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Cinema

Kathy Bates e i fantasmi di Misery: “Mi sentivo impreparata, come una contadinotta”

L’attrice premio Oscar ripercorre l’esperienza che le cambiò la vita: dal disorientamento sul set al successo travolgente. Una carriera costruita tra fragilità iniziali e ruoli indimenticabili.

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Kathy Bates

    Kathy Bates non dimenticherà mai l’esperienza di Misery non deve morire, film che nel 1990 la consacrò come una delle attrici più potenti del cinema americano. Intervistata da Variety, l’interprete di Annie Wilkes ha raccontato senza filtri il disorientamento provato all’epoca: un successo improvviso che la travolse e la mise a confronto con le proprie insicurezze.

    “C’è una foto di me mentre scendo da un’auto con un bavaglino di pizzo nero e un reggiseno bianco sotto. Sembravo ridicola. Vivevo tutto come un incubo. Mi sentivo una contadinotta capitata per caso in un mondo troppo grande per me”, ha ricordato Bates, oggi 76enne.

    Una vittoria che pesa

    Con Misery, tratto dal romanzo di Stephen King e diretto da Rob Reiner, Bates vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista per il ruolo della fan psicopatica che sequestra lo scrittore interpretato da James Caan. Un traguardo enorme, arrivato però in un momento in cui lei stessa non si sentiva pronta.

    “Guardando indietro, mi sono sentita non protetta. Non avevo idea di cosa stessi facendo. Ero una ragazza di Memphis, figlia di genitori anziani, e vent’anni indietro rispetto ai tempi. Non conoscevo niente di quel mondo, e quella sensazione mi ha perseguitata per anni”, ha raccontato.

    Le difficoltà sul set e il rimprovero a Reiner

    Il regista Rob Reiner, in passato, aveva confermato le incertezze dell’attrice, sottolineando come quell’ingenuità fosse paradossalmente vicina alla goffaggine e alla follia del personaggio di Annie Wilkes. Bates, invece, ritiene che il problema fosse più profondo. “Non ero solo inesperta. Mi mancavano gli strumenti per affrontare l’impatto emotivo e mediatico del cinema. Venivo dal teatro, ma il cinema era un’altra cosa”.

    Con ironia, l’attrice ha persino scherzato sul finale del film, rimproverando bonariamente Reiner: “Perché non mi hai fatto tagliare il piede a James Caan, come nel libro?”. Una battuta che racconta il suo rapporto complesso ma affettuoso con quel set.

    Dopo Misery, una carriera di conferme

    Nonostante le incertezze, Misery aprì a Bates le porte di Hollywood. Solo un anno dopo fu protagonista di Pomodori verdi fritti alla fermata del treno, anche quello un ruolo che la mise a dura prova. “Non mi sentivo all’altezza, ma andai avanti”, ha confessato.

    Il resto è storia del cinema: da Titanic di James Cameron a Primary Colors, da A proposito di Schmidt fino al cult Waterboy con Adam Sandler. Bates ha attraversato generi diversi, dimostrando una versatilità unica, fino a diventare una presenza fissa anche in televisione con American Horror Story.

    Il peso della fragilità

    Quella fragilità iniziale, ammette oggi, è stata però anche una risorsa: “Il senso di inadeguatezza mi ha permesso di avvicinarmi ai personaggi con umiltà. Ho imparato a trasformare le mie insicurezze in emozioni autentiche da portare sullo schermo”.

    Kathy Bates è ormai un’icona di Hollywood, ma non dimentica le difficoltà che hanno segnato i suoi primi passi. Il ruolo di Annie Wilkes le ha cambiato la vita, tra paure e riconoscimenti, lasciando un segno indelebile nella storia del cinema.

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      Cinema

      Leonardo DiCaprio corre verso l’Oscar, Margot Robbie mezza nuda a Londra: in Italia vince “Demon Slayer”

      Il nuovo film di Paul Thomas Anderson con DiCaprio è già in corsa per l’Academy, Margot Robbie fa scintille all’anteprima di A Big Bold Beautiful Journey. Da noi, invece, il box office è dominato da Demon Slayer: Il castello dell’infinito (808 mila euro), seguito dall’horror The Conjuring – Il rito finale.

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        A Hollywood si gioca già la partita dell’Oscar. Leonardo DiCaprio, con One Battle After Another diretto da Paul Thomas Anderson, si candida al premio più ambito senza passare per i festival, scavalcando la trafila che un tempo dettava legge. Margot Robbie, dal canto suo, ha monopolizzato i flash all’anteprima londinese di A Big Bold Beautiful Journey, più nuda che vestita, confermandosi regina di stile e provocazione.

