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Cinema

Clooney contro Trump: “Non devo piacere al presidente, il mio lavoro è dire la verità”

In un’intervista alla CBS, George Clooney risponde con eleganza ma fermezza alle accuse di Donald Trump, che l’estate scorsa lo aveva attaccato per aver invitato Biden a ritirarsi: “Non sono qui per compiacere nessuno, ma per dire ciò che penso”.

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    George Clooney non ha peli sulla lingua. E non è certo uno che si tira indietro quando c’è da dire la propria, anche – e forse soprattutto – se questo significa contraddire un ex presidente degli Stati Uniti. Intervistato da CBS Mornings, l’attore e regista ha risposto agli insulti lanciati nei suoi confronti da Donald Trump la scorsa estate, quando il tycoon l’aveva definito sprezzantemente un “finto attore cinematografico che non ha mai fatto un grande film”.

    Tutto parte dal New York Times

    L’occasione di tanto livore? Un editoriale pubblicato dal New York Times in cui Clooney, da sempre sostenitore del Partito Democratico e amico personale di Joe Biden, aveva chiesto al presidente in carica di farsi da parte per permettere al partito di trovare un candidato più forte in vista delle elezioni del 2024. Una presa di posizione inaspettata, che scatenò reazioni contrastanti nel mondo politico e mediatico. E, naturalmente, l’attacco di Trump, che cavalcò l’occasione per screditare l’attore.

    Devo dire la verità

    A quasi un anno di distanza, Clooney rompe il silenzio: “Conosco Donald Trump da molto tempo”, ha detto nell’intervista. “Ma il mio lavoro non è compiacere il presidente degli Stati Uniti. Il mio lavoro è cercare di dire la verità quando posso e quando ne ho l’opportunità. È questo che cerco di fare”.

    Una risposta diretta

    Parole nette, che suonano come una risposta diretta a un certo modo di concepire il potere e la popolarità. Clooney, che nel corso della sua carriera ha usato spesso la propria notorietà per sostenere cause umanitarie e politiche – dal Darfur alla difesa del diritto di voto, passando per la condanna del razzismo sistemico – non ha mai nascosto la propria militanza. E anche questa volta ha preferito affrontare le critiche con lo stile che lo contraddistingue: niente urla, ma una fermezza che lascia il segno.

    Politica da salotto

    Del resto, non è la prima volta che Trump se la prende con le star di Hollywood, spesso accusate dall’ex presidente di fare “politica da salotto”. Ma Clooney non è certo l’attore da red carpet e tappeto rosso: dietro l’immagine patinata c’è un uomo che negli anni ha finanziato campagne elettorali, fondato organizzazioni benefiche e promosso documentari su temi civili.

    “Non ho intenzione di restare in silenzio solo perché qualcuno pensa che non sia il mio ruolo parlare di politica”, ha aggiunto Clooney. “Viviamo in un momento in cui il silenzio può essere più dannoso delle parole”.

    Nonostante la distanza temporale, la replica di Clooney arriva in un momento delicato, con gli Stati Uniti in piena campagna elettorale e una crescente polarizzazione che attraversa non solo la politica, ma anche lo spettacolo, l’informazione e il discorso pubblico. L’attore, pur sostenendo ancora l’agenda progressista, ha ribadito che la leadership, anche nel campo democratico, ha bisogno di volti nuovi e di energie rinnovate.

    Trump, dal canto suo, continua a puntare sull’effetto provocatorio e sullo scontro diretto, mentre Clooney rilancia sul terreno della responsabilità e del senso civico. Due mondi lontanissimi, destinati a scontrarsi ancora. Ma, per dirla con le parole dell’attore, “chi ha un microfono ha anche un dovere: quello di usarlo con coscienza”.

    E per Clooney, non è mai stato solo questione di cinema.

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      Cinema

      Sydney Sweeney in corsa per diventare la nuova Bond Girl: “Forse sì, forse no… dipende tutto dalla sceneggiatura”

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        Sydney Sweeney potrebbe diventare la prossima Bond Girl. Le voci, che da giorni rimbalzano sui media americani e britannici, la danno in pole position per il nuovo capitolo della saga di James Bond, il primo sotto il pieno controllo di Amazon Studios dopo l’acquisizione di MGM per 6,1 miliardi di dollari.

