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Cinema

Il bacio con Di Caprio sul Titanic? “Un incubo”, dice Kate Winslet

Il bacio iconico di Titanic, che ha fatto sognare milioni di spettatori, nasconde dunque un retroscena ben più caotico e complicato. Le rivelazioni di Kate Winslet offrono uno sguardo interessante sul duro lavoro e le difficoltà che spesso si celano dietro le scene più memorabili del cinema. Questo ci ricorda che, nonostante la perfezione apparente del grande schermo, le riprese possono essere tutt’altro che glamour.

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    È unanimemente considerato uno dei baci più famosi, celebrati, imitati e replicati della storia del cinema, ma il ‘dietro le quinte’ del momento clou di ‘Titanic’ non è così romantico come appare sullo schermo. A rivelarlo è Kate Winslet che, in un’intervista a Vanity Fair, ha parlato piuttosto di un “pasticcio disastroso”.

    Le difficoltà delle riprese

    L’attrice, coprotagonista con Leonardo DiCaprio del kolossal di James Cameron, ha detto alla rivista che diversi fattori resero quella scena “complicata da girare”. Principalmente, le fu affidato il compito di ritoccare il trucco sia per sé che per DiCaprio tra un ciak e l’altro perché la troupe non era in grado di farlo facilmente o raggiungerli rapidamente.

    Un bacio complicato

    Poi c’è stato il bacio vero e proprio, che ha creato un “pasticcio” quando i due colori di trucco dai toni diversi si sono combinati. “Così abbiamo continuato a baciarci… e dopo ogni ciak sembrava che avessi succhiato una barretta di caramello perché il suo trucco veniva via,” ha rivelato Winslet.

    Un set caotico

    Winslet ha descritto le riprese come un “incubo” perché DiCaprio “non smetteva di ridere” e perché lei “non riusciva a respirare nel dannato corsetto” che indossava nel costume di scena. L’intera esperienza, quindi, è stata ben lontana dalla magia romantica che appare sullo schermo.

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      Cinema

      Nino D’Angelo, una vita in 18 giorni: il documentario del figlio Toni emoziona Venezia

      Dal dolore dell’addio a Napoli alla rinascita artistica, il cantautore si racconta senza filtri. Il film diretto dal figlio Toni ripercorre i momenti più intensi di un percorso umano e professionale unico.

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      nino d'angelo

        È questo il ritratto che emerge da Nino. 18 giorni, il documentario presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e diretto da Toni D’Angelo, figlio del celebre cantautore e attore napoletano. Un viaggio intimo che unisce la storia personale e quella artistica, tra conquiste e sacrifici.

        L’addio a Napoli e il peso delle scelte

        Ai microfoni di Oggi, Nino D’Angelo ha ripercorso una delle decisioni più difficili della sua vita: lasciare la sua città. «Negli anni Ottanta Napoli viveva una guerra di camorra, temevo per i miei figli e mia moglie. È stato un dolore immenso andare via dai miei affetti, dalle mie radici», ha raccontato. Una ferita che, a distanza di anni, resta viva: «Se dovessi rinascere, vorrei farlo esattamente come la prima volta. È più bello conquistare ogni cosa giorno dopo giorno».

        Dal caschetto biondo alla depressione

        Simbolo di un’epoca, il celebre caschetto biondo è stato per D’Angelo una maschera di cui a un certo punto ha sentito il bisogno di liberarsi. «Tagliarlo è stato come rinunciare a una parte di me, ma anche un atto di verità. Mi sono reso conto che quel personaggio non ero io. Per un periodo ho vissuto una forte depressione, non sapevo più chi fossi», ha confessato.

        Ricchezza e felicità: il paradosso della vita

        Il documentario esplora anche la dimensione più intima dell’artista: il rapporto con la ricchezza e la felicità. «Quando hai tutto è difficile essere felice. Io lo sono stato molto più da povero che da ricco», ha detto con disarmante sincerità. Una riflessione che illumina il percorso di un uomo rimasto fedele alle proprie origini popolari, anche quando la fama lo aveva portato lontano.

        Un viaggio nei luoghi della memoria

        Nino. 18 giorni si apre con immagini di San Pietro a Patierno, quartiere natale del cantante, e attraversa i luoghi simbolo della sua vita: Casoria, dove ha iniziato a costruire la sua carriera e la sua famiglia, fino a Palermo, dove la sceneggiata che lo consacrò al grande pubblico andava in scena proprio mentre nasceva suo figlio Toni. Un destino intrecciato: Nino vide il bambino solo 18 giorni dopo, e da quell’attesa prende titolo il film.

        Il racconto di un uomo, oltre l’artista

        Il documentario non si limita a celebrare la carriera di D’Angelo, ma indaga l’uomo dietro al mito popolare: le fragilità, la lotta per l’identità, il rapporto con il successo e con le proprie radici. Toni D’Angelo, già regista affermato, ha scelto di restituire un ritratto lontano dall’agiografia, mettendo al centro il padre nella sua dimensione più vera.

        Con Nino. 18 giorni, Venezia ha applaudito non solo un artista simbolo della cultura napoletana, ma un uomo che ha saputo attraversare luci e ombre restando fedele alla propria essenza.

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          Cinema

          Kathy Bates e i fantasmi di Misery: “Mi sentivo impreparata, come una contadinotta”

          L’attrice premio Oscar ripercorre l’esperienza che le cambiò la vita: dal disorientamento sul set al successo travolgente. Una carriera costruita tra fragilità iniziali e ruoli indimenticabili.

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          Kathy Bates

            Kathy Bates non dimenticherà mai l’esperienza di Misery non deve morire, film che nel 1990 la consacrò come una delle attrici più potenti del cinema americano. Intervistata da Variety, l’interprete di Annie Wilkes ha raccontato senza filtri il disorientamento provato all’epoca: un successo improvviso che la travolse e la mise a confronto con le proprie insicurezze.

