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Cinema

Mamma che flop! Che gran disastro Biancaneve…

Il vero problema, però, è a monte: un budget delirante, che oscilla tra i 270 e i 350 milioni di dollari, a seconda che si ascolti Forbes o il New York Times. Una cifra che – per capirci – sta tra Avengers: Endgame e un intero anno di cartoni animati anni ’90 messi insieme. Dove siano finiti tutti questi soldi, resta un mistero degno della Regina Cattiva.

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    Un remake fuori fuoco, timoroso, incapace di scegliere una direzione. Biancaneve 2025 è un esercizio di equilibrismo finito male: impaurito dal passato, impacciato nel presente, svuotato nel messaggio. Webb firma un film che ha tutto: budget esorbitante, due attrici convincenti (Zegler e Gadot), effetti costosi, costumi “quasi” memorabili. Ma non ha niente: né magia, né coraggio, né identità.

    La fiaba diventa una lezione scolastica, in cui i nani non si chiamano nani e il principe è stato rimosso per “cautela narrativa”. Il risultato? Una protagonista trasformata in eroina a tesi, una sceneggiatura piena di frasi fatte, una CGI che oscilla tra il videogame e il ridicolo. Siamo lontani anni luce dall’incanto originale del 1937: dove c’era poesia, ora c’è costruzione; dove c’era stupore, ora c’è ansia da performance. Un remake privo di cuore che tenta di dire tutto e non dice niente. Nemmeno “Specchio, specchio delle mie brame”.

    Quando si dice che “il buongiorno si vede dal mattino”, Biancaneve aveva già tutti i sintomi di una tragedia annunciata. Il weekend di apertura – 42 milioni di dollari – è stato il peggiore mai registrato da un live-action Disney contemporaneo. Un risultato da brivido, ma non di quelli che piacciono al pubblico. E infatti il secondo fine settimana ha confermato il tracollo: un crollo verticale, con le sale sempre più vuote e i dirigenti della casa di Topolino costretti a sorrisi di plastica e ottimismo obbligato.

    Ma il vero incubo non è l’incasso. È il budget da delirio collettivo: 270 milioni secondo Forbes, ma il New York Times alza il tiro parlando di altri 80 milioni “nascosti”. Totale? Circa 350 milioni di dollari, più del PIL di un paese in via di sviluppo. Una follia finanziaria, soprattutto se il prodotto finale sembra uscito da una produzione streaming di medio livello.

    Già, perché guardando Biancaneve una domanda sorge spontanea: dove diavolo sono finiti tutti quei soldi? Sicuramente non nella CGI, che pare quella dei videogiochi degli anni Duemila. Nemmeno nella sceneggiatura, riscritta, sterilizzata e svuotata di ogni emozione. Persino il comparto costumi pare realizzato in fretta e furia per una recita scolastica di fine anno. Il tutto condito da un tono moralizzante e da un protagonista femminile così emancipata da risultare antipatica già al minuto cinque.

    Il problema non è la modernizzazione. Il problema è farla senza una visione chiara, sacrificando l’identità originale della storia sull’altare di un politicamente corretto che rischia di diventare solo ipocrisia d’immagine. Il pubblico, che non è stupido, ha reagito di conseguenza: ha chiuso il portafoglio. Per rientrare dei costi, Biancaneve avrebbe dovuto incassare 700 milioni. A oggi ne ha raccolti 144. Se esistesse un premio per l’insostenibilità economica, lo vincerebbe a mani basse.

    A completare il disastro ci sono le polemiche che hanno accompagnato il film fin dall’inizio. Dalle dichiarazioni infelici del cast alla cancellazione dei nani – sostituiti da “esseri magici” non meglio definiti – fino alle immagini promozionali che sembravano meme non autorizzati. Ogni passo è stato un autogol, ogni tentativo di salvataggio una toppa peggiore del buco.

    Il risultato è una Biancaneve senz’anima, senza magia, senza pubblico. E senza speranza. Il personaggio che nel 1937 inaugurò l’epopea dell’animazione disneyana oggi è diventato il simbolo di una crisi più profonda: quella di uno studio che ha perso il contatto con il cuore delle sue storie, con il desiderio genuino del pubblico e con l’umiltà di rimettersi in discussione.

    La morale della favola? Se cerchi di riscrivere la storia solo per inseguire le tendenze, finisce che ti mordi la mela da solo. E stavolta l’incantesimo non si spezzerà.

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      Cinema

      Asia Argento torna Scarlet Diva venticinque anni dopo: omaggio al film cult e incontro speciale alla Fondazione Prada

      A venticinque anni dall’uscita nelle sale, Scarlet Diva torna al centro dell’attenzione con una proiezione-evento alla Fondazione Prada. Asia Argento introdurrà il film al pubblico e dialogherà con Manlio Gomarasca, direttore di Nocturno, ripercorrendo il senso e l’eredità di un’opera diventata cult.