        L’attrice di Euphoria e The White Lotus, 28 anni, è considerata una delle interpreti più richieste del momento e il suo nome circola con insistenza tra i candidati del cast. Secondo Variety, lo stesso Jeff Bezos, fondatore di Amazon, vedrebbe con entusiasmo la Sweeney nel ruolo.

        Un indizio, forse, arriva anche dalla vita reale: la scorsa estate l’attrice era tra gli ospiti del matrimonio di Bezos con Lauren Sanchez a Venezia. Ma non solo. I tre collaborano anche per la distribuzione della linea di lingerie firmata Sweeney, dettaglio che alimenta i sospetti di un legame professionale sempre più stretto.

        Intervistata da Variety, Sydney ha giocato sul filo della diplomazia. «Non so (pausa di sette secondi)… non posso (altra lunga pausa). Ad essere onesta, non sono a conoscenza delle voci. Ma sono sempre stata una grande fan del franchise e sono curiosa di vedere cosa faranno», ha detto sorridendo. Poi ha aggiunto: «Dipende tutto dalla sceneggiatura. In realtà, mi piacerebbe di più interpretare 007 che la Bond Girl».

        Il prossimo film dell’agente segreto, il ventiseiesimo della saga, sarà diretto da Denis Villeneuve con la sceneggiatura firmata da Steven Knight, autore di Peaky Blinders.

        Negli ultimi mesi la Sweeney è stata al centro di diverse controversie: la pubblicità di American Eagle di cui è protagonista è stata accusata di “promuovere l’eugenetica”, accusa amplificata dal fatto che l’attrice, rarità a Hollywood, è registrata come elettrice repubblicana.

        Tra scandali, ruoli da sogno e strategie di marketing, Sydney Sweeney continua a essere il volto perfetto di una Hollywood che mescola glamour, provocazione e potere. E se davvero diventerà la nuova musa di 007, lo farà a modo suo — con la stessa sicurezza con cui, in ogni intervista, lascia che sia il silenzio a dire tutto.

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          Cinema

          Demi Moore e quel set “ingombrante”: «Ero incinta di otto mesi e Tom Cruise era in imbarazzo». Il retroscena su Codice d’onore

          Durante un Q&A al New Yorker Festival con la scrittrice Jia Tolentino, Demi Moore racconta la sfida di conciliare maternità e set negli anni ’90. Sul set del cult con Tom Cruise, l’attrice era all’ottavo mese di gravidanza: «La bambina scalciava, ma ero serena. Era Hollywood a non esserlo». E lancia una riflessione: «Mi chiedevano di scegliere tra lavoro e figli, oggi so che non dovevo».

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            Ci sono interpretazioni che restano scolpite nella memoria collettiva, e poi ci sono i retroscena che raccontano molto più di una scena iconica. Demi Moore è tornata a parlare di Codice d’onore, film del 1992 che la vide lavorare accanto a Tom Cruise e Jack Nicholson, svelando un dettaglio inaspettato: durante le prove era incinta di otto mesi.

            Un particolare che, a suo dire, avrebbe messo in forte imbarazzo proprio Cruise. «Credo che Tom stesse morendo dall’imbarazzo», ha rivelato durante una conversazione pubblica al New Yorker Festival moderata dalla giornalista Jia Tolentino. «Io stavo bene, anche se la bambina si muoveva un po’, ma mi sono resa conto che lui era un po’ a disagio».

            Non una critica, quanto piuttosto la fotografia di un’epoca in cui Hollywood faticava a immaginare una donna incinta su un set — e ancor più come protagonista in un film di grande produzione. «È una delle tante cose che non avevano alcun senso», ha spiegato Moore. «Mi sono chiesta perché non potessi avere entrambe le cose: essere madre e continuare a lavorare».

            Una domanda che all’epoca suonava quasi sovversiva. Moore ricorda quel periodo come un continuo equilibrio su un filo sottilissimo: il corpo che cambiava, la pressione post parto, le aspettative estetiche e professionali impossibili. «Ripensandoci oggi mi dico: “A cosa diavolo stavo pensando?”», sorride. «Non so cosa stessi cercando di dimostrare, ma devo ammettere che allora non avevo tutto il sostegno che ho ora».