        E in Italia? I numeri raccontano una realtà diversa: a portare pubblico in sala sono i giovanissimi. In testa al box office troviamo Demon Slayer: Kimetsu No Yaiba – Il castello dell’infinito, capace di incassare 808 mila euro con 97 mila spettatori in un solo giorno su 334 schermi. Mica male per un anime.

        Scende al secondo posto l’horror The Conjuring – Il rito finale, che con 325 mila euro dimezza gli incassi del giorno precedente ma porta comunque il totale a 6 milioni. Terza piazza per Material Love (o The Materialists) di Celine Song: commedia sofisticata con Dakota Johnson divisa tra Chris Evans e Pedro Pascal, 87 mila euro e 1,17 milioni complessivi.

        Quarto posto per Downton Abbey – Il gran finale di Simon Curtis, 66 mila euro e un totale di 71 mila. Più giù resiste, al quinto, Elisa di Leonardo Di Costanzo, dramma psicologico con Barbara Ronche, che aggiunge 20 mila euro e arriva a 251 mila.

        Tra le curiosità: I Puffi restano sesti con oltre 2,49 milioni complessivi, mentre Come ti muovi sbagli di Gianni Di Gregorio raccoglie 121 mila euro totali. L’animazione tedesca Grand Prix e il sequel Troppo cattivi 2 si contendono l’ottava e nona posizione. In decima chiude il film-concerto Francesco De Gregori Nevergreen di Stefano Pistolini, con 9 mila euro.

        Il pubblico adulto, insomma, continua a latitare: le sale si riempiono solo quando a trainare sono horror o anime. Tutti gli altri aspettano il nuovo film di DiCaprio, ma davanti a uno schermo televisivo.

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          Cinema

          Pretty Woman: Valeria Golino al posto di Julia Roberts? Il provino che poteva cambiare la storia del cinema

          Valeria Golino e il provino finale per Pretty Woman: “Quando vidi Julia Roberts, capii che avrebbero preso lei”.

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            Insomma la trasmissione Belve di Rai2, condotta da Francesca Fagnani, ci regala sempre più spesso delle vere e proprie chicche. Come nel caso dell’intervista all’attrice e regista Valeria Golino che, nella puntata del 26 novembre, ha raccontato un dettaglio sorprendente sul film Pretty Woman. Ovvero? L’indimenticabile e spezza cuori Vivian Ward, personaggio femminile del film interpretata da Julia Roberts, poteva essere affidata proprio a Valeria Golino. L’attrice e regista italiana, allora reduce dal successo del film Rain Man, arrivò infatti all’ultima fase di selezione per il ruolo, contendendolo proprio alla futura star americana.

            Il provino finale? Un incubo condiviso

            Valeria Golino ha raccontato di essere stata tra le ultime due candidate per il ruolo di Vivian. La competizione si giocò in un clima surreale e imbarazzante. “Eravamo nello stesso posto, vestite uguali, un incubo”, ha rivelato l’attrice. Eppure, al di là della tensione, Golino comprese subito il verdetto: “Quando ho visto Julia, con quella vitalità tutta americana, ho capito che avrebbero preso lei. Io ero più malinconica”. Nonostante quella delusione, Valeria non ha mai espresso rammarico, anzi: “Non ho mai detto che avrei potuto farlo io. Ha vinto la migliore per quel ruolo”. Un riconoscimento elegante e sincero che sottolinea la consapevolezza dell’attrice italiana del peso che Julia Roberts ha dato al personaggio di Vivian Ward, trasformandolo in un’icona del cinema.

            Una scelta che ha fatto storia

            Il regista Gary Marshall si trovò di fronte a un bivio artistico. Scegliere Julia Roberts, con la sua spiccata energia positiva e il fascino tipicamente americano, o Valeria Golino, dalla bellezza enigmatica e dall’aria malinconica. La scelta – per fortuna – cadde sulla Roberts, la cui interpretazione segnò non solo il successo del film ma anche il suo ingresso nell’Olimpo delle star di Hollywood.

