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Troppi dati, IA rischia il collasso
Se il filosofo Ludwig Feuerbach sosteneva che “siamo ciò che mangiamo”, potremmo dire che l’IA è ciò che impara. È quindi cruciale che l’IA venga addestrata su contenuti umani di qualità, per evitare che il suo sviluppo diventi controproducente e la renda meno utile ed efficace nel tempo.

In questa fase del suo sviluppo l’intelligenza artificiale (IA) è caratterizzata da due paradossi fondamentali. Il primo riguarda l’enorme richiesta di risorse che erode riserve energetiche e idriche, oltre a contribuire alle emissioni di CO2. Anche se proprio l’IA potrebbe rappresentare una chiave per affrontare la stessa crisi climatica. Il secondo paradosso, forse più grave, è legato alla possibilità che l’IA possa presto collassare sotto il peso dei dati su cui è stata addestrata, soprattutto se continua a utilizzare modelli precedenti.
Il collasso del modello
Uno studio recente pubblicato su Nature ha evidenziato un fenomeno chiamato “Collasso del modello“. Questo effetto si verifica quando le AI, addestrate su enormi moli di dati spesso derivati da modelli precedenti, iniziano a generare contenuti sempre più di bassa qualità. Questo perché i nuovi modelli AI tendono a essere alimentati da dati preconfezionati, spesso creati da altri modelli AI, avviando un “processo degenerativo“.
Quali sono le conseguenze della possibile degenerazione
L’uso indiscriminato dei contenuti generati dall’IA porta a “difetti irreversibili” nei modelli stessi. Gli errori appresi dai modelli precedenti vengono assimilati rapidamente dai successivi, causando risposte sempre più inaccurate. Quando le AI erano addestrate su contenuti generati dall’uomo, la qualità dei dati garantiva una certa efficacia. Ora, però, i contenuti di scarsa qualità generati dalle AI stesse peggiorano progressivamente la qualità delle risposte.
Quali sono le possibili soluzioni
Per evitare che questo processo degenerativo comprometta ulteriormente l’efficacia delle AI, una soluzione potrebbe essere contrassegnare tutti i contenuti generati dall’IA. Questo permetterebbe di escludere tali contenuti dai dati di training futuri. Tuttavia, questo richiederebbe uno sforzo significativo e l’adozione di uno standard comune tra tutte le aziende di intelligenza artificiale.
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Auto senza pilota sull’autostrada del Brennero: ecco il progetto futuristico da 9,2 miliardi
Una smart highway all’avanguardia: connettività, sicurezza e transizione ecologica per un’autostrada intelligente che accoglierà veicoli a guida autonoma. I test sono già in corso e promettono di rivoluzionare la mobilità.

Il sedile del conducente vuoto, il volante che si muove da solo e gli occupanti liberi di leggere, lavorare o schiacciare un pisolino: non è fantascienza, ma la realtà che presto potrebbe materializzarsi sull’autostrada del Brennero. Grazie a un progetto da 9,2 miliardi di euro, l’A22 si prepara a diventare il primo green corridor europeo, un’autostrada intelligente progettata per accogliere veicoli a guida autonoma.
Un investimento rivoluzionario
Il piano, approvato dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, prevede non solo la manutenzione e il risanamento dell’attuale infrastruttura, ma un ammodernamento che trasformerà l’autostrada da analogica a digitale. L’obiettivo è creare una smart highway in cui i veicoli autonomi, di livello 3, dialoghino direttamente con l’infrastruttura, scambiandosi dati in tempo reale.
Carlo Costa, direttore tecnico generale di Autobrennero, spiega: «La circolazione diventa simile a quella di un convoglio ferroviario, in cui ogni veicolo si muove in relazione al precedente, garantendo sicurezza e fluidità».
Tecnologia e innovazione: il ruolo del 5G
Il cuore del progetto è il 5G, che permette una connessione continua tra i veicoli e l’autostrada. Negli scorsi mesi sono stati condotti oltre 300mila chilometri di test, con scenari simulati che hanno coinvolto anche una colonna di tir: solo il primo camion era guidato da un autista, mentre gli altri seguivano in modo autonomo. «Oggi un veicolo predisposto può già dialogare con l’autostrada», conferma Autobrennero.