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        Venticinque anni possono trasformare un film in un documento, in un oggetto di culto o in una ferita ancora aperta. Scarlet Diva, esordio al lungometraggio di Asia Argento come regista, appartiene un po’ a tutte queste categorie.Stasera il film torna sul grande schermo con un omaggio speciale al cinema Godard della Fondazione Prada, alla presenza della sua autrice.

        Asia Argento introdurrà personalmente la proiezione e incontrerà il pubblico in dialogo con Manlio Gomarasca, direttore della rivista Nocturno, in un appuntamento che promette di andare oltre la semplice celebrazione anniversaria.

        Un esordio visionario diventato cult
        Uscito nel 2000, Scarlet Diva è stato fin da subito un film divisivo, radicale, lontano da qualsiasi comfort narrativo. Un’opera autobiografica e provocatoria, che racconta il corpo, il desiderio, la dipendenza e l’industria dello spettacolo con uno sguardo crudo e personale. Col tempo, quello che all’epoca sembrava eccesso è diventato cifra stilistica riconoscibile.

        Rivederlo oggi significa anche rileggerlo alla luce di un contesto completamente diverso, in cui molte delle ossessioni raccontate nel film risuonano con nuove consapevolezze.

        L’incontro con Manlio Gomarasca
        Accanto ad Asia Argento ci sarà Manlio Gomarasca, storico direttore di Nocturno, voce autorevole del cinema di genere e delle opere più borderline. Il dialogo tra i due promette di scavare nella genesi del film, nelle sue influenze e nella sua ricezione, senza filtri celebrativi.

        Un confronto che mette insieme memoria, critica e sguardo contemporaneo, restituendo a Scarlet Diva la sua natura di opera viva, ancora capace di interrogare chi la guarda.

        Il cinema Godard e la Fondazione Prada
        La scelta del cinema Godard della Fondazione Prada non è casuale. Spazio dedicato al cinema come esperienza culturale e non solo come intrattenimento, è il contesto ideale per accogliere un film che ha sempre rifiutato le etichette e i percorsi prevedibili.

        L’evento si inserisce in una linea curatoriale che guarda al cinema come linguaggio artistico totale, capace di dialogare con il presente anche quando nasce nel passato.

        Un ritorno che è anche una rilettura
        Per Asia Argento, tornare a Scarlet Diva significa confrontarsi con un’opera che porta impresso il segno di un’epoca e di una fase personale. Non un’operazione nostalgica, ma una rilettura consapevole, davanti a un pubblico chiamato a guardare oltre la superficie.

        A venticinque anni dall’uscita, Scarlet Diva non chiede indulgenza. Chiede attenzione. E forse è proprio per questo che continua a far parlare di sé.

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          Cinema

          Massimo Ceccherini si racconta senza filtri: “Se Pieraccioni si chiamasse Leonarda saremmo sposati con figli”

          Massimo Ceccherini compie sessant’anni e li festeggia raccontandosi come non aveva mai fatto prima. Nel libro L’uomo guasto, scritto “senza averne mai letti”, l’attore ripercorre una vita di eccessi, dolore e comicità feroce: l’amicizia con Pieraccioni, le notti autodistruttive, il gioco d’azzardo, Paolo Villaggio, fino alla rinascita accanto alla moglie Elena e al cane Lucio.

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            «Sono vivo, ed è già un jolly». Massimo Ceccherini oggi si presenta così. Sessant’anni sulle spalle, una voce sghemba, lo sguardo di chi ha attraversato parecchi inferni senza mai smettere di riderne. La sua autobiografia si intitola L’uomo guasto ed è già una dichiarazione di poetica: un libro scritto “senza averne mai letti”, come ammette lui stesso, ma pieno di vita vissuta, di cadute rovinose e risalite improbabili.

            Una vita senza sconti
            Ceccherini racconta di essere nato “senza foto”, come se la sua esistenza fosse partita già in difetto. Cresce inseguendo le lepri nei fossi, si porta addosso la vergogna di non essere stato ammesso all’esame di terza media – «rimasi chiuso in casa un mese» – e costruisce la sua identità partendo da quella faccia che diventerà il suo marchio: «la mia natura è rappresentata dalla mia faccia».

            Il libro ripercorre un’esistenza segnata da eccessi continui. Night club, bevute senza fine, sniffate nei “gabinetti sudici”, fino a un’immagine che resta impressa: «in casa un secchio pieno di piscio». Non c’è compiacimento, solo la cronaca cruda di una discesa che lo ha portato più volte a sfiorare il fondo.

            Pieraccioni, Villaggio e il mondo dello spettacolo
            Nel racconto scorrono i film e gli incontri che hanno segnato la sua carriera. Leonardo Pieraccioni è molto più di un collega: «Se si chiamasse Leonarda, saremmo sposati con figli». Una frase che racconta un legame profondo, fatto di amicizia, complicità e un affetto che va oltre le categorie.

