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Società

Squillo e truffe: perché ci chiamano da numeri strani e come possiamo difenderci

Le telefonate indesiderate sono all’ordine del giorno. Ma perché i truffatori scelgono proprio noi? Scopriamo le loro strategie e come proteggerci da raggiri sempre più sofisticati.

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    Hai mai ricevuto una chiamata da un numero che non riconosci? E hai mai sentito quella vocina che ti suggeriva di richiamare per capire chi fosse? Se la risposta è sì, non sei solo. Le truffe telefoniche sono un fenomeno sempre più diffuso e sofisticato, che mette a rischio la nostra sicurezza e le nostre finanze. Ma perché i truffatori scelgono proprio noi? E come possiamo difenderci?

    Quali sono le ragioni delle truffe telefoniche

    Le motivazioni che spingono i truffatori ad agire sono diverse. Il fine ultimo è sempre quello di ottenere denaro dalle vittime, attraverso richieste di pagamento, adesioni a servizi a pagamento o sottrazione di dati personali. Poi troviamo il tentativo di rubare i dati che raccogliamo sui nostri smartphone sono un vero e proprio tesoro per i criminali informatici. Nomi, cognomi, indirizzi, numeri di carta di credito. Insomma tutte informazioni preziose per compiere identità digitali e mettere a segno truffe più sofisticate. Infine per alcuni truffatori perversi il fine ultimo è trarre piacere dal manipolare le loro vittime, instillando in loro paura o ansia.

    Le tecniche più comuni

    I truffatori utilizzano una vasta gamma di tecniche per ingannare le loro vittime. L’ormai arcinota Wangiri, ovvero della tecnica dello “squillo e scappa” è una delle più diffuse. Il truffatore effettua una brevissima chiamata per incuriosire la vittima, che richiamerà il numero a pagamento. Quei finti premi inesistenti. Ti comunicano di aver vinto un concorso e ti chiedono di fornire i tuoi dati personali per riscuotere il premio. I falsi tecnici. Si fingono tecnici di compagnie telefoniche o di servizi pubblici e ti chiedono di accedere al tuo computer o al tuo smartphone per risolvere un problema fittizio. L’immarcescibile ricatto d’amore. Creano una relazione sentimentale online e poi chiedono denaro per motivi vari. E infine il nipote lontano che ha bisogno d’aiuto. Finti parenti in difficoltà simulano un’emergenza che coinvolge un tuo familiare e ti chiedono un aiuto economico urgente.

    Già ma come difendersi dalle truffe? Consigli ne abbiamo?…

    Ci sono diversi sistema per proteggerti dalle truffe telefoniche. Per prima cosa per esempio non rispondere a numeri sconosciuti. Se non riconosci il numero, non rispondere.
    Poi non cliccare mai su link sospetti. Se ricevi un messaggio con un link, non cliccarci sopra, soprattutto se proviene da un numero sconosciuto. Non fornire mai i tuoi dati personali a sconosciuti proteggili come fossero oro. Installa un antivirus e un software anti-malware sul tuo dispositivo. Sono strumenti che ti aiuteranno a proteggere il tuo smartphone o computer da attacchi informatici. E’ molto importante tenere aggiornato il sistema operativo e le app deltelefono. Gli aggiornamenti software contengono spesso patch di sicurezza che possono proteggerti da nuove minacce. Infine come sempre conviene sempre segnalare le truffe. Se pensi di essere stato vittima di una truffa, segnala l’accaduto alle autorità competenti.

    Attenti a quei numeri

    Sebbene la lista dei numeri sospetti sia in continua evoluzione, alcuni prefissi sono particolarmente associati a truffe: +27 (Sudafrica), +31 (Paesi Bassi), +33 (Francia), +34 (Spagna), +44 (Regno Unito), +60 (Malesia), +62 (Indonesia), +84 (Vietnam), +91 (India), +92 (Pakistan), +223 (Mali), +254 (Kenya), +351 (Portogallo) e +370 (Lituania).

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      Società

      Homeschooling: tra diritto, numeri in crescita e incognite — perché l’istruzione parentale torna sotto i riflettori

      Sempre più famiglie italiane scelgono di educare i propri figli a casa, spingendo al centro del dibattito scuola, lealtà istituzionale e vissuto quotidiano. Ma quali sono le regole, i pro e i contro reali di questa opzione?

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      Homeschooling

        Negli ultimi anni l’istruzione parentale — nota come homeschooling — ha smesso di essere considerata una scelta marginale per accendere i riflettori su di sé. In Italia il fenomeno è in forte crescita: secondo dati aggiornati, gli studenti che non frequentano la scuola tradizionale ma ricevono educazione in famiglia sono passati da circa 5.000 (nel 2017-2018) a oltre 16.800 nel 2023/2024.
        Una crescita significativa, che ha alimentato dibattiti — tra sostenitori che vedono nell’homeschooling un’opportunità educativa e critici che denunciano rischi di isolamento o mancanza di controllo.

