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Cinema

Johnny Depp, l’attore che non deve chiedere mai: perché a lui non frega nulla di ciò che dicono (e forse non gli è mai fregato)

Da star del rock mancata a divo internazionale. Da Freddy Krueger alla Disney, da Tim Burton alle aule dei tribunali: la parabola di Johnny Depp è la storia di un uomo che, nonostante tutto, continua a essere se stesso. Che piaccia o meno.

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    Fino a pochi anni fa, Johnny Depp era uno di quegli attori capaci di mettere d’accordo quasi tutti. Affascinante, fuori dagli schemi, trasformista, geniale. Poi è arrivata la caduta, rumorosa, pubblica, senza rete. Eppure, a ben guardare, la cosa che più colpisce non è tanto la sua parabola discendente quanto la sua impassibilità. Perché a Johnny Depp, davvero, sembra non fregare nulla di quello che si dice di lui.

    E non è solo una posa. Lo era già da ragazzino, quando sognava di diventare una rockstar e non certo un attore. Nel 1983 si trasferì a Los Angeles per inseguire il sogno con la sua band, The Kids. Suonavano come spalla a mostri sacri come i Talking Heads e Iggy Pop, ma il contratto discografico non arrivò mai. Arrivò invece un matrimonio lampo con Lori Ann Allison, che lo introdusse a un certo Nicolas Cage. Ed è stato Cage, figlio del cinema, a spingerlo verso il suo primo provino. Da lì, Nightmare – Dal profondo della notte, e una carriera cominciata con la morte, letteralmente: quella scena cult in cui viene risucchiato nel letto da Freddy Krueger.

    Il resto è storia. Da 21 Jump Street al cinema indipendente, dal sodalizio con Tim Burton ai miliardi di Pirati dei Caraibi. Ma anche bar, risse, scandali, cause legali. Un rockstar del cinema, nel bene e nel male. Fino alla débâcle pubblica e giudiziaria con Amber Heard, che ha segnato l’inizio di un lungo inferno mediatico.

    Accusato di violenza domestica, diffamazione, abuso. Sospeso dai set, cacciato da Warner Bros nel ruolo di Grindelwald, mentre il gossip e i tribunali si rimpallavano la sua immagine a colpi di registrazioni e dichiarazioni velenose. Ma nonostante tutto, lui è rimasto in piedi. Scornato, sì, ma indifferente. «È finita in un millisecondo», ha raccontato al Telegraph. «Mi dissero: ‘Vorremmo che ti dimettessi’. Ma io sapevo che intendevano: ‘Vattene e non farti più vedere’».

    E invece Depp si è fatto vedere eccome. Prima al Festival di Cannes con Jeanne du Barry, poi dietro la macchina da presa con Modì, in cui ha diretto Riccardo Scamarcio. Ora si prepara a recitare accanto a Penélope Cruz in Day Drinker. Non è un ritorno col botto, ma un lento, ostinato riemergere. Un modo per dire che no, non è finita. E forse non lo sarà mai.

    A rendere ancora più affascinante il personaggio è il fatto che Depp, in fondo, non ha mai fatto nulla per piacere. Ha sempre rischiato. Da giovane raccontava ai giornalisti, senza filtri, di aver provato qualsiasi droga. «A 15 anni avevo quasi un dottorato in farmacologia», ha detto una volta. Provocatorio, dannato, allergico a qualsiasi etichetta. Durante 21 Jump Street faceva di tutto per sabotare la propria immagine da teen idol. Aveva paura di restare intrappolato in una carriera televisiva e finiva volontariamente in situazioni da incubo per le sue PR.

    Forse è anche per questo che non lo scalfisce nulla. Neppure le perdite milionarie: secondo i rumors avrebbe sperperato oltre 650 milioni di dollari, tra gestioni dissennate, affari sbagliati e consulenti poco onesti. Ma anche su questo non ha mai fatto drammi. «Mi ha insegnato mia madre», dice. Betty Sue, figura centrale nella sua biografia, era una donna dura, violenta, difficile. «Mi picchiava con bastoni, scarpe, posacenere. Ma le sono grato. Mi ha insegnato cosa non fare con i figli».

    Oggi Johnny Depp ha sessant’anni. Potrebbe ritirarsi su un’isola, vivere di ricordi e royalties. Invece no. Gira film, suona con gli Hollywood Vampires, firma progetti nuovi. Perché, come spiega Scamarcio, «Johnny ama il rischio. Per lui la creatività va sempre a braccetto con il pericolo». E per uno che ha vissuto tutta la vita sul bordo del precipizio, ogni passo avanti è solo un altro giro di danza.