            “C’è una foto di me mentre scendo da un’auto con un bavaglino di pizzo nero e un reggiseno bianco sotto. Sembravo ridicola. Vivevo tutto come un incubo. Mi sentivo una contadinotta capitata per caso in un mondo troppo grande per me”, ha ricordato Bates, oggi 76enne.

            Una vittoria che pesa

            Con Misery, tratto dal romanzo di Stephen King e diretto da Rob Reiner, Bates vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista per il ruolo della fan psicopatica che sequestra lo scrittore interpretato da James Caan. Un traguardo enorme, arrivato però in un momento in cui lei stessa non si sentiva pronta.

            “Guardando indietro, mi sono sentita non protetta. Non avevo idea di cosa stessi facendo. Ero una ragazza di Memphis, figlia di genitori anziani, e vent’anni indietro rispetto ai tempi. Non conoscevo niente di quel mondo, e quella sensazione mi ha perseguitata per anni”, ha raccontato.

            Le difficoltà sul set e il rimprovero a Reiner

            Il regista Rob Reiner, in passato, aveva confermato le incertezze dell’attrice, sottolineando come quell’ingenuità fosse paradossalmente vicina alla goffaggine e alla follia del personaggio di Annie Wilkes. Bates, invece, ritiene che il problema fosse più profondo. “Non ero solo inesperta. Mi mancavano gli strumenti per affrontare l’impatto emotivo e mediatico del cinema. Venivo dal teatro, ma il cinema era un’altra cosa”.

            Con ironia, l’attrice ha persino scherzato sul finale del film, rimproverando bonariamente Reiner: “Perché non mi hai fatto tagliare il piede a James Caan, come nel libro?”. Una battuta che racconta il suo rapporto complesso ma affettuoso con quel set.

            Dopo Misery, una carriera di conferme

            Nonostante le incertezze, Misery aprì a Bates le porte di Hollywood. Solo un anno dopo fu protagonista di Pomodori verdi fritti alla fermata del treno, anche quello un ruolo che la mise a dura prova. “Non mi sentivo all’altezza, ma andai avanti”, ha confessato.

            Il resto è storia del cinema: da Titanic di James Cameron a Primary Colors, da A proposito di Schmidt fino al cult Waterboy con Adam Sandler. Bates ha attraversato generi diversi, dimostrando una versatilità unica, fino a diventare una presenza fissa anche in televisione con American Horror Story.

            Il peso della fragilità

            Quella fragilità iniziale, ammette oggi, è stata però anche una risorsa: “Il senso di inadeguatezza mi ha permesso di avvicinarmi ai personaggi con umiltà. Ho imparato a trasformare le mie insicurezze in emozioni autentiche da portare sullo schermo”.

            Kathy Bates è ormai un’icona di Hollywood, ma non dimentica le difficoltà che hanno segnato i suoi primi passi. Il ruolo di Annie Wilkes le ha cambiato la vita, tra paure e riconoscimenti, lasciando un segno indelebile nella storia del cinema.

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              Cinema

              Leonardo DiCaprio corre verso l’Oscar, Margot Robbie mezza nuda a Londra: in Italia vince “Demon Slayer”

              Il nuovo film di Paul Thomas Anderson con DiCaprio è già in corsa per l’Academy, Margot Robbie fa scintille all’anteprima di A Big Bold Beautiful Journey. Da noi, invece, il box office è dominato da Demon Slayer: Il castello dell’infinito (808 mila euro), seguito dall’horror The Conjuring – Il rito finale.

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                A Hollywood si gioca già la partita dell’Oscar. Leonardo DiCaprio, con One Battle After Another diretto da Paul Thomas Anderson, si candida al premio più ambito senza passare per i festival, scavalcando la trafila che un tempo dettava legge. Margot Robbie, dal canto suo, ha monopolizzato i flash all’anteprima londinese di A Big Bold Beautiful Journey, più nuda che vestita, confermandosi regina di stile e provocazione.

                E in Italia? I numeri raccontano una realtà diversa: a portare pubblico in sala sono i giovanissimi. In testa al box office troviamo Demon Slayer: Kimetsu No Yaiba – Il castello dell’infinito, capace di incassare 808 mila euro con 97 mila spettatori in un solo giorno su 334 schermi. Mica male per un anime.

                Scende al secondo posto l’horror The Conjuring – Il rito finale, che con 325 mila euro dimezza gli incassi del giorno precedente ma porta comunque il totale a 6 milioni. Terza piazza per Material Love (o The Materialists) di Celine Song: commedia sofisticata con Dakota Johnson divisa tra Chris Evans e Pedro Pascal, 87 mila euro e 1,17 milioni complessivi.

                Quarto posto per Downton Abbey – Il gran finale di Simon Curtis, 66 mila euro e un totale di 71 mila. Più giù resiste, al quinto, Elisa di Leonardo Di Costanzo, dramma psicologico con Barbara Ronche, che aggiunge 20 mila euro e arriva a 251 mila.

                Tra le curiosità: I Puffi restano sesti con oltre 2,49 milioni complessivi, mentre Come ti muovi sbagli di Gianni Di Gregorio raccoglie 121 mila euro totali. L’animazione tedesca Grand Prix e il sequel Troppo cattivi 2 si contendono l’ottava e nona posizione. In decima chiude il film-concerto Francesco De Gregori Nevergreen di Stefano Pistolini, con 9 mila euro.

                Il pubblico adulto, insomma, continua a latitare: le sale si riempiono solo quando a trainare sono horror o anime. Tutti gli altri aspettano il nuovo film di DiCaprio, ma davanti a uno schermo televisivo.

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