        Origini e inquadramento legale

        L’idea che la scuola non sia l’unica via per educare i giovani non nasce oggi. Già nella Costituzione italiana, l’articolo 30 riconosce ai genitori il diritto e il dovere di “mantenere, istruire ed educare i figli”.
        Dal punto di vista giuridico, l’istruzione obbligatoria — per almeno 10 anni — può essere assolto anche al di fuori delle classiche aule, a patto che la famiglia comunichi ogni anno la propria scelta alle autorità scolastiche di competenza.

        Chi opta per l’homeschooling deve garantire di avere le “capacità tecniche ed economiche” (o affidarsi a un educatore privato), e ogni anno il percorso deve essere notificato all’istituto referenziale: è un sistema legale e regolamentato, non una zona grigia.

        Eppure, non basta: alla fine di ogni anno scolastico l’alunno che studia in casa deve sottoporsi a una verifica di idoneità, come previsto dalla normativa, per accertare che il diritto all’istruzione (e quindi l’obbligo formativo) sia effettivamente rispettato.

        Numeri e motivazioni dietro la crescita

        L’impennata dell’homeschooling è fortemente legata alla pandemia. Molte famiglie — sperimentando per necessità la didattica a distanza — hanno deciso di continuare con l’istruzione a casa anche dopo la riapertura delle scuole.

        Una recente indagine 2024 dell’associazione LAIF conferma che oggi le famiglie che scelgono l’istruzione parentale sono più numerose e variegate rispetto al passato, e adottano approcci differenti: da modelli strutturati e vicini al programma scolastico tradizionale, a forme più libere di apprendimento, come l’“unschooling”.

        Per molti genitori l’homeschooling rappresenta la possibilità di educare i figli in modo più personalizzato, flessibile e vicino ai ritmi delle singole famiglie — senza rinunciare a qualità educativa e valori.

        I pro: personalizzazione, flessibilità e rapporti familiari

        • Percorso su misura: con l’homeschooling la didattica può essere calibrata in base ai tempi di apprendimento del bambino, alle sue inclinazioni, con attenzione a interessi e potenzialità individuali.
        • Flessibilità: consente di modulare orari e metodi, adattarsi ad esigenze particolari (salute, spostamenti, stile di vita).
        • Ambiente protetto e sicuro: per famiglie che temono bullismo, stress scolastico o esigenze educative diverse, la scuola in casa offre un contesto più controllato.
        • Partecipazione attiva dei genitori: diventa un’occasione per costruire relazioni profonde, seguire da vicino lo sviluppo dei propri figli, trasmettere valori e metodi di apprendimento personalizzati.

        In molti casi, infatti, le famiglie che praticano homeschooling raccontano un’esperienza di maggiore coinvolgimento educativo, meno ansia da compiti, più serenità generale.

        I contro: isolamento, verifica e dibattito sociale

        • Ruolo sociale e relazionale della scuola: frequentare la scuola non significa solo imparare nozioni: è anche socializzazione, incontro con coetanei, esperienze di confronto e convivenza. L’homeschooling può limitare questo aspetto. Alcuni psicologi e pedagogisti avvertono del rischio che, senza interazioni regolari, i bambini possano sviluppare “ansia, frustrazione o difficoltà sociali”.
        • Controlli e qualità dell’istruzione: se le famiglie non sono supportate o poco preparate, c’è il rischio che la formazione risulti debole o parziale. La necessità di un esame di idoneità ogni anno è una tutela, ma non sempre garantisce un percorso efficace.
        • Disparità di opportunità: non tutte le famiglie dispongono del tempo, delle risorse, delle competenze per offrire un’istruzione adeguata. Questo può creare disuguaglianze.
        • Criticità in alcuni casi specifici: recenti fatti di cronaca — come la vicenda della cosiddetta “famiglia nel bosco” in Abruzzo — hanno riacceso polemiche. In quel caso, i bambini sono stati allontanati non per l’homeschooling in sé, che risultava legale, ma per questioni legate alla loro tutela, contesto abitativo e vita sociale.

        Questo genere di episodi alimenta la diffidenza dell’opinione pubblica e richieste di maggiore regolamentazione.

        Quale scuola per il futuro?

        L’homeschooling non è una “moda” né una fuga dalla scolarità: è una modalità prevista dalla legge, regolamentata e legittima. In un’Italia sempre più pluralista e complessa, rappresenta una scelta educativa che risponde a esigenze reali — ma richiede consapevolezza, responsabilità e rigore.

