Cinema
Michele Morrone, il divo che si crede Hollywood: da Dolce & Gabbana a Scervino, ma fuori c’erano solo trenta fan
Dopo aver “scoperto” il circolino del cinema italiano, Michele Morrone ha puntato tutto sulla mondanità delle passerelle. Tra una foto con Meryl Streep e un invito a un evento di cosmesi, però, l’entusiasmo del pubblico non è stato all’altezza delle aspettative.

Alla Milano Fashion Week chi si è tirato più delle star di Hollywood? Manco a dirlo, Michele Morrone. L’attore di 365 giorni si è calato nel ruolo di protagonista assoluto, muovendosi tra sfilate e party con l’aria di chi pensa che ogni flash sia lì solo per lui. A partire da Dolce & Gabbana, dove sedeva in prima fila accanto a Stanley Tucci e Meryl Streep, sfoderando lo sguardo intenso e la posa studiata a favore di camera.
Poi è passato da Ermanno Scervino, stesso copione: sorriso accennato, giacca aperta, occhi socchiusi e quell’atteggiamento da influencer più che da attore. Il pubblico, però, non sembrava particolarmente impressionato. Molti lo hanno riconosciuto, sì, ma pochi si sono fermati a chiedere selfie o autografi.
Il vero banco di prova è arrivato durante la presentazione di una nuova linea di cosmesi di cui Morrone è testimonial. L’attesa, almeno secondo il suo entourage, doveva essere da red carpet: folla di fan, urla, telefonini alzati. E invece, sorpresa. All’ingresso dell’evento si contavano una trentina di curiosi, per lo più passanti o clienti di un vicino bar attirati dal trambusto.
Certo, lui ha fatto finta di nulla. È arrivato con passo da star internazionale, giacca chiara e occhiali da sole, dispensando sorrisi come se davanti ci fossero migliaia di persone. Una performance impeccabile, se non fosse per il piccolo dettaglio del pubblico semi-deserto.
Morrone, che negli ultimi mesi ha cercato di conquistare la scena italiana dopo il successo globale del film Netflix, sembra aver sposato in pieno la filosofia del “vedo, non vedo”: visibilità a ogni costo, anche quando l’eco dei flash è più rumorosa della folla.
Insomma, la Fashion Week lo ha accolto, ma non proprio incoronato. E se il red carpet resta la sua passerella preferita, forse è arrivato il momento di capire che, per brillare, non basta un completo su misura. Serve anche qualcuno disposto a guardarti.
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Cinema
Mel Gibson nei guai per i dazi di Trump sui film girati all’estero: “La Passione di Cristo 2” rischia di affondare
La misura minaccia Cinecittà e le coproduzioni internazionali. Il regista australiano, già isolato da Hollywood, si è auto-finanziato il film, ma ora potrebbe chiedere a Trump un’esenzione “salvifica”.

Donald Trump dichiara guerra al cinema globale. Con un post su Truth Social, il presidente ha annunciato un dazio del 100% su tutti i film girati fuori dagli Stati Uniti. L’obiettivo dichiarato è “riportare la produzione a casa e rilanciare l’industria americana”. Ma la decisione rischia di trasformarsi in un boomerang politico e culturale, colpendo anche i suoi amici più fedeli.
Tra questi c’è Mel Gibson, da sempre vicino alla destra conservatrice americana. Il regista australiano naturalizzato statunitense è alle prese con La Passione di Cristo – Resurrezione, il sequel del suo kolossal del 2004. Le riprese si svolgono tra Roma, Matera, Israele e il Marocco, e l’imposizione del dazio del 100% potrebbe pesare come un macigno sulla distribuzione americana del film, che già è costato oltre 150 milioni di dollari.
Gibson, considerato un paria da Hollywood dopo le polemiche sul suo passato, ha deciso di finanziare il progetto con risorse personali. Ma ora il suo destino dipende proprio da quell’amico che più di tutti dice di voler difendere l’arte e la fede. “La nostra industria cinematografica è stata rubata da altri Paesi come rubare caramelle a un bambino”, ha scritto Trump. “Pertanto imporrò un dazio del 100% su tutti i film girati al di fuori degli Stati Uniti. Make America Great Again!”.
La decisione, se confermata, colpirebbe anche Cinecittà e i grandi set europei, che negli ultimi anni hanno accolto produzioni internazionali. Secondo gli esperti, la tassa renderebbe proibitivi i costi per i film girati in Italia, Francia o Regno Unito, scoraggiando gli investimenti di Hollywood nel Vecchio Continente.
Non solo Gibson. Anche registi come Christopher Nolan, impegnato nel kolossal Odyssey tra Grecia, Sicilia e Regno Unito, rischiano di vedersi applicare la nuova tariffa. Un provvedimento che, in ultima analisi, finirà per penalizzare gli spettatori, chiamati a pagare prezzi più alti per biglietti e streaming.
Mel Gibson spera ora in un’esenzione personale: un gesto politico che, nel linguaggio di Trump, potrebbe valere come un miracolo. Nel frattempo, il regista prosegue le riprese tra Gerusalemme e Roma, portando sulle spalle la sua croce più pesante: un film religioso, bloccato dai peccati della politica.
Cinema
Miuccia Prada furiosa: nel sequel de Il diavolo veste Prada la sfilata sarà di Dolce & Gabbana
Dopo Valentino nel primo capitolo, ora tocca a Dolce & Gabbana rappresentare il mondo della moda nel sequel del cult con Meryl Streep. E a quanto pare Miuccia Prada non l’ha presa con filosofia.

Gira voce, nei salotti della moda milanese, che Miuccia Prada sia tutt’altro che contenta. Nel sequel de Il diavolo veste Prada, film che già nel titolo porta il suo cognome, la sfilata scelta dalla produzione non sarà infatti quella della maison Prada, ma di Dolce & Gabbana. Un dettaglio che a molti sembrerà marginale, ma che nel mondo patinato delle passerelle vale come un affronto simbolico.
D’altronde, un po’ di ragione la stilista ce l’ha: se c’è un nome che, anche solo per assonanza, dovrebbe essere presente nel film, è proprio il suo. E invece, per la seconda volta, Prada resta fuori. Già nel primo capitolo, uscito nel 2006 e diventato un cult grazie all’interpretazione di Meryl Streep e Anne Hathaway, la sfilata mostrata sullo schermo era quella di Valentino, nonostante il titolo rendesse omaggio – seppur ironicamente – al suo brand.
A quanto si dice, la decisione sarebbe arrivata direttamente dai produttori americani, desