Cinema
Jennifer Lawrence a Cannes: “La maternità ti rende un’aliena, ma i figli sono l’emozione più forte”
L’attrice premio Oscar Jennifer Lawrence incanta Cannes con Die My Love, il nuovo film di Lynne Ramsay che affronta senza filtri il trauma del post-partum. Accanto a lei, Robert Pattinson. Un’opera intensa e disturbante che divide pubblico e critica. Lawrence riflette sulla maternità, sulla trasformazione interiore e sul mestiere di attrice.

Il Festival di Cannes 2025 accoglie uno dei film più discussi dell’edizione: Die My Love, inquietante thriller psicologico firmato dalla regista scozzese Lynne Ramsay. La pellicola, interpretata da Jennifer Lawrence e Robert Pattinson, scava nel dolore invisibile del dopo parto, tra delirio, alienazione e identità frantumate. La Lawrence interpreta Grace, una giovane madre che precipita in una spirale emotiva e psichica devastante, isolata dal mondo e da se stessa. Il marito Jackson, musicista in fuga (interpretato da Pattinson), non riesce a comprenderla, incapace di afferrare la profondità del disagio che la consuma.
La maternità secondo Jennifer: “Ti cambia tutto”
In conferenza stampa, Jennifer Lawrence ha condiviso con il pubblico un sentito racconto personale: “Quando ho letto per la prima volta il romanzo da cui è tratto il film, ero appena diventata madre. E mi ha devastata. La maternità ti rende un’aliena. Nessuno ti prepara al silenzio, alla solitudine. Eppure, è l’emozione più forte che abbia mai provato”. La star americana, madre di due figli con il gallerista Cooke Maroney, spiega come questo nuovo capitolo della sua vita abbia cambiato radicalmente anche il suo approccio artistico: “Ogni scelta professionale ora passa attraverso di loro. Mi hanno aperto il cuore e affinato la sensibilità. Essere madre mi ha reso un’attrice migliore”.
Die My Love: quando il cinema racconta il post-partum senza filtri
Il film si muove tra realismo e allucinazione, raccontando una maternità disturbata e disturbante, con scene crude e simbolismi potenti. La regia di Lynne Ramsay, già acclamata per Ratcatcher e We Need to Talk About Kevin, affronta il tema con il suo stile spigoloso e poetico. La performance di Lawrence è viscerale, intensa, costruita su emozioni autentiche. “Giravo mentre ero incinta di quasi cinque mesi”, ha rivelato l’attrice. “Quella condizione mi ha permesso di sentire in profondità ciò che il mio personaggio attraversa: ansia, desiderio, paura, scomparsa”.
Robert Pattinson: “Essere padre mi ha trasformato”
Anche Robert Pattinson, da poco padre di una bambina con Suki Waterhouse, ha raccontato il suo cambiamento interiore: “Diventare genitore ti accende dentro. Ti dà una nuova energia, una nuova prospettiva. Il mio personaggio non capisce la sofferenza della moglie, e questa è la tragedia: non possiede gli strumenti per aiutarla”. Pattinson interpreta un uomo comune, travolto da un dolore che non sa decifrare. “È come cercare di tornare a un amore originario che però non esiste più. La sua incapacità diventa parte del problema”, ha spiegato l’attore.
Un film che divide Cannes
Die My Love ha lasciato il pubblico di Cannes diviso: c’è chi ha lodato il coraggio del racconto e la potenza interpretativa dei protagonisti, chi ha trovato il film disturbante e respingente. Ma nessuno è rimasto indifferente. Nel cuore del racconto, anche la figura di Pam (Sissy Spacek), madre di Jackson, che assiste impotente alla discesa della nuora nella follia. “È l’unica che vede davvero Grace”, racconta Lawrence. “Ma non può fare nulla. Porta con sé una gratitudine silenziosa e immensa: per quel nipote in arrivo che rappresenta una forma di speranza”.