        Se da un lato può offrire percorsi su misura e personalizzati, dall’altro impone un dialogo costante tra famiglia, istituzioni e comunità: per verificare qualità, garantire diritti, assicurare che ogni bambino abbia accesso a un’educazione piena e integrata.

        Se l’homeschooling crescerà ancora, dovrà farlo insieme a garanzie di trasparenza, norme chiare e attenzione al benessere complessivo dei minori. Solo così potrà restare una vera alternativa e non diventare pretesto per trascurare doveri educativi e sociali.

        In un Paese che cambia, l’istruzione parentale è una domanda di libertà — e una sfida di civiltà.

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          Società

          Spray colorato contro i borseggiatori: difesa creativa o rischio legale?

          Dalle strade di Londra ai vaporetti di Venezia cresce la tentazione di usare spray colorati per “marcare” i ladri e renderli riconoscibili. Ma la legge italiana cosa prevede davvero?

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          Spray colorato contro i borseggiatori

            L’idea sembra uscita da un film d’azione, ma in alcune città europee è ormai realtà: usare uno spray colorato per segnare i borseggiatori e facilitarne l’identificazione. Una pratica nata nel Regno Unito e che, complice l’aumento dei furti nei luoghi turistici, sta attirando attenzione anche in Italia, soprattutto a Venezia, dove i borseggi sono diventati un fenomeno quotidiano e aggressivo.

            Dalla Gran Bretagna al dibattito italiano

            A Londra è da anni diffuso il “farb gel”, uno spray colorante pensato esclusivamente per uso difensivo. Non irrita, non ustiona, non provoca dolore: lascia solo una macchia indelebile per giorni su pelle e vestiti, rendendo immediatamente identificabile chi ha appena commesso un furto. Le forze dell’ordine britanniche lo riconoscono come un dispositivo legale di autodifesa, alternativo agli spray urticanti, che nel Regno Unito sono vietati ai privati.

            In Italia, lo scenario è molto diverso. A Venezia, in particolare, non sono i cittadini a usare spray colorati, bensì alcune bande di borseggiatori che impiegano spray urticanti – spesso peperoncino – come arma offensiva per confondere turisti e famiglie prima della fuga. Una pratica pericolosa e illegale che ha contribuito a far crescere l’esasperazione dei residenti.

            Parallelamente, si è iniziato a discutere – sui social e in alcuni contesti locali – dell’idea di adottare spray colorati come deterrente. Ci sono perfino testimonianze di pendolari che avrebbero spruzzato vernice sulle presunte borseggiatrici sui mezzi pubblici. Ma cosa accade sul piano normativo se si usa uno spray colorato contro un ladro, e questo decide di denunciare?

            Cosa dice davvero la legge?

            In Italia, la normativa di riferimento è quella sulla legittima difesa (art. 52 del Codice Penale).
            In sintesi: si può reagire a un’aggressione solo se la risposta è proporzionata al pericolo.

            Uno spray colorato – purché non urticante e non lesivo – rientra in una zona grigia: non è vietato, ma il suo utilizzo contro una persona non è automaticamente giustificato. Se il borseggiatore, anche colto in flagrante, decidesse di sporgere denuncia per lesioni, violenza privata o danneggiamento, la persona che ha usato lo spray dovrebbe dimostrare che:

            • era in corso un’aggressione o un furto;
            • non c’erano alternative meno impattanti;
            • la reazione è stata immediata e proporzionata.

            Se queste condizioni non ci sono, l’uso dello spray può essere considerato un eccesso di difesa.

            Il rischio dell’errore: quando l’innocente viene segnato

            Gli esperti di sicurezza sottolineano un ulteriore pericolo: lo scambio di persona.
            Spruzzare una vernice indelebile a qualcuno sulla base di un sospetto errato può portare a:

            • denunce per diffamazione,
            • richieste di risarcimento,
            • accuse per violenza privata.

            Un confine molto sottile che mostra i limiti delle “soluzioni fai da te”.

            Tra necessità e frustrazione: cittadini in prima linea

            Il problema di fondo resta la percezione, soprattutto nelle città turistiche come Venezia, di una crescente impunità dei borseggiatori e di un’impossibilità concreta di fermare i furti. I pendolari, esasperati, cercano metodi per difendersi o per segnalare i ladri. Tuttavia, senza un quadro normativo chiaro, questa creatività rischia di trasformarsi in un boomerang.

            Le forze dell’ordine, da parte loro, ricordano che il modo più efficace e sicuro per intervenire resta chiamare immediatamente gli agenti, documentare l’accaduto e non affrontare direttamente il borseggiatore.

            Innovazione o azzardo?

            Lo spray colorato potrebbe diventare uno strumento utile anche in Italia?
            Forse sì, ma solo se:

            • chiaramente regolamentato,
            • non offensivo,
            • riconosciuto dalle forze dell’ordine,
            • accompagnato da campagne informative.

