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Cinema

Dellamorte Dellamore, l’antesignano di Dylan Dog verrà restaurato e tornerà in sala

Martin Scorsese la adora, in molti lo considerano l’ultima grande pellicola del cinema horror italiano. Torna nelle sale restaurato “Dellamorte Dellamore”.

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    La pellicola di Michele Soavi Dellamorte Dellamore, liberamente ispirata ai personaggi creati da Tiziano Sclavi (primo fra tutti l’investigatore dell’incubo Dylan Dog), 30 anni dopo torna in sala, in occasione del suo 30/o anniversario dal 14 ottobre in versione restaurata. Il film cult diretto da Soavi, tratto dal romanzo di Sclavi, con Rupert Everett e Anna Falchi, sarà distribuito al cinema da CG Entertainment in collaborazione con Cat People, grazie a R&C Produzioni.

    Il trailer del film

    Il “papà” di Dylan Dog

    Prima di Dylan Dog c’è stato Francesco Dellamorte, ombroso custode di cimiteri creato da Tiziano Sclavi in un romanzo scritto nel 1983, intitolato DellaMorte DellAmore. L’alter ego più famoso di Dellamorte approderà successivamente nei fumetti Bonelli tre anni dopo. Vedendo vedendo l’enorme successo riscosso dal fumetto, Sclavi deciderà finalmente di pubblicare il suo romanzo nel 1991. Nel 1994 il regista Michele Soavi, uno dei protetti di Dario Argento, pensa di adattarlo per il grande schermo, contattando per il ruolo principale proprio l’attore che fu modello e ispirazione per le fattezze fisiche di Dylan Dog: Rupert Everett.

    Pellicola cult in tutto il mondo

    Trent’anni dopo l’uscita del film, la pellicola segna la fine del grande cinema horror italiano, quello che aveva fatto la storia con i grandi nomi di Dario Argento, Mario Bava e Lucio Fulci. Un vero e proprio “gigante” del cinema mondiale come Martin Scorsese lo ha definito “una delle migliori produzioni italiane dell’epoca”. Ancora oggi, a 30 anni dalla sua uscita, Dellamorte Dellamore è considerato un cult sia in Italia che all’estero. Un sapiente mix di generi e la regia visionaria lo rendono un’opera unica, apprezzata da appassionati del cinema horror e critici specializzati. Continuando a rappresentare oggetto di studio e di culto, dimostrando come le sue tematiche e il suo stile siano rimasti rilevanti e affascinanti col passare del tempo.

    La sinossi

    Per ragioni misteriose, i morti sepolti in un cimitero di provincia risorgono, animati da istinti omicidi e per annientarli occorre spaccare loro la testa. Per Francesco, uccidere gli zombi è solo un atto di routine. Finché un giorno, tra le lapidi, gli capita di incontrare una bellissima vedova (interpretata da un’allora giovane e sensuale Anna Falchi). Sarà l’inizio di una vorticosa discesa nel dolore e nella follia, tra morti viventi e vivi morenti.

    Un team di lavoro di grande professionalità

    Si tratta di un film che ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama del cinema di genere di casa nostra. Il film, uscito nel 1994, fondere in maniera godibilissima spunti horror, di black comedy e l’estetica del romanticismo gotico. Soavi ha il merito di aver creato un’atmosfera unica, in grado di alternare momenti di tensione a situazioni surreali e grottesche. La colonna sonora è firmata dall’esperto Manuel De Sica, contribuendo con soluzioni efficaci ad immergere lo spettatore nel mondo oscuro e bizzarro di Francesco Dellamorte. Gli effetti speciali di Sergio Stivaletti, maestro del make-up, hanno infine giocato un ruolo fondamentale nel dare vita ai “ritornanti”, i morti viventi che popolano il cimitero di Buffalora. Tutto questo ha contribuito alla creazione di un lavoro che è rimasto impresso nella memoria degli spettatori, guadagnando il David di Donatello e il premio Ciak d’oro.

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      Cinema

      Ema Stokholma madrina della Festa del Cinema di Roma: “Il cinema mi ha salvato, mi ha fatto capire che non stavo male solo io”

      “Resto una persona traumatizzata, ma anche fortunata: sono nata in Europa e il mondo mi ha accolta. Non voglio più nessuno da mantenere. L’amore? Non ci credo più. L’unico che mi fa pensare sia possibile è Luca Barbarossa.”

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        Sarà Ema Stokholma la madrina della prossima Festa del Cinema di Roma, in programma alla fine di ottobre. Un ruolo che la conduttrice, pittrice e scrittrice accoglie con entusiasmo, come una nuova sfida in una vita sempre in movimento. «Il cinema è fondamentale per raccontare le nostre vite e ne ho molto rispetto – racconta a F –. Ci sono film che per me sono stati cruciali, mi hanno fatto capire che non stavo male solo io».