Un’opera sul dolore e sulla rinascita
La metafora del fuoco, ricorrente nel film, rappresenta la rinascita. “Come Sandra Bullock in Gravity che esce dall’acqua, anche Grace cerca un nuovo inizio”, dice Lawrence. Un’immagine potente per raccontare il caos e la bellezza della trasformazione. Die My Love non è solo un film sulla maternità, ma su ciò che accade quando una donna perde se stessa e cerca, tra le macerie, di ritrovarsi. Un’opera coraggiosa, necessaria, che segna uno dei momenti più intensi di Cannes 2025.
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Cinema
Gal Gadot si giustifica: “Biancaneve è andato male perché mi hanno fatto parlare contro Israele”. Sì, certo, come no: basta crederci
Ospite in una trasmissione israeliana, la star di Wonder Woman ha detto che Hollywood penalizza chi non prende posizione contro Israele. Ma intanto Biancaneve resta un disastro al botteghino.

Quando un film va male, c’è chi si assume le responsabilità e chi cerca giustificazioni creative. Gal Gadot appartiene decisamente alla seconda categoria. Il live-action di Biancaneve prodotto dalla Disney, in cui interpretava la Regina Cattiva, si è rivelato un tonfo al botteghino. Le recensioni tiepide, la partenza lenta e l’assenza di entusiasmo da parte del pubblico parlano chiaro. Ma per l’attrice israeliana il motivo non sarebbe artistico, bensì politico.
Ospite del programma The A Talks su un’emittente israeliana, Gadot ha offerto una spiegazione sorprendente: «C’è pressione sulle celebrità affinché parlino contro Israele. E, sai, è successo». Tradotto: se Biancaneve è stato un fiasco, la colpa è del clima ostile verso il suo Paese.
Il ragionamento, a dir poco ardito, non si ferma lì. «Posso sempre spiegare e cercare di dare un contesto su ciò che accade qui. E lo faccio sempre. Ma alla fine, le persone prendono le proprie decisioni. E sono rimasta delusa che il film ne sia stato incredibilmente colpito e che non sia andato bene al botteghino. Ma funziona così. A volte vinci, a volte perdi».
Parole che hanno immediatamente sollevato reazioni contrastanti. Perché se è vero che Hollywood non è mai stata neutrale sulle questioni geopolitiche, accusare le dinamiche internazionali di aver affossato una pellicola già zavorrata da mesi di critiche appare come un tentativo goffo di autoassoluzione. Non a caso, il pubblico si chiede se non sia più onesto riconoscere che la Disney abbia sbagliato strategia, che la sceneggiatura non abbia convinto e che l’ennesimo live-action del colosso non abbia portato nulla di nuovo.
Il fatto che Gal Gadot continui a presentarsi come vittima di un complotto politico globale rende il tutto ancora più surreale. Perché, alla fine, i numeri parlano: Biancaneve ha deluso, indipendentemente da Israele, dalla geopolitica o dalle pressioni sulle star. A volte non è il mondo contro di te, è solo che il film non funziona.
Cinema
Lino Banfi beffato dall’intelligenza artificiale: “Non posso permettere che la mia voce sia usata per pubblicità meschine”
Il popolare “nonno d’Italia” passa alle vie legali contro ignoti che hanno usato l’intelligenza artificiale per imitarlo. «È un inganno che strumentalizza la credulità popolare. Ho incaricato l’avvocato Giorgio Assumma: i responsabili e i loro intermediari dovranno essere puniti severamente».

La tecnologia ha colpito uno degli attori più amati dal pubblico italiano. Lino Banfi ha denunciato la diffusione sui social di un video truffa in cui la sua voce, clonata grazie all’intelligenza artificiale, viene usata per promuovere una presunta crema miracolosa. Una pubblicità ingannevole che lo ha indignato profondamente.
«Non posso permettere che la mia identità personale, umana e professionale, apprezzata da tanti amici come quella di un serio nonno di famiglia, sia volgarizzata per una pubblicità meschina che tende a strumentalizzare la credulità popolare al fine di perpetrare un futile inganno», ha dichiarato Banfi, con parole dure e senza margini di fraintendimento.
L’attore, simbolo di decenni di commedie entrate nella memoria collettiva, ha deciso di reagire senza esitazioni. «Ho già incaricato il mio avvocato Giorgio Assumma – ha spiegato – di intraprendere le opportune iniziative legali in tutte le sedi competenti, anche a livello internazionale, affinché i colpevoli e i loro intermediari vengano severamente puniti».
Il caso si inserisce in un fenomeno sempre più diffuso: l’uso dell’intelligenza artificiale per creare “deepfake” di personaggi famosi, capaci di confondere anche gli spettatori più attenti. Una tecnologia che, se usata male, rischia di minare la fiducia e di generare truffe in serie, colpendo la reputazione di artisti e volti noti.
Banfi, intanto, guarda avanti con i suoi progetti reali, quelli veri, che lo riportano al grande schermo. In un’intervista al Messaggero ha raccontato di aver appena terminato due lavori: un film con Pio e Amedeo, dove interpreta un ex professore di filosofia alle prese con l’Alzheimer in una casa di riposo, e un docufilm sulla sua stessa vita. «Mi sono sempre detto: facciamolo quando sono vivo, che se lo facciamo da morto…».
Tra finzione e realtà, tra ironia e indignazione, Banfi resta saldo nella sua identità di “nonno d’Italia”. Questa volta, però, non per far ridere, ma per difendere il diritto sacrosanto a non essere trasformato in un fantoccio digitale al servizio di truffe online.
Cinema
Trump e il piano per Hollywood: “La riporterò all’età dell’oro”. Voight, Gibson e Stallone i suoi ambasciatori
Donald Trump vuole rimettere mano a Hollywood. E, in perfetto stile trumpiano, lo fa con un proclama roboante: l’industria cinematografica americana è “grande ma travagliata”, ha perso terreno a favore di altri paesi, e serve un rilancio epico. Il piano? Tre ambasciatori speciali direttamente dal gotha del cinema action e conservatore: Jon Voight, Mel Gibson e Sylvester Stallone.

L’annuncio è arrivato su Truth Social, con il consueto tono magniloquente: “Questi tre talenti saranno i miei occhi e le mie orecchie, farò quello che suggeriscono. Hollywood tornerà più grande e forte di prima!” Un endorsement che trasforma tre stelle in emissari personali del presidente eletto, con il compito di riportare l’industria americana ai fasti del passato.
Hollywood made in Trump
Che il presidente abbia un conto aperto con il mondo dello spettacolo non è un segreto. La mecca del cinema, roccaforte liberal, non ha mai nascosto la sua ostilità nei suoi confronti. Lui, da parte sua, ha sempre ricambiato con accuse di “decadenza”, “woke culture” e “declino economico”. Ora, con Voight, Gibson e Stallone, prova a mettere un piede dentro il sistema.
L’idea di Trump è chiara: Hollywood deve tornare “americana” e smetterla di perdere colpi rispetto ai concorrenti esteri. Secondo il tycoon, negli ultimi anni l’industria ha ceduto troppo spazio a produzioni straniere, compromettendo il primato a stelle e strisce. E chi meglio di tre veterani dell’action per invertire la rotta?
Oscar a rischio dopo il disastro
Intanto, mentre Trump pianifica il futuro di Hollywood, il presente resta incerto. Il devastante incendio che ha colpito la città ha lasciato un bilancio tragico, con morti e migliaia di sfollati. E ora la notte degli Oscar, prevista per il 2 marzo, è appesa a un filo.
L’Academy resiste, ma il Sun ricorda che un eventuale annullamento sarebbe un evento senza precedenti in 100 anni di storia. Nel frattempo, secondo il Drudge Report, c’è già un “piano B”: un’edizione ridotta e all’aperto, come accadde nel primo anno di pandemia.
Uno scenario che si scontra con la grandiosa visione trumpiana: mentre il tycoon sogna di riportare Hollywood all’età dell’oro, la realtà impone scelte ben più drammatiche.
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