Lifestyle
Un cane-robot a guardia della residenza estiva di Trump: si chiama Spot (video)
Poco amante degli animali, il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha optato per un robot a quattro zampe!

Alla fine il presidente Donald Trump, poco amante degli animali, ha ceduto e ha preso un cane: si chiama Spot. Ma caratterizzato da un dettaglio specialissimo: non si tratta di un essere vivente ma di un robot, prodotto dalla compagnia tecnologica Boston Dynamics. Che avrà il compito di pattugliare la residenza estiva del tycoon a Mar-a-Lago, a Palm Beach, in Florida, comandabile anche da remoto.
Il messaggio sulle zampe
Sugli arti meccanici di Spot una scritta che è tutta un programma: “Non accarezzatemi”! Costa circa 70mila dollari e lo si vedrà gironzolare indisturbato per la tenuta di Trump a Mar-a-Lago. Si tratta di un “cane da guardia” agguerrito, a cui non sfugge nulla ed è già stato visto camminare sul posto. L’utilizzo di questa misura è stata fortemente voluta dal Secret Service del presidente, in seguito ai due recenti tentati omicidi, come ulteriore misura per rafforzare la sicurezza. Non prevede nessun genere di armamento e non è in grado di effettuare le sue perlustrazioni in autonomia, bensì con un piano programmato e pianificato prima dei suoi giri di ispezione.
Anche in versione optional con lanciafiamme
A realizzarlo è l’azienda a stelle & strisce Boston Dynamics, società di ingegneria robotica produttrice dei robot umanoidi più avanzati al mondo. Il cane robot non è però un’esclusiva di The Donald: diversi esemplari possono essere acquistati da chiunque. Alcuni modelli simili dispongono persino dell’opzione lanciafiamme, per situazioni che dovessero farsi più pericolose. Strano che Trump non abbia optato per quel modello…
Non sporca, non abbaia, non vuole le coccole: perfetto per Trump che – d’ora in poi – non avrebbe neanche il tempo di occuparsi di un pelosetto, essendo chiamato a doversi confrontare con questioni molto più complicate…
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Curiosità
Quel respiro profondo che svela chi siamo: lo studio che legge il carattere dal respiro
Gli schemi respiratori di ciascuno sono unici e possono rivelare ansia, depressione e perfino tratti della personalità.

Il modo in cui respiriamo potrebbe dire molto di più su di noi di quanto pensiamo. Secondo uno studio pubblicato su Current Biology, gli scienziati del Weizmann Institute of Science in Israele hanno scoperto che ogni individuo ha una sorta di “impronta digitale del respiro”, unica come le impronte digitali, e che può rivelare dettagli sulla salute fisica ed emotiva. Utilizzando un dispositivo indossabile leggero, i ricercatori hanno monitorato il flusso d’aria nasale di 100 volontari per 24 ore consecutive, raccogliendo dati sulle loro variazioni respiratorie durante le attività quotidiane e il sonno. Con una precisione del 96,8%, il team ha dimostrato che è possibile identificare una persona solo in base al suo schema respiratorio.
La mente rivela il respiro o il respiro modifica la mente?
Ma il dettaglio più intrigante della ricerca riguarda il legame tra respirazione e stato mentale. Gli studiosi hanno notato che i partecipanti con livelli più alti di ansia tendevano ad avere inspirazioni più brevi e una maggiore variabilità tra un respiro e l’altro, specialmente di notte. Inoltre, la respirazione sembra essere strettamente collegata al peso corporeo, al ritmo sonno-veglia e ai tratti comportamentali. Ciò che sorprende è l’inversione di prospettiva. Normalmente si pensa che stress, ansia o depressione influenzino il modo di respirare, ma il team israeliano suggerisce che potrebbe essere il contrario. E se il modo in cui respiriamo contribuisse a generare stati emotivi negativi? Se fosse così, imparare a regolare il proprio schema respiratorio potrebbe diventare un nuovo metodo per migliorare il benessere mentale, con implicazioni che potrebbero rivoluzionare la psicologia e la medicina.
Gli studiosi stanno già testando questa ipotesi. Modificando consapevolmente il proprio modo di respirare, potrebbe essere possibile ridurre ansia e depressione, aprendo nuove strade nella terapia del benessere psicologico.
Viaggi
Ristoranti con vista? Sì, ma sotto il mare: la moda dei locali subacquei
Dalle Maldive alla Norvegia, cresce la tendenza dei ristoranti subacquei: si mangia circondati da pesci tropicali o squali, a metri di profondità. Ma tra lusso, scenografia e sostenibilità, il format divide.

Cena a lume di candela… tra i coralli. Oppure tartare di tonno con vista squali. È l’esperienza offerta dai ristoranti subacquei, sempre più diffusi tra resort di lusso e capitali del turismo. L’idea è semplice: costruire strutture in vetro rinforzato a qualche metro sotto il livello del mare e servire piatti gourmet mentre i clienti ammirano murene e mante. Un sogno per molti, una provocazione per altri.

Tra i più noti c’è Under, in Norvegia: un cubo di cemento semi-affondato nell’Oceano Atlantico, dove si mangia a cinque metri di profondità. Alle Maldive, il Ithaa è stato il primo al mondo a offrire cene tra i pesci tropicali, con coperti limitati e un dress code elegantissimo (ma senza scarpe).