        Ema, oggi 41 anni, non ha mai nascosto le ombre del proprio passato. Le violenze subite da bambina, gli abusi, il trauma che l’ha segnata per sempre: «Un trauma che non si supera mai. Io resto una persona traumatizzata. I bambini che vivono la guerra resteranno segnati a vita, come quelli che vedono certe scene sui social o che hanno vissuto il Covid».

        Ma dentro quel dolore c’è anche la forza di chi ha imparato a salvarsi da sola. «Sono stata fortunata a nascere in Europa, dove a 15 anni ho potuto prendere un treno e scappare dalla Francia per venire in Italia. Ho dormito per strada, ma c’era il sole, non morivo di fame. Il mondo mi ha accolta».

        Oggi si definisce una donna libera, indipendente, e anche felice nella sua solitudine: «Sto benissimo da sola e non voglio più nessuno da mantenere. È sempre andata così: trovavo uomini da accudire, da aiutare, e poi ci rimettevo io. Mi ritrovavo invasa, senza soldi e senza rispetto. Non accadrà più».

        Dell’amore parla con disincanto, ma non senza tenerezza. «Non ci credo più. L’unico che ogni tanto mi fa pensare che potrebbe essere diverso è Luca Barbarossa. Lo ammiro per la famiglia che ha saputo costruire, quando parla di sua moglie gli brillano gli occhi».

        Della madre, invece, conserva un ricordo complesso. «Quando è morta non ho provato nulla. Solo ascoltando un album di George Michael che le piaceva ho capito di averla perdonata». Oggi il suo punto debole resta il fratello: «Per farmi piangere basta nominarlo. Siamo due persone buone. Con quello che abbiamo vissuto, potevamo diventare serial killer».

        Un’anima sopravvissuta che ha scelto di splendere, e ora porta la sua luce sul red carpet più importante d’Italia.

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          Cinema

          “Bombolo core de Roma”: al Rome Film Fest il documentario che racconta il mito popolare di Franco Lechner

          Con interviste ai figli, agli amici e agli attori che lo hanno affiancato, il documentario ripercorre la parabola umana e artistica del comico romano, icona del cinema popolare degli anni Settanta e Ottanta.

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            Arriva alla Festa del Cinema di Roma 2025 il documentario Bombolo core de Roma, diretto da Stefano Calvagna, autore di ventidue film di culto e già regista del biopic Non escludo il ritorno dedicato a Franco Califano. Un tributo sentito a Franco Lechner, in arte Bombolo, attore simbolo della romanità verace, protagonista di una lunga stagione del cinema popolare italiano.

            Il film, presentato oggi nella sezione dedicata ai documentari italiani, ripercorre la carriera dell’attore attraverso materiali d’archivio, testimonianze e una galleria di immagini che raccontano il suo legame profondo con Roma. Ampio spazio è dedicato ai film che ne hanno consacrato la fama, dai polizieschi con Tomas Milian e Nico Giraldi alle commedie cult come W la foca, È forte un casino e Remo e Romolo, due figli di una lupa.

            Cuore del documentario è la puntata del 1984 di Che fai ridi?, firmata da Pier Francesco Pingitore, in cui Bombolo raccontava con ironia la propria vita tra Trastevere e Campo de’ Fiori, dove da giovane vendeva piatti e improvvisava gag di strada che gli valsero l’attenzione degli autori del Bagaglino.

            Calvagna alterna scene d’epoca e interviste ai figli, agli amici e agli attori che hanno condiviso con lui il set, come Carmine Faraco e Tony Morgan, oltre ai ristoratori dei locali che frequentava abitualmente – dal Costanza al Lilli – custodi di aneddoti e ricette entrate nella leggenda, come i celebri rigatoni “alla cacamesotto”.

            Nel racconto emerge un ritratto sincero e umano: Bombolo come incarnazione del “core de Roma”, genuino, diretto, inimitabile. Calvagna sottolinea come l’attore rappresenti una memoria collettiva, un linguaggio universale fatto di spontaneità e sarcasmo popolare.

            Non mancano i riferimenti all’eco internazionale del personaggio: il regista Eli Roth e Quentin Tarantino lo hanno citato come fonte d’ispirazione, raccontando di aver imitato i suoi celebri “tzé tzé” durante le riprese di Inglourious Basterds. Un omaggio che dimostra quanto l’energia di Bombolo abbia travalicato i confini del cinema italiano.

            Con Bombolo core de Roma, Calvagna firma un affettuoso atto d’amore verso un artista capace di far ridere generazioni intere e di restare, a distanza di decenni, il volto più autentico della comicità romana.

