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Il Papa e la memecoin: pochi minuti dopo l’elezione nasce $LEOXIV

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    Non aveva ancora pronunciato il suo primo discorso da Papa, eppure sui social la sua “moneta” era già realtà. È bastato l’annuncio: Habemus Papam, Leone XIV, ed è comparsa la prima memecoin dedicata al pontefice. Nome? $LEOXIV. Simbolo? Ancora incerto. Valore? Volatile come l’umore di Twitter. Ma il segnale è chiarissimo: il confine tra eventi storici e cultura pop non esiste più. E il mondo delle criptovalute è sempre pronto a cavalcare l’onda.

    Memecoin è una parola che fa sorridere, finché non si guarda ai numeri. Si tratta di criptovalute nate da meme, scherzi, virali intuizioni collettive. Sono prive di utilità tecnica, di progetti concreti o reti innovative. Ma possono capitalizzare milioni, nel tempo di un tweet. Dogecoin, nata per scherzo, è oggi una delle crypto più scambiate al mondo. E non stupisce che, dopo Donald Trump e Melania, anche il Papa finisca – suo malgrado – tokenizzato.

    Il tempismo è stato perfetto: a pochi minuti dalla fumata bianca, $LEOXIV è spuntata tra i thread di Reddit, le conversazioni su Telegram e i post su X (ex Twitter). Il prezzo è schizzato, poi è crollato. Poi è risalito. Il tutto nel giro di un’ora. È così che funziona con le memecoin: l’unico vero valore è la viralità. E nulla è più virale di un evento come l’elezione di un papa, specie se è il primo nordamericano della storia.

    Chi c’è dietro il lancio? Difficile dirlo. Potrebbe trattarsi di un singolo utente con qualche conoscenza di blockchain, oppure di uno dei tanti gruppi Telegram che vivono creando e spingendo nuovi progetti effimeri. Per ora, il token ha raccolto circa 60 mila dollari di capitalizzazione. Ma come sempre con queste monete, vale il principio della roulette: chi entra troppo tardi rischia di restare con in mano solo il meme.

    Dissacrante? Forse. Ma inequivocabilmente figlio dei nostri tempi. La religione incontra la finanza decentralizzata, e il risultato è una moneta scherzosa lanciata mentre il Papa si affacciava per la prima volta dalla loggia di San Pietro. Leone XIV è diventato $LEOXIV. E, in un mondo dove tutto diventa contenuto, anche la santità è finita sulla blockchain.

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      Tech

      Caro chatbot consumi troppo. L’impatto ambientale dell’AI e dei modelli linguistici

      Quanta acqua e quanta elettricità servono per alimentare l’intelligenza artificiale? Ecco i numeri del consumo globale dei modelli generativi.

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        L’intelligenza artificiale – AI – sta rivoluzionando il nostro modo di lavorare e comunicare, ma quanto costa in termini ambientali? Secondo Sam Altman, Ceo di OpenAI, una singola richiesta a ChatGPT consuma circa 0,34 wattora di energia, più o meno quanto una lampadina ad alta efficienza per pochi minuti. Inoltre, ogni query utilizza 0,000085 galloni d’acqua, cioè un quindicesimo di cucchiaino. Ma se questi numeri sembrano irrilevanti su scala individuale, la situazione cambia drasticamente se si moltiplicano per centinaia di milioni di utenti.

        Con 800 milioni di richieste giornaliere, il consumo totale raggiunge 272 milioni di wattora al giorno, equivalenti a 272.000 kWh e a 257.000 litri d’acqua. A titolo di paragone, il prelievo idrico annuo italiano per uso potabile supera 9,14 miliardi di metri cubi, ovvero 25 miliardi di litri al giorno. Se confrontiamo questi dati, il consumo di AI appare più contenuto, ma resta significativo per un’unica tecnologia.

        L’energia dei modelli linguistici

        Una recente ricerca pubblicata su arXiv ha cercato di stimare l’impatto energetico dei grandi modelli linguistici (LLM). Alcuni sistemi avanzati, come ChatGPT-o3 e DeepSeek-R1, possono arrivare a 33 Wh per un prompt lungo, un valore 70 volte superiore rispetto ai modelli più efficienti come GPT-4.1 nano. Se si considera una media di 700 milioni di query giornaliere, l’impatto annuale dell’AI potrebbe essere paragonabile al fabbisogno energetico di 35.000 abitazioni statunitensi, contribuendo a 1,5 milioni di tonnellate di acqua evaporata e a emissioni di CO₂ tali da richiedere un’intera foresta grande quanto Chicago per essere assorbite.