            Senza norme precise, ogni uso resta potenzialmente rischioso.

            L’idea di “marcare” i borseggiatori può sembrare una soluzione rapida e creativa a un problema reale, ma scivola spesso sul piano della legalità e della sicurezza. Finché non esisterà un quadro normativo chiaro, lo spray colorato rimarrà più vicino alla cronaca e alla polemica che a una vera strategia di prevenzione urbana. In una battaglia contro i furti che, invece, richiederebbe strumenti ufficiali, formazione e interventi mirati, non improvvisazioni.

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              Società

              Giovani, lavoro e nuove strade: dal palco della Milan Games Week 2025 alla sfida reale della disoccupazione

              Mentre la disoccupazione under 30 rimane tra le più alte d’Europa, una parte della nuova generazione si reinventa da sola: imprenditori digitali, creator e startupper che trasformano le passioni in lavoro e creano occupazione. Un fenomeno che merita attenzione oltre i palchi e le retoriche.

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              Giovani, lavoro e nuove strade: dal palco della Milan Games Week 2025 alla sfida reale della disoccupazione

                Alla Milan Games Week 2025, il 30 novembre, tra console accese e folle di appassionati, c’è stato spazio per un tema molto più concreto del gaming: il lavoro. Sul palco è intervenuto Oscar Pasquali, CEO di Generation Italy, organizzazione no-profit nata nel 2018 come ramo italiano del progetto globale promosso nel 2014 da McKinsey & Company per ridurre la disoccupazione. Con lui anche due volti noti del nuovo panorama digitale: Alex Wang, imprenditore e CEO di Team Hmble, e Lorenzo Giacomin, alias Lollo Lacustre, streamer e top gamer seguito da una delle community più attive del settore.

                Pasquali ha ricordato come in Italia il mismatch tra domanda e offerta continui a frenare l’accesso al lavoro: mancano competenze digitali, tecniche e commerciali, mentre le imprese faticano a trovare profili formati. Secondo i dati ISTAT 2024, la disoccupazione giovanile si è attestata intorno al 22–23%, tra i valori più alti d’Europa. Numeri che fotografano un Paese dove l’ingresso nel mercato del lavoro resta tortuoso, soprattutto per chi non ha già una rete di appoggi o percorsi formativi mirati.

                È qui che interviene la mission di Generation Italy, che propone percorsi brevi e intensivi legati a quattro aree professionali chiave: vendite, digitale/tech, manifatturiero e transizione energetica. L’idea è semplice: individuare le esigenze reali delle imprese e preparare giovani e persone in ricollocazione con competenze immediatamente spendibili, senza richiedere esperienze pregresse. Un approccio pragmatico che prova ad accorciare le distanze tra aziende e candidati.

                Ma il panel della Games Week ha mostrato anche un altro lato della medaglia: quello dei giovani che, davanti a un mercato in affanno, decidono di non aspettare. Un fenomeno sempre più evidente nel Paese, dove migliaia di ventenni e trentenni stanno creando il proprio lavoro sfruttando i social, il marketing digitale e la capacità di trasformare una passione in un progetto imprenditoriale.

                Alex Wang ne è un esempio: Team Hmble è diventato un punto di riferimento nell’ambiente competitivo e nella produzione di contenuti legati al gaming, dimostrando come creatività e strategia possano generare business reali. Allo stesso modo Lollo Lacustre, partito da Laveno Mombello, ha costruito una community solida intorno al mobile gaming, arrivando perfino a pubblicare un libro. Storie diverse ma accomunate da un tratto: non hanno aspettato che qualcuno aprisse loro una porta, l’hanno costruita.

                Questa nuova ondata di micro-imprenditori digitali non va romanticizzata, né presa come soluzione universale: non tutti possono o vogliono diventare creator o startupper. Ma il fenomeno fotografa un cambiamento culturale evidente. In un Paese dove il lavoro tradizionale spesso non garantisce stabilità, molti giovani stanno sperimentando modelli professionali alternativi, scalabili, basati su contenuti, servizi e community. E in alcuni casi finiscono perfino per creare occupazione, assumendo collaboratori e professionisti.

                Il messaggio, dunque, è duplice. Da una parte servono politiche e programmi seri — come quelli illustrati da Pasquali — per offrire ai giovani competenze spendibili e opportunità reali. Dall’altra, è necessario riconoscere che una parte della generazione più giovane sta già ridisegnando il concetto stesso di lavoro, senza attendere permessi o benedizioni istituzionali.

                La Games Week, tra luci e videogiochi, ha offerto un piccolo specchio del presente italiano: tra disoccupazione ostinata e inventiva inesauribile, il futuro del lavoro passa da chi lo immagina, ma anche da chi decide di farselo da sé.

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