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              Cinema

              Quando Patrick Swayze salvò Whoopi Goldberg: la verità dietro il ruolo leggendario in Ghost

              L’attrice, già celebre prima del 1990, rischiava di non essere scelta per interpretare la medium Oda Mae Brown. A convincere la produzione fu proprio Patrick Swayze, che minacciò di lasciare il film se non avessero scritturato Whoopi.

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              Whoopi Goldberg

                Il set di Ghost – Fantasma sta prendendo forma. La sceneggiatura di Bruce Joel Rubin, premiata poi con l’Oscar, è pronta, e la regia è affidata a Jerry Zucker. Il progetto mescola amore, dramma e sovrannaturale, una formula allora considerata rischiosa. Ma ciò che pochi sanno è che uno dei ruoli più iconici del film, quello della medium Oda Mae Brown, interpretato magistralmente da Whoopi Goldberg, stava per sfumare ancora prima di iniziare.

                Una star “troppo ingombrante”

                All’epoca, Goldberg era già un volto noto del cinema americano grazie a film come Il colore viola di Steven Spielberg (1985), che le era valso la prima candidatura all’Oscar. La sua fama, però, rappresentava un ostacolo. Il team di produzione di Ghost temeva infatti che la sua presenza potesse oscurare i due protagonisti, Demi Moore e Patrick Swayze, scelti per incarnare la struggente storia d’amore tra Molly e Sam.

                Lo sceneggiatore Rubin, in particolare, pensava che il personaggio della medium dovesse essere affidato a un’attrice meno conosciuta, in modo da non distogliere l’attenzione dal cuore romantico del film. Whoopi, pur entusiasta della parte, aveva saputo che la produzione non la voleva e decise di rinunciare senza neppure presentarsi al provino.

                Il colpo di scena: l’intervento di Swayze

                Fu proprio Patrick Swayze, allora all’apice del successo dopo Dirty Dancing (1987), a cambiare tutto. Durante un incontro con i produttori, l’attore chiese se avessero preso in considerazione Goldberg per il ruolo di Oda Mae Brown. Alla risposta negativa, Swayze insistette: “O è lei, o non faccio il film”.

                La determinazione dell’attore ebbe effetto immediato. La produzione, colpita dal suo gesto, accettò di far sostenere un provino a Whoopi Goldberg — che, naturalmente, lo superò brillantemente. Anni dopo, l’attrice ha raccontato l’episodio durante il talk show britannico Loose Women, ammettendo di non aver mai dimenticato quel gesto di fiducia:

                “Se Patrick non avesse insistito, non credo che avrei mai ottenuto quel ruolo. Gli devo moltissimo. Ha creduto in me quando altri avevano paura.”

                Un legame profondo

                Sul set, tra Whoopi Goldberg e Patrick Swayze nacque un’amicizia autentica e immediata. I due condividevano lo stesso senso dell’umorismo e un grande rispetto professionale.
                In un’intervista al The Howard Stern Show, Goldberg ha ricordato con emozione quei momenti:

                “Tra noi c’era una connessione difficile da spiegare. Ci capivamo senza parlare. Patrick era generoso, protettivo e incredibilmente determinato. Mi ha insegnato tanto.”

                Quando Swayze morì nel 2009, dopo una lunga battaglia contro il cancro al pancreas, Goldberg gli dedicò un commovente messaggio in diretta televisiva:

                “Mi ha cambiato la vita”.

                Il trionfo agli Oscar

                Il successo di Ghost superò ogni aspettativa. Uscito nelle sale nel 1990, incassò oltre 500 milioni di dollari in tutto il mondo, diventando il film romantico più redditizio del decennio.
                Nonostante le recensioni iniziali contrastanti, il pubblico ne fece un fenomeno culturale.

                Il personaggio di Oda Mae Brown, la medium truffaldina ma dal cuore buono che aiuta l’anima di Sam a comunicare con Molly, conquistò tutti.
                Goldberg vinse nel 1991 l’Oscar come Miglior Attrice non Protagonista, diventando la seconda donna afroamericana nella storia ad aggiudicarsi la statuetta.

                Un’eredità senza tempo

                Oggi, a più di trent’anni dall’uscita del film, Ghost resta un capolavoro di equilibrio tra romanticismo, commedia e paranormale.
                E la performance di Whoopi Goldberg è diventata parte della storia del cinema: ironica, intensa, indimenticabile.

                Quel film mi ha dato tutto — ha raccontato l’attrice in un’intervista recente —. Mi ha permesso di essere me stessa e di far ridere e piangere le persone. Patrick ha visto in me qualcosa che io, allora, non vedevo ancora.

                Un gesto di fiducia che non solo ha cambiato una carriera, ma ha scritto una pagina indelebile nella storia di Hollywood.

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