        Verso un’AI più sostenibile?

        Con la continua crescita delle tecnologie AI, il tema della sostenibilità diventa cruciale. Se la superintelligenza è il futuro, come sostiene Altman, allora l’AI dovrà trovare soluzioni per ridurre il suo impatto ecologico. Intanto, gli sviluppatori stanno già lavorando per ottimizzare i consumi energetici e rendere l’intelligenza artificiale più efficiente. Perché, se oggi consumiamo una lampadina per ogni richiesta, domani potremmo farlo in modo ancora più intelligente (e sostenibile). La sfida è aperta!

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          Tech

          Telecamere amiche o spie in salotto? Il lato oscuro della videosorveglianza domestica

          Sempre più diffuse per proteggere casa e giardino, molte telecamere connesse a Internet possono trasformarsi in occhi indiscreti puntati sulla nostra vita.

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            Le telecamere che installiamo per sentirci più sicuri – videosorveglianza – sono spesso le stesse che ci espongono a rischi invisibili ma reali. Basta una configurazione sbagliata, una password lasciata di default o un dispositivo economico privo di adeguate misure di sicurezza, e chiunque là fuori nel mondo può accedere alle immagini della nostra quotidianità. E non serve nemmeno essere hacker esperti. Esistono motori di ricerca come Shodan che indicizzano dispositivi connessi alla rete, comprese le telecamere domestiche. Basta copiare un indirizzo IP in un lettore video e si aprono finestre su cucine, salotti, cortili, uffici, persino stanze da letto.

            Ci spiano anche nella stanza da letto

            In Italia si stima che oltre 70mila dispositivi siano esposti a questo tipo di vulnerabilità. Il problema è che spesso non ce ne accorgiamo, perché non riceviamo segnali evidenti e nessuno ci avvisa. Le immagini possono essere registrate, condivise, vendute, e diventare materiale per ricatti o violazioni della privacy. Alcuni casi giudiziari hanno già portato a condanne, ma il fenomeno resta sommerso. Per proteggersi è fondamentale cambiare le credenziali di accesso, aggiornare regolarmente il software del dispositivo, disattivare l’accesso remoto se non necessario e scegliere prodotti con standard di sicurezza elevati. La consapevolezza è il primo passo per evitare che la nostra telecamera diventi l’occhio di qualcun altro.

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              Tech

              L’intelligenza artificiale scrive le email spam meglio degli umani: ora è il 51% del totale

              Il dato arriva da uno studio congiunto della Columbia University e della University of Chicago, realizzato insieme all’azienda di sicurezza Barracuda. E fa impressione: nel 2022, solo il 10% delle email di spam era generato da un algoritmo. Un anno dopo erano il 40%. Ora, siamo al 51%.

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                I ricercatori parlano chiaro: «La maggior parte delle email che finiscono nella cartella spam è oggi con ogni probabilità stata scritta da un modello linguistico di grandi dimensioni». Che vuol dire? Che dietro quelle offerte sospette, le promesse di vincite clamorose, i messaggi fasulli delle banche o le truffe romantiche non c’è più un hacker maldestro con scarsa padronanza dell’inglese. C’è ChatGPT, o uno dei suoi cugini.

                Spam sempre più furbo

                Il vantaggio è evidente: le email create dall’IA sono formalmente impeccabili. Niente refusi, grammatica in ordine, toni professionali. Risultato? I sistemi automatici di rilevamento faticano di più a identificarle come truffe. Peggio: sembrano perfino più credibili delle email reali. Il confine tra legittimo e fraudolento diventa più sottile, e questo è un problema serio.

                L’altro aspetto inquietante è la velocità con cui si sta evolvendo il fenomeno. Gli spammer usano i modelli linguistici non solo per scrivere più velocemente, ma anche per “addestrare” i propri messaggi: cercano sinonimi, modificano le frasi, usano la parafrasi per evitare le blacklist. È una forma di ingegneria linguistica applicata alla truffa. E funziona.

                Serve più formazione, non solo filtri

                Secondo Barracuda, non bastano più i filtri antispam: servono strategie nuove. «La formazione resta la difesa più efficace» dice l’azienda. «Bisogna investire su corsi di sicurezza per i dipendenti, sensibilizzarli sulle minacce più recenti, insegnare loro a riconoscere i segnali di pericolo e a segnalare le email sospette».

                In altre parole: non possiamo più fidarci dell’aspetto di un’email per giudicarla sicura. L’intelligenza artificiale sa scrivere troppo bene. E dietro quel testo perfetto, oggi più che mai, potrebbe nascondersi una truffa.

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