedergli la paghetta e preparargli un comodo divano: tanto saremo noi a doverci sedere lì molto prima di quanto immaginiamo.

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              Società

              Son tutte belle le mamme del mondo: i nostri più affettuosi auguri per oggi!

              La Festa della Mamma 2025 cade oggi. In Italia, infatti, la data non è più fissa all’8 maggio ma mobile, come in molti altri Paesi. LaCity Mag ti spiega perché è cambiata la data, le origini religiose e commerciali della ricorrenza, le differenze con altri Paesi del mondo e quali sono i fiori più regalati per questa giornata speciale. Un’occasione anche per riflettere sul ruolo cruciale che le madri continuano ad rivestire nella società.

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                Tutte le mamme è una canzone del 1954 con la quale Giorgio Consolini vinse il Festival di Sanremo di quell’anno, cantando in coppia con Gino Latilla. Quest’ultimo la cantò guardando la madre seduta in prima fila, col viso segnato da lacrime di vera commozione. Il brano rappresenta un vero e proprio classico della canzone nostrana, con alcune espressioni nel testo che sono diventate ormai proverbiali: “gli anni passano, e i bimbi crescono”, per esempio. Certo, per la sensibilità attuale la canzone che loda così tanto la maternità risulta un po’ troppo retorica e se svogliamo “svenevole”… tuttavia è ancora nei ricordi e nelle orecchie di tante persone.

                Il cambiamento con la data mobile

                Sicuramente torna alla mente oggi, giorno nel quale si festeggia la Festa della Mamma, in linea con la tradizione ormai consolidata che la vuole fissata alla seconda domenica di maggio. Fino a pochi decenni fa, in Italia si festeggiava l’8 maggio. Ma dal 2001 è stato deciso di adottare una data mobile per allinearsi al modello anglosassone, dando più spazio alle celebrazioni familiari nel weekend.

                Perché in Italia non si celebra più l’8 maggio?

                L’8 maggio coincide con una ricorrenza religiosa cattolica, quella della Madonna del Rosario di Pompei, ma a partire dagli anni Duemila si è preferito spostare la Festa della Mamma alla seconda domenica del mese per motivi pratici e culturali. La scelta consente a più famiglie di riunirsi e celebrare con calma, lontano dagli impegni lavorativi e scolastici della settimana.

                Il cuore della famiglia e della società: il ruolo della madre

                Oltre la ricorrenza, la Festa della Mamma è un momento per riconoscere la centralità della figura materna nella società. Le madri sono, da sempre, il primo punto di riferimento emotivo, educativo e affettivo. Custodi di valori, artefici silenziose del benessere familiare, le mamme rappresentano una colonna portante del tessuto sociale. Nelle epoche passate come oggi, il loro ruolo è insostituibile: sostenitrici nei momenti difficili, educatrici, lavoratrici, donne resilienti. Celebrare questa giornata significa dare voce a un impegno quotidiano spesso invisibile, ma fondamentale per il futuro di ogni comunità.

                Le origini della ricorrenza, tra religione e marketing

                La Festa della Mamma in Italia, come la conosciamo oggi, nasce negli anni Cinquanta, con una doppia motivazione: da un lato la devozione a Maria, madre di Gesù, e dall’altro un’intuizione commerciale. Nel 1952 a Brescia, grazie a Emma Lubian Missiaia, si organizzò la prima celebrazione moderna, coinvolgendo i bambini delle scuole che regalarono lavoretti alle proprie madri. Una consuetudine che ha attraversato i decenni ed è ancora viva oggi.

                La Festa della Mamma nel mondo: quando si celebra?

                Non esiste una data unica per la Festa della Mamma a livello globale. Ecco alcuni esempi:

                USA, Giappone, Australia: seconda domenica di maggio (come l’Italia)

                Spagna, Portogallo, Ungheria: prima domenica di maggio

                Paesi arabi: coincidenza con l’equinozio di primavera

                Russia: ultima domenica di novembre

                Armenia: 7 aprile

                Balcani: 8 marzo, in concomitanza con la Giornata della Donna

                Il fiore simbolo della Festa della Mamma

                Secondo una recente indagine Coldiretti, quasi 6 italiani su 10 scelgono di regalare fiori per la Festa della Mamma. Ecco i più amati:

                Rosa: amore incondizionato

                Orchidea: eleganza e purezza

                Azalea: simbolo femminile per eccellenza

                Begonia: gratitudine e riconoscenza

                Ognuno di questi fiori è un messaggio d’amore, un piccolo gesto per onorare chi ogni giorno, spesso in silenzio, costruisce e protegge il cuore della famiglia.

                Un giorno per dire grazie, ogni giorno per dimostrarlo

                Che si tratti di regalare un fiore, un pensiero fatto a mano o semplicemente una giornata in famiglia, la Festa della Mamma rimane un’occasione speciale per dire grazie alle figure materne. Anche se non si festeggia più l’8 maggio, il significato profondo della giornata resta immutato: celebrare l’amore più grande e universale che ci sia, riconoscendo il contributo insostituibile delle madri di ieri, di oggi e di domani.

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