Il fascino è indiscutibile, ma le polemiche non mancano. C’è chi accusa questi locali di sfruttare ambienti delicatissimi per fini commerciali, e chi teme l’impatto ambientale delle strutture. Altri, più pragmaticamente, storcono il naso davanti ai prezzi: una cena per due può superare i 600 euro.

Eppure, la moda cresce. Forse perché il mare ci affascina, forse perché Instagram vuole il suo tributo. O forse perché, almeno lì sotto, lontani da suonerie e stress, si può vivere l’illusione perfetta: quella di essere davvero in un altro mondo.

Società
Dilaga il fenomeno dei licenziamenti ad personam fatti via mail o via Quit-Tok
Dilaga il fenomeno dei licenziamenti ad personam fatti va mail o via Quit Tok
I licenziamenti sono sempre difficili da superare. Non vanno giù facilmente. Sembrano dei soprusi. Delle ingiustizie. Soprattutto per la Generazione Z.

I licenziamenti sono sempre difficili da superare. Non vanno giù facilmente. Sembrano dei soprusi. Delle ingiustizie. Soprattutto per la Generazione Z.
La nuova moda per i ragazzi che vengono licenziati è di prendersi una rivincita attraverso i social. Ovvero pubblicare il momento in cui vengono cacciati per dimostrare il loro disappunto verso l’azienda. E soprattutto mettere in guardia i proprie coetanei sui modi utilizzati dalla stessa per darti il ben servizio. Ma i capi del personale si stanno facendo furbi. Ovvero hanno iniziato a licenziare via mail. La reputazione è salva.
Mi licenzi? Lo racconto sui social
Per i ragazzi della Generazione Z il licenziamento va visto non più come un evento di cui vergognarsi. Tutt’altro. Può diventare una bandiera. Un episodio importante da condividere a volte anche su uno dei social più diffusi come Tik Tok. Secondo una inchiesta effettuata dal quotidiano britannico Financial Times si tratterebbe di un vero e proprio fenomeno: Quit-Tok. Filmati, pubblicati con titoli come “lascia il mio lavoro con me” oppure con l’hashtag #layoffseason, fanno parte di questa tendenza che punta a condividere pubblicamente quella che in altri tempi sarebbe stata una comunicazione privata.
Rendere pubbliche alcune fasi della propria vita lavorativa
Le dimissioni pubbliche sono diventate un successo virale. Fa audience, crea follower. Inoltre molti giovani manifestano la loro insoddisfazione rispetto al proprio incarico e alcune incongruenze dell’organizzazione o dei settori a cui sono stati assegnati. Secondo l’indagine del FT tra i video postati nell’ultimo giorno di lavoro quelle che usano di più questo tipo di comunicazione sono le ragazze. Con le lacrime agli occhi si riprendono dopo aver appena letto una mail in cui il capo informa che si è stati licenziati oppure che ci si sta dimettendo dal proprio ruolo.
Ma i manager si stanno facendo furbi
I lavoratori che realizzano le clip si filmano durante le videochiamate e i manager dall’altra parte non sanno di essere registrati. Molti sono all’interno del luogo di lavoro. Una clip di nove secondi, riportato nell’inchiesta del FT, mostra un ristorante McDonald’s vuoto, presumibilmente dopo che tutti i dipendenti sono stati licenziati in massa. Naturalmente il rischio che i dipendenti possano essere contestati per riprese nascoste esiste. Ma la maggior parte degli utenti di TikTok non sembra preoccuparsene. Non teme azioni legali della propria azienda. Ribattono che è utile mostrare risposte personali, spesso emotive, per mostrare la loro “autenticità” e magari esorcizzare ansia e stress. E i primi effetti di questa nuova moda si stanno già facendo sentire soprattutto nelle aziende tecnologiche.
E le Risorse Umane vanno al contrattacco
Sia i responsabili delle risorse umane che i dirigenti aziendali, ma anche avvocati specializzati in diritto del lavoro e le società di ricollocamento non amano diventare il bersaglio di un TikTok virale. Per questo si stanno organizzando per evitare le brutte figure e cadere in tranelli che possono mettere in dubbio la propria reputazione. Per questo utilizzano sempre più spesso la mail o gli sms. Sarà corretto?
Cosa dicono gli avvocati di Quit-Tok
Secondo lo studio legale Toffoletto De Luca Tamajo la pratica di licenziare il dipendente utilizzando un sms, un social o via mail è legittimo. Per il licenziamento notificato via mail la Corte di Cassazione ha spiegato che il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto “con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità”. Quindi anche mediante invio di una e-mail.
Nel caso dell’uso di WhatsApp il Tribunale di Catania ha stabilito che il messaggio WhatsApp è un documento informatico imputato con certezza al datore di lavoro e dal quale “discende l’inequivoca volontà di licenziare comunicata efficacemente al dipendente.” Nel caso di un sms la Corte d’Appello di Firenze ha ritenuto lo strumento formalmente legittimo per la notifica del licenziamento. Naturalmente in tutti i casi il dipendente può impugnare il licenziamento e fare ricorso nelle sedi competenti.
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