            Golino: un successo che non conosce confini

            Tuttavia, è intrigante immaginare oggi come sarebbe stata Pretty Woman con Valeria Golino nel ruolo principale. Il suo approccio al personaggio avrebbe probabilmente dato una sfumatura diversa, meno solare e più introspettiva, forse arricchendo Vivian Ward di un’aura più sofisticata. Non ottenere quel ruolo non ha fermato la carriera di Valeria Golino, che continua a essere una delle attrici italiane più apprezzate a livello internazionale. “Da giovane, il successo lo prendevo per scontato. Poi ho imparato la disciplina”, ha confessato l’attrice, che a vent’anni aveva già vinto la Coppa Volpi a Venezia. Oggi, guardando indietro, durante l’intervosta con la Fagnani, Golino riflette su quel momento con la maturità di chi sa riconoscere il proprio valore e quello degli altri. La sua grazia nel raccontare questa esperienza dimostra come la vera grandezza risieda anche nell’umiltà: “Quello era il ruolo di Julia. E lo ha fatto splendidamente”.

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              Cinema

              Sigourney Weaver: “Alien: Pianeta Terra mi spaventa, non riesco a guardarlo da sola”

              L’iconica interprete di Ellen Ripley racconta il suo rapporto con il nuovo spin-off televisivo firmato Noah Hawley. Tra elogi al cast e al regista, e la paura ancora viva di fronte agli Xenomorfi che l’hanno resa leggenda.

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                Sigourney Weaver, volto simbolo della saga Alien, ha confessato di essere rimasta profondamente colpita – e spaventata – dal nuovo spin-off televisivo Alien: Pianeta Terra. L’attrice, che con il personaggio di Ellen Ripley ha rivoluzionato il cinema fantascientifico a partire dal 1979, si trova oggi dall’altra parte dello schermo: da protagonista a spettatrice, con la stessa inquietudine del pubblico comune.

                “Lo sto guardando come una persona normale”, ha raccontato in una recente intervista. “Non riesco a farlo da sola: devo fissare un appuntamento con mio marito perché temo che una di quelle creature esca dallo schermo. Sono indietro con la visione, ma quello che ho visto finora è davvero affascinante”.

                Noah Hawley e la nuova visione di Alien

                La serie, creata da Noah Hawley – già autore della pluripremiata Fargo – rappresenta un’interpretazione inedita del franchise. Weaver non ha nascosto la sua ammirazione per l’approccio del regista e sceneggiatore: “Conoscevo e stimavo il suo lavoro su Fargo, e mi chiedevo cosa avrebbe fatto con l’universo di Alien. Quello che trovo straordinario è che non si concentra solo sugli Xenomorfi. Racconta il mondo come sarà tra cento anni: parla di avidità, di come la società potrebbe evolversi, delle priorità che avremo. Ha ampliato temi che sono sempre stati presenti nella saga, portandoli a una scala ancora più grande. Ed è recitata e realizzata in modo magnifico. Fatico a credere che sia una produzione televisiva”.

                Nel cast spicca Sydney Chandler, già apprezzata in Don’t Worry Darling e qui chiamata a confrontarsi con un immaginario tanto carico di aspettative quanto temibile.

                Ripley, un’eroina senza tempo

                Il confronto con la serie è inevitabilmente segnato dalla storia di Weaver stessa. La sua interpretazione di Ellen Ripley in Alien (1979) di Ridley Scott rivoluzionò la rappresentazione femminile nel cinema di genere, trasformando un ruolo inizialmente secondario in un’eroina iconica.

                Ripley tornò poi nei successivi tre capitoli principali della saga: Aliens – Scontro finale (1986) di James Cameron, Alien³ (1992) di David Fincher e Alien – La clonazione (1997) di Jean-Pierre Jeunet. Una presenza così forte da estendersi oltre il cinema, con il personaggio apparso in fumetti, videogiochi e romanzi ufficiali.

                Il legame tra l’attrice e la creatura di H.R. Giger rimane intatto. “Quegli esseri continuano a terrorizzarmi”, ha ammesso Weaver, confermando come lo Xenomorfo resti una delle icone più disturbanti mai create.

                Il futuro della saga

                Con Alien: Pianeta Terra, il franchise vive una nuova stagione che mescola fantascienza, horror e riflessione sul destino dell’umanità. Weaver, pur non essendo coinvolta direttamente, resta la sua spettatrice più esigente e sincera.

                E se anche la “madre” di Ripley non riesce a guardare lo show senza compagnia, significa che la forza perturbante degli Xenomorfi è rimasta intatta, capace di attraversare generazioni e linguaggi senza perdere la sua presa sul pubblico.

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