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Parigi fa pagare un parcheggio speciale ai SUV. E noi?

La normativa introdotta a Parigi rappresenta un tentativo di gestire la crescita irrefrenabile dei veicoli ingombranti, in particolare i SUV. Tuttavia, affrontare il problema delle dimensioni dei veicoli richiede una strategia complessiva che consideri non solo i SUV, ma anche le auto di tutte le categorie. Soluzioni innovative per i parcheggi e una maggiore diversificazione dell’offerta dei veicoli potrebbero aiutare a risolvere questo complesso rebus per gli automobilisti e le città.

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    Da qualche mese il Comune di Parigi ha introdotto una normativa che prevede la valutazione delle dimensioni, del peso e del consumo di carburante dei veicoli per determinare il costo orario di parcheggio. Questa misura mira a contrastare la presenza massiccia di SUV nella capitale francese e sta già influenzando altre città europee, come Milano, che stanno considerando di adottare strategie simili.

    Pagare in base alle dimensioni dei Veicoli

    I SUV, soprattutto quelli di medie e grandi dimensioni, sono spesso criticati per il loro peso e i consumi elevati. Tuttavia, il problema delle dimensioni non riguarda solo i SUV. Le auto di tutte le categorie, inclusi i veicoli urbani, sono diventate più larghe e lunghe nel tempo. La cessazione della produzione della Smart Fortwo, ad esempio, ha limitato le opzioni per chi cerca veicoli esclusivamente urbani, favorendo l’aumento delle immatricolazioni di quadricicli leggeri.

    Veicoli sempre più lunghi

    Secondo una ricerca di Transport & Environment (T&E), ogni due anni le auto diventano più larghe di circa 1 cm. Attualmente, con una larghezza media di 180,3 cm, il 52% delle nuove auto vendute è troppo largo per gli spazi di parcheggio standard in molti Paesi. Questo fenomeno interessa non solo i SUV, ma anche molte altre categorie di veicoli.

    I parcheggi restano inadeguati

    In Europa, tutti i veicoli devono rispettare una larghezza massima di 255 cm, che siano auto, autobus o camion. Questo standard uniforme crea un paradosso poiché i parcheggi standard da 180 cm e persino quelli da 240 cm risultano spesso troppo stretti. Molti SUV moderni hanno una larghezza di circa 200 cm, rendendo difficile salire e scendere dai veicoli nei parcheggi.

    Ci sono anche problemi di sicurezza

    L’altezza dei SUV, sebbene non influenzi direttamente l’occupazione del suolo, li rende più pericolosi per i pedoni e i ciclisti in caso di incidenti. Le carreggiate, sempre più strette e le piste ciclabili ricavate con semplici linee sull’asfalto, aggravano la situazione, aumentando i rischi per tutti gli utenti della strada.

    Quali soluzioni adottare per contenere le dimensioni

    La tendenza a ridurre la presenza di veicoli nei centri urbani, insieme a tariffe maggiorate per le auto ingombranti, crea difficoltà per chi ha bisogno di una vettura da famiglia. Molti costruttori si sono concentrati sulla produzione di SUV, lasciando poche alternative ai consumatori. Inoltre, molti box privati, progettati decenni fa, non sono più adeguati per contenere i veicoli moderni, complicando ulteriormente la situazione dei parcheggi.

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      Società

      Settimana corta: perché l’80% degli italiani la desiderano

      Un sondaggio rivela che l’80% degli italiani desidera la settimana corta per migliorare il benessere e la produttività. Ecco i motivi di questa tendenza e i benefici percepiti.

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        La settimana lavorativa di quattro giorni sta diventando un argomento sempre più popolare in Italia. Un recente sondaggio ha rivelato che l’80% degli italiani sarebbe favorevole a ridurre i giorni di lavoro settimanali da cinque a quattro. Questa soluzione è vista come un modo per migliorare la qualità della vita e aumentare la produttività.

        I motivi della richiesta

        I principali motivi dietro questa richiesta includono il desiderio di un migliore equilibrio tra vita professionale e personale, la riduzione dello stress e un aumento del tempo libero da dedicare a famiglia e hobby. Inoltre, molti credono che una settimana corta possa portare a una maggiore efficienza lavorativa, con dipendenti più riposati e motivati.

        Esperienze internazionali

        La settimana lavorativa di quattro giorni non è un concetto nuovo e ha già mostrato risultati positivi in vari paesi. Ad esempio, esperimenti in Islanda e Nuova Zelanda hanno dimostrato che i lavoratori possono mantenere o addirittura aumentare la loro produttività con una settimana più breve, riducendo allo stesso tempo il burnout e migliorando la loro soddisfazione generale.

        Cambiamento epocale

        L’interesse per la settimana lavorativa corta in Italia riflette un cambiamento più ampio verso una maggiore attenzione al benessere dei lavoratori. Mentre il dibattito continua, è chiaro che molti italiani vedono questa come una soluzione promettente per il futuro del lavoro. La transizione verso una settimana corta potrebbe rappresentare un passo significativo verso un equilibrio migliore tra vita lavorativa e personale, beneficiando sia i dipendenti che le aziende.