            Poi c’è Paolo Villaggio, descritto “mummificato” dopo una notte di baldoria, ritratto in una scena che mescola rispetto e irriverenza. Il mondo dello spettacolo, per Ceccherini, non è mai patinato: è un luogo di eccessi, di incontri assurdi, di notti che finiscono male.

            La discesa e la “bestia” dentro
            Uno dei capitoli più duri riguarda il gioco d’azzardo. «Se perdi poco o tanto, le emozioni rimangono identiche», confessa. È una dipendenza che gli mangia tutto, soldi e lucidità, mentre la “bestia” continua a scavare dentro. C’è persino lo psicologo che, invece di curarlo, gli propone di seguirlo in una “nottatina”. Una scena che sembra una gag, ma che racconta l’abisso di quegli anni.

            In mezzo, anche le donne, definite con brutalità «donnine da scartare come caramelle». Ceccherini non assolve se stesso, anzi si espone, si mette a nudo senza chiedere indulgenza.

            La rinascita: moglie, cane e disciplina
            Oggi la “bestia” è ancora lì, ma tenuta a bada. Il merito è della moglie Elena e del cane Lucio, che lui definisce «angeli mandati da Dio». Una coppia che lo rimette in riga «a suon di cazzotti e carezze», in un equilibrio fatto di affetto e fermezza.

            La rinascita passa anche dal lavoro. La co-sceneggiatura di Io capitano con Matteo Garrone, che lui chiama affettuosamente “la mia fatina”, segna un punto di svolta. Un riconoscimento importante, arrivato dopo anni di autodistruzione.

            Sessant’anni e una nuova consapevolezza
            Alla domanda su chi sia oggi Massimo Ceccherini, la risposta è disarmante: «Ho 60 anni e mi sento più in forma adesso di quando ne avevo 40. Perché prima ero infognato». Non c’è retorica, solo la consapevolezza di essere sopravvissuto.

            L’uomo guasto non è un libro edificante, né una lezione morale. È il racconto di una vita vissuta al limite, con una sincerità brutale che fa ridere e stringe lo stomaco. Ceccherini oggi non chiede assoluzioni. Si gode ogni risata del pubblico, sapendo che essere ancora qui, dopo tutto, è davvero un jolly.

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              Cinema

              A Giorgia proposero un film erotico: Tinto Brass voleva lei per “La guardiana del faro”

              Sembra una scena uscita da una puntata di “Ai confini della realtà”, invece è un episodio vero: Giorgia, una delle voci più raffinate della musica italiana, racconta di essere stata contattata da Tinto Brass per interpretare un film erotico intitolato “La guardiana del faro”. Una proposta inattesa, mai diventata realtà ma rimasta come una curiosa parentesi nel suo passato artistico.

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                Ci sono retroscena che, quando emergono, fanno sobbalzare anche i fan più preparati. E quello raccontato da Giorgia appartiene decisamente alla categoria “imprevedibili”. La cantante, simbolo di eleganza vocale e riservatezza, ha rivelato che anni fa le fu proposta una parte in un film erotico. Non un film qualunque: un progetto firmato da Tinto Brass, il regista che ha costruito un’intera carriera tra trasgressione, cult di genere e icone sensuali.

                Il titolo provvisorio, “La guardiana del faro”, fa già sorridere per la distanza siderale dal mondo musicale e artistico di Giorgia. Un contrasto così netto che la stessa cantante, raccontandolo, ha ammesso di aver pensato di trovarsi dentro una dimensione parallela. Brass, del resto, non è nuovo a scelte inaspettate: nella sua lunga carriera ha sempre cercato volti magnetici e personalità forti, anche dove nessuno si sarebbe aspettato di trovarle.

                La proposta arrivò in un momento in cui Giorgia era già affermata, ma ancora lontana dall’aura “intoccabile” che ha acquisito negli ultimi anni. Eppure, nonostante il fascino curioso della situazione, la cantante non prese mai seriamente in considerazione l’idea: l’universo brassiano, con la sua estetica provocatoria e il suo immaginario senza filtri, era troppo distante dalla sua sensibilità artistica. Così l’episodio rimase una parentesi divertita, da raccontare solo molti anni dopo.

                A distanza di tempo, però, quella proposta rivela anche un altro aspetto: la cifra di Giorgia come artista, sempre coerente con sé stessa e con un’immagine costruita sulla voce e sull’intensità, mai sullo scandalo. Non ha mai inseguito scorciatoie, né cavalcato provocazioni che avrebbero potuto garantirle visibilità immediata. Ha preferito, allora come oggi, la via della musica.

                Difficile immaginare cosa sarebbe stato “La guardiana del faro” con Giorgia protagonista, e forse è proprio questa distanza a rendere l’aneddoto irresistibile. Una sorta di sliding doors improbabile che la cantante ha attraversato con un sorriso e una scrollata di spalle. E che oggi diventa uno di quei retroscena pop perfetti da tirare fuori quando si vuole ricordare che anche le carriere più lineari, ogni tanto, sfiorano territori inattesi.

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