Un modello di mobilità sostenibile
Il progetto punta anche a favorire la transizione ecologica. La guida autonoma, infatti, permette una maggiore efficienza nei consumi e una riduzione delle emissioni, contribuendo a un sistema di mobilità più sostenibile.
La guida autonoma: un’anticipazione dal mondo
Se l’A22 si prepara a fare da apripista in Europa, negli Stati Uniti la guida autonoma è già realtà. Vasco Rossi, il rocker di Zocca, ha recentemente provato un taxi senza autista a Los Angeles, definendolo una “esperienza incredibile” sui suoi profili social. Un assaggio di ciò che potremmo vivere presto anche sulle strade italiane.
Cosa aspettarsi dal futuro
Con l’introduzione della guida autonoma sull’A22, l’Italia si posiziona all’avanguardia nel panorama europeo. Una trasformazione epocale che promette di rivoluzionare non solo la mobilità, ma anche l’esperienza degli automobilisti, portando sicurezza, innovazione e sostenibilità su uno dei tratti più strategici del Paese.
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Chi è David Mayer e soprattutto perchè non piace a ChatGpt?
Il chatbot di OpenAI restituisce un messaggio di errore ogni volta che legge il nome di David Mayer e nessuno sa il perché.

Cosa ci sarà mai dietro il misterioso caso del nome David Mayer e il bizzarro comportamento di ChatGPT? Basta digitare sulla piattaforma di AI la fatidica domanda “Chi è David Mayer?” nel chatbot di OpenAI per ottenere un messaggio di errore: “Non sono in grado di fornire una risposta”. E non importa come si provi a girare la questione—con screenshot, account ribattezzati o domande creative—ChatGPT proprio non collabora. Questo fenomeno ha scatenato una tempesta di teorie, meme e accuse di complotto sui social, ma la verità potrebbe essere più banale (o forse no?). Vediamo…
Il mistero del nome proibito
Il tutto è iniziato da un post su Reddit, in cui un utente segnalava l’incapacità di ChatGPT di rispondere a qualsiasi domanda riguardante “David Mayer”. Il nome sembra mandare il sistema in confusione totale, restituendo sempre lo stesso errore. Alcuni utenti hanno suggerito che si tratti di una restrizione intenzionale, magari per proteggere un personaggio misterioso e potente. Altri credono invece che si tratti di un semplice bug o di una misura legata al diritto all’oblio, una normativa che consente a individui di chiedere la rimozione di contenuti online che li riguardano.
Ma chi potrebbe essere David Mayer?
Le speculazioni sulla vera identità di David Mayer si moltiplicano a dismisura alcune delle quali anche evocative e intriganti. Potrebbe essere il nome di un agente segreto sotto protezione, oppure nientepopodimenoche David de Rothschild, erede della famosa famiglia e ambientalista, noto per le sue avventure sostenibili. C’è chi sostiene l’ ipotesi di uno storico controverso, erroneamente associato a vicende delicate come il terrorismo. Ma non basta. I più fantasiosi ipotizzano un personaggio talmente potente da aver fatto sparire ogni traccia di sé dal web. L’esperta di tecnologia Justine Moore ha aggiunto pepe alla questione, suggerendo che Mayer non sia l’unico nome a scatenare questa reazione di ChatGPT. Potrebbe esserci una lista segreta di individui che, per motivi legali o di privacy, risultano “protetti” dalle risposte del chatbot.
Complotto o bug? This is the question…
La spiegazione più probabile è quella tecnica. Potrebbe trattarsi di un bug nel sistema, magari legato a filtri di sicurezza eccessivamente rigidi. OpenAI, infatti, imposta restrizioni per evitare di diffondere contenuti sensibili o imprecisi. In alcuni casi, nomi specifici potrebbero essere erroneamente associati a queste restrizioni. Tuttavia, l’aura di mistero persiste, alimentata dall’ostinazione di ChatGPT nel non “parlare” del nome.
Ma perché ChatGPT si blocca?