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          Società

          Comunicazione e Linguaggio nuova materia scolastica, la proposta al Governo per contrastare il cyberbullismo

          La proposta al Governo del giornalista Biagio Maimone, di inserire la Comunicazione come materia all’interno delle discipline scolastiche, a partire dalla scuola dell’obbligo

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            Una nuova disciplina scolastica per imparare fin da piccoli il valore della parola e della comunicazione. È questa la proposta del giornalista Biagio Maimone, direttore della Comunicazione dell’associazione Bambino Gesù del Cairo, che annuncia un progetto destinato al Governo e al Ministero dell’Istruzione e del Merito: introdurre tra le materie di studio, a partire dalle elementari, “Comunicazione e Linguaggio”.

            L’idea nasce dalla constatazione che i nuovi media, i social e l’intelligenza artificiale abbiano trasformato profondamente il modo in cui le persone comunicano, portando con sé opportunità ma anche pericoli. Cyberbullismo, incitamento all’odio, fake news e messaggi violenti sono ormai fenomeni quotidiani. Per Maimone non basta regolamentare l’uso delle tecnologie: serve un intervento educativo che insegni a distinguere i contenuti positivi da quelli nocivi, sviluppando consapevolezza critica e valori di rispetto reciproco.

            «La parola fonda i significati vitali dell’esistenza umana», sostiene il giornalista, «ma oggi troppo spesso viene distorta e trasformata in arma di offesa. È necessario formare i giovani a un linguaggio umanizzante, dialogante e non conflittuale».

            Il progetto, ancora in fase di stesura, prevede di fornire agli studenti strumenti culturali e deontologici che permettano loro di affrontare con preparazione i nuovi linguaggi tecnologici. L’obiettivo è contrastare l’impoverimento delle relazioni umane causato da una “subcultura comunicativa” basata su superficialità e violenza verbale.

            Maimone intende consultare l’Ordine dei Giornalisti per formalizzare l’iniziativa e rafforzarne il profilo istituzionale. Alla base c’è la convinzione che la scuola e le istituzioni abbiano il compito di insegnare il valore della parola come veicolo di dialogo, gentilezza, fratellanza e crescita collettiva.

            «Siamo a una svolta epocale», conclude, «l’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie devono essere governate da un’opera educativa che parte dall’infanzia. Solo così eviteremo danni irreparabili e costruiremo una società fondata sull’amore e sul rispetto reciproco».

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              Dress code a scuola: no hot pants, jeans strappati e unghie lunghe. I presidi diventano stylist

              Camicie hawaiane sì, shorts e top no. Docenti e bidelli inclusi nei divieti. Vietati anche piercing, tacchi a spillo e cappellini in aula

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                Altro che libri e quaderni: il primo giorno di scuola in Italia comincia con il regolamento sugli abiti. Tre parole ricorrono in tutte le circolari: “sobrio, decoroso, consono”. A Taormina hanno persino stampato un depliant con disegni e figurini: via libera a t-shirt, polo, felpe, camicie di flanella e persino il tuxedo; croce rossa su shorts, minigonne, reggiseni sportivi e jeans strappati.

                Il messaggio è chiaro: la scuola non è una passerella e nemmeno una spiaggia. Ad Ugento il divieto vale pure per professori, segretarie e bidelli: tutti devono dare l’esempio, «perché il rispetto dell’istituzione passa anche dall’abbigliamento». A Pisa, al liceo Matteotti, stop totale: vietati pantaloncini e top “di qualsiasi misura e lunghezza”. A Firenze, invece, la preside del Giovanni da San Giovanni concede la deroga estiva: pantaloni corti sì, ma solo fino al ginocchio.

                In palestra la lista dei no si allunga: niente collane, orologi e spille, meglio togliere persino gli occhiali da vista. A Pomigliano d’Arco bandite zeppe e tacchi vertiginosi «per motivi di sicurezza in caso di evacuazione». A Partinico è vietato mostrare piercing sull’ombelico o sfoggiare unghie a stiletto; a Varese, addirittura, la lunghezza massima è fissata a mezzo centimetro.

                Poi c’è il capitolo cappelli: banditi cappucci e berretti in classe, per lasciare il volto scoperto ed evitare l’uso di cuffiette nascoste. Eccezioni ammesse solo per motivi religiosi o di salute.

                Chi controlla? «Tutto il personale scolastico», spiegano a Civitavecchia. Le sanzioni vanno dalla nota sul registro fino all’allontanamento, come accade a Siracusa, dove la preside chiarisce: «Non è questione di centimetri di pelle scoperta, ma di rispetto del contesto».

                La regola insomma resta la stessa, da Nord a Sud: niente look da spiaggia, niente passerelle. L’unica eccezione? Chi ha il braccio ingessato può indossare la canotta. Gli altri, tutti in fila con t-shirt e jeans integri.

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