            Eppure, quell’esperienza è diventata parte della sua forza narrativa. Oggi, la protagonista di The Substance è simbolo di resilienza e libertà nel raccontare il corpo femminile senza filtri. La maternità non come limite, ma come potenza. «La verità è che mi hanno fatta sentire come se dovessi scegliere», ha detto. «E invece nessuna donna dovrebbe essere costretta a decidere tra carriera e figli».

            La riflessione di Moore arriva in un momento in cui Hollywood — almeno a parole — celebra sempre più la complessità femminile. Ma ascoltandola si capisce una cosa: se oggi attrici e lavoratrici possono reclamare il diritto di essere madri senza perdere il proprio posto, è anche grazie a chi, con un pancione di otto mesi, ha deciso che la scena non si abbandona.

            Nemmeno quando qualcuno, sul set, arrossisce e gira lo sguardo altrove.

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              Cinema

              La docuserie “Mr. Scorsese” svela il maestro dietro la cinepresa: viaggio dentro la mente del regista più iconico d’America

              In cinque capitoli, Martin Scorsese si racconta come mai prima d’ora: dagli anni a Little Italy all’asma che lo portò in sala, dalla dipendenza alla rinascita creativa. I Rolling Stones fanno da cornice a un viaggio intimo che ripercorre le radici di “Mean Streets”, “Toro Scatenato” e della sua eterna sfida al lieto fine hollywoodiano.

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                La docuserie Mr. Scorsese apre una porta che per anni è rimasta chiusa: quella del laboratorio segreto di uno dei registi più influenti della storia. Con Rebecca Miller come interlocutrice, Scorsese attraversa la sua vita come se stesse raccontando un film: infanzia, fede cattolica, ossessioni, e quell’energia violenta che ha nutrito la sua estetica. Il tutto sulle note dei Rolling Stones, colonna sonora permanente della sua immaginazione.

                Sympathy for the Devil: sentire insieme il buio

                Il documentario si apre con Sympathy for the Devil. Non è solo un omaggio rock: è una chiave interpretativa. “Syn páthos” significa “sentire insieme”, non imitare il male, ma guardarlo negli occhi. Ed è quello che Scorsese ha fatto per cinquant’anni: raccontare la violenza senza assolverla, rifiutando il lieto fine che Hollywood ama rifilare al pubblico.

                L’asma, la finestra e l’inquadratura

                Le origini della sua visione sono sorprendentemente semplici. Da bambino, l’asma lo inchiodava in casa mentre gli altri giocavano in strada. Guardava il mondo dalla finestra: un’inquadratura naturale, come rivela Nicholas Pileggi. È lì che nasce la sua firma visiva. Il resto lo aggiunge padre Principe, guida cattolica che lo avvicina alla letteratura e a una forma di disciplina morale che tornerà in tutto il suo cinema.

                Joe Pesci, i Rolling Stones e gli “sfavoriti improbabili”

                Il racconto accelera come un film di Scorsese quando compaiono gli amici di una vita: De Niro, Pesci, DiCaprio. Joe Pesci diventa il suo “specchio sporco”, la voce dell’America marginale che Scorsese conosce meglio di chiunque altro. I personaggi scorsesiani sono “sfavoriti improbabili”: Travis Bickle, Henry Hill, Jake LaMotta. Uomini che l’America crea e poi finge di non riconoscere più.

                E poi c’è il ritmo: quello dei Rolling Stones. Ogni volta che li usa, Scorsese si raddoppia. Violenza e bellezza viaggiano insieme, come i pugni di Pesci e le urla di Jagger.

                Dipendenze, cadute e resurrezioni

                Scorsese non indora nulla. Racconta la cocaina, la quasi morte, e l’intervento salvifico di De Niro che lo trascina fuori dal letto per Toro scatenato. È l’episodio che trasforma la sua autobiografia in un percorso spirituale. Una resurrezione artistica che culmina anni dopo nell’Oscar per The Departed, consegnato da Spielberg, Coppola e Lucas come un rito di consacrazione.

                Alla fine, Scorsese resta ciò che DiCaprio definisce con semplicità: un uomo che “farebbe il regista a tutti i costi”. E in Mr. Scorsese lo si vede per quello che è sempre stato: un credente delle immagini, uno che del cinema ha fatto la sua chiesa, il suo peccato e la sua salvezza.

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