Dietro questa apparente avversione per il nome David Mayer potrebbe esserci una sovrapposizione con blacklist di nomi segnalati per ragioni legali abbinata a speciali filtri basati su richieste di diritto all’oblio, che costringono le piattaforme a limitare contenuti correlati.
Oppure, banalmente, un errore di programmazione. La verità per ora non la sa nessuno, ma ci piace pensare al complotto mentre OpenAI non ha ancora rilasciato chiarimenti ufficiali. Gli utenti continuano a interrogarsi sul fine ultimo di questa Umanità affascinati dall’ignoto anche quando anche quando abbiamo a che fare con un semplice chatbot.
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Occhiali intelligenti e zero notifiche: il futuro della tecnologia è slow
Altro che iperconnessione: la nuova frontiera della tecnologia da indossare promette di migliorare la qualità della vita riducendo ansia e stress. Ecco i gadget che piacciono agli introversi digitali.

C’è stato un tempo – nemmeno troppo lontano – in cui ogni nuovo gadget prometteva connessione, velocità, efficienza. Più notifiche, più dati, più performance. Il futuro era un incessante flusso di bit tra le mani, tra gli occhi, tra i pensieri. Ma ora qualcosa sta cambiando. Lentamente, certo. Ma in modo inesorabile. I dispositivi tech più evoluti non sono più quelli che ti sommergono di alert, ma quelli che – udite udite – ti lasciano in pace.
È la filosofia del “calm tech”, la tecnologia calma, silenziosa, quasi invisibile. Nasce da una controcultura digitale che ha fatto breccia soprattutto tra i giovani adulti stanchi di sentirsi costantemente sotto pressione. Il burnout da notifica è reale, e la risposta non è buttare lo smartphone dalla finestra, ma affiancarlo con oggetti che aiutino a rallentare. A respirare.
Primi tra tutti, gli occhiali intelligenti. Ma non quelli per guardare video in realtà aumentata o postare stories con l’iride. Parliamo di una nuova generazione di eyewear minimalisti, come i Frame di Solos o i Mudra di Wearable Devices: sembrano occhiali da sole, ma sono dotati di microcomandi e sensori aptici che consentono di gestire alcune funzioni dello smartphone (come rispondere o rifiutare una chiamata) senza mai tirarlo fuori dalla tasca. Il punto forte? Non vibra, non suona, non distrae. Semplicemente, riduce il rumore.
Stesso concetto per gli anelli smart, sempre più diffusi e apprezzati. Sottovalutati finché non li si indossa, diventano un alleato discreto e potentissimo. L’Oura Ring, per esempio, monitora il sonno, lo stress e i livelli di attività fisica, ma non emette notifiche, non ha display e non ti interrompe mai. Ti mostra i dati solo quando sei tu a chiederli. È una tecnologia che si adatta al tuo ritmo, non il contrario.
E non finisce qui: esistono anche bracciali anti-stress, cuffie che cancellano il rumore ambientale per creare silenzi personalizzati, t-shirt che tracciano il respiro e suggeriscono quando serve fermarsi. Tutto all’insegna di un minimalismo funzionale, che non è solo estetico, ma filosofico. Semplificare per vivere meglio.
Nel mondo delle app, intanto, proliferano i software che riducono il tempo online. Esistono launcher per smartphone che nascondono tutte le icone tranne quelle essenziali. Esistono interfacce progettate in bianco e nero per scoraggiare lo scrolling compulsivo. E ci sono addirittura sistemi operativi che permettono di spegnere tutto tranne ciò che è davvero utile.
Una delle tendenze più interessanti, però, resta quella dei dispositivi “zero display”. Prodotti come il Light Phone 2, un telefono che fa solo telefonate, messaggi e navigazione basilare, senza social, senza app, senza caos. O come l’MP02 di Punkt, che ha un’estetica da futuro retrò e viene scelto sempre più spesso da professionisti e creativi che vogliono ritagliarsi momenti di autentica disconnessione.
Perché in fondo il vero lusso, oggi, è proprio questo: il silenzio. La possibilità di restare da soli con i propri pensieri, senza sentirsi colpevoli, né esclusi. E se la tecnologia può aiutarci a proteggerci dal sovraccarico digitale, ben venga. Basta che lo faccia senza fare troppo rumore.
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