    Non cerca il perdono di Hollywood. Non chiede l’approvazione del pubblico. «Non mi sto candidando a una carica pubblica», dice. E forse è proprio questo che lo rende ancora interessante. Perché in un mondo dove tutti cercano consensi, lui resta l’ultimo pirata. Uno che, malgrado tutto, continua a fregarsene.

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      Cinema

      Miranda è tornata, ma non è più la stessa: il nuovo volto del potere secondo Il diavolo veste Prada 2

      Meryl Streep riprende il ruolo iconico di Miranda Priestly nel sequel del cult del 2006: un ritorno tra moda e introspezione. Il look di Miranda parla chiaro: meno gelo, più umanità. Dai capelli silver al trench fluido, ogni dettaglio rivela un personaggio rinnovato, potente ma più sottile

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        Miranda Priestly è tornata. A quasi vent’anni dal primo Il diavolo veste Prada (2006), Meryl Streep riappare nei panni della direttrice di Runway, icona temuta e venerata della moda internazionale. Ma questa volta il potere ha assunto forme nuove: più morbide, più consapevoli, forse più umane.

        Nel primo scatto dal set del sequel — il cui titolo ufficiale non è ancora stato rivelato — il look di Miranda è un manifesto visivo della sua evoluzione. Sparita la borsa oversize che nel primo film si abbatteva sulle scrivanie con gesto imperioso, al suo posto compare una boraccia termica ricoperta di cristalli. Un oggetto-simbolo dei tempi: sostenibile ma lussuoso, funzionale e dichiaratamente estetico.

        La palette cromatica è tutta giocata su sfumature speziate: cannella, caramello, ocra rosso. A interrompere la neutralità sofisticata, una blusa lavanda, quasi un cedimento al sentimento. Un piccolo colpo di scena cromatico che apre uno spiraglio sulla vulnerabilità di un personaggio che, nel film originale, era puro rigore e controllo.

        L’evoluzione passa anche dai volumi: via i cappotti-scultura, dentro trench leggeri, tessuti setosi e silhouette meno armaturate. Anche il taglio di capelli — bob argenteo, marchio di fabbrica della Miranda del 2006 — resta fedele a se stesso ma si alleggerisce, diventa più fluttuante. Sempre deciso, ma meno strutturato. Un cambio di passo stilistico che sembra corrispondere a un’evoluzione narrativa: da icona inaccessibile a figura sfaccettata, consapevole, forse persino in crisi.

        Già nel film originale, Miranda aveva anticipato una tendenza poi esplosa: il silver hair come affermazione di potere e stile, non di decadenza. Oggi, in un’epoca che rivaluta la bellezza matura e la leadership empatica, quel bob bianco torna come simbolo di una nuova autorità: più fluida, meno granitica, ma non per questo meno incisiva.

        Il diavolo, oggi, veste sempre Prada. Ma forse ha imparato a camminare con scarpe meno affilate. E a mostrare, sotto il cashmere, qualche battito in più.

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          Cinema

          Drew Barrymore, outing a scoppio ritardato: a 50 anni l’attrice confessa la sua bisessualità e l’amore per le donne

          La confessione arriva alla soglia dei cinquant’anni e riaccende i riflettori sulla vita privata di Drew Barrymore. Dopo una carriera tra eccessi, riabilitazioni e rinascite, l’attrice racconta senza filtri la sua attrazione verso entrambi i sessi e ribadisce la libertà di non doversi più nascondere.

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            Drew Barrymore è abituata a vivere davanti ai riflettori, ma il suo ultimo annuncio ha sorpreso anche i fan più affezionati. A cinquant’anni compiuti, l’attrice americana ha deciso di rivelare pubblicamente di non essersi mai considerata eterosessuale: “Mi sono sempre sentita bisessuale – ha confessato – e penso che le donne siano belle tanto quanto gli uomini”. Una dichiarazione che ha immediatamente fatto il giro del mondo, rimbalzando tra social e magazine.

            Non è la prima volta che la Barrymore accenna alla sua fluidità sessuale: già negli anni Duemila aveva parlato di esperienze con donne, ma ora il coming out suona definitivo, pronunciato con la sicurezza di chi non ha più nulla da dimostrare. Un outing “a scoppio ritardato”, come l’hanno definito alcuni media, che arriva dopo una vita vissuta sotto i riflettori e spesso in salita.

            Nipote di una dinastia hollywoodiana, Drew è cresciuta troppo in fretta: l’esordio a 7 anni in “E.T.” la rese un’icona infantile planetaria, ma la fama precoce la travolse. Droga, alcol e ricoveri in rehab hanno segnato la sua adolescenza, prima di una lunga risalita che l’ha riportata a essere una delle attrici più amate di Hollywood, oltre che produttrice e conduttrice televisiva.

            Oggi la sua vita è ben diversa: madre di due figlie, impegnata con il “Drew Barrymore Show” che porta il suo nome, l’attrice ha scelto di parlare con sincerità di sé stessa e della propria identità. Una testimonianza che arriva in un momento in cui Hollywood si interroga sempre di più sui temi della rappresentazione e dell’inclusione.

            La sua rivelazione non è soltanto un dettaglio personale, ma anche un messaggio di libertà. “Ho sempre creduto che la bellezza fosse universale, non legata a un genere”, ha spiegato. E i fan hanno accolto le sue parole con entusiasmo, applaudendone il coraggio e la spontaneità.

            A cinquant’anni, Drew Barrymore si conferma così un simbolo di resilienza e autenticità. Dall’icona bambina che conquistava Spielberg alla donna adulta che oggi rivendica la sua bisessualità, la sua parabola personale racconta la forza di chi non teme più etichette.

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              Cinema

              Jason Momoa in rosa a Venezia: un inno alla mascolinità inclusiva

              Un outfit coraggioso e ironico, accompagnato da una dichiarazione programmata: “Il rosa è bello e non ridefinisce la mia mascolinità”, un invito a ridefinire gli stereotipi di genere.

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              Jason Momoa
              Jason Momoa in rosa a Venezia: un inno alla mascolinità inclusiva

                I red carpet sono spesso terreno di scelte monocromatiche e conformiste, in particolare in ambito maschile. Ma all’edizione 2025 della Mostra del Cinema di Venezia, Jason Momoa ha completamente rivoltato il copione mostrando che l’estetica può essere un gesto politico. In occasione della première di In the Hand of Dante, l’attore ha sfoggiato un look total pink — camicia, giacca, pantaloni, Birkenstock pelose (dall’edizione 2023 firmata Birkenstock×Concepts), fino alle unghie dei piedi smaltate dello stesso rosa — senza timore di osare.

                Momoa ha persino immortalato il dettaglio in una Instagram Story, scherzando:

                “I got my Birkenstocks and my ugly a– feet, but they’re painted!”

                Ad accompagnarlo, il figlio sedicenne Nakoa-Wolf, che ha mostrato un look in coordinamento floreale e rosa. Momoa ha espresso orgoglio paterno:

                “My baby… he just killed it” ha commentato, riferendosi al debutto del figlio in Dune: Part Three.

                Il dettaglio estetico è solo una parte del messaggio. In passato Momoa aveva già spiegato con fermezza:

                “Il rosa è semplicemente un bel colore. E sono abbastanza sicuro della mia mascolinità. Non me ne frega un ca**o di ciò che pensa la gente.”

                Secondo Vogue Italia, questo look rappresenta un manifesto visivo che ospita la sensibilità all’interno della nozione di “alpha male”: un “sensitive alpha”, forte ma vulnerabile allo stesso tempo.

                La critica lo ha definito come un gesto audace ma coerente con la sua personalità:

                • Parade sottolinea che Momoa “sa come coordinare un outfit con disinvoltura”, anche sotto la caviglia.
                • Anche iO Donna evidenzia l’ironia e la spontaneità del momento: un red carpet che è sembrato più una danza spontanea che una passerella imposta.

                Opzioni simili sono rare: l’unica volta che Momoa ha indossato un rosa vistoso fu agli Oscar del 2019, con uno smoking in velluto Fendi e un elastico rosa abbinato. Ha sempre seguito un principio:

                “Tutti abbiamo un lato femminile e uno maschile. Dobbiamo accettarli entrambi.”

                Il suo abito veneziano, così anticonvenzionale, si inserisce nella moderna conversazione sulla mascolinità fluida e sull’autenticità nei gesti quotidiani. Non è solo un look, ma una dichiarazione: la moda può liberare, sensibilizzare e ridefinire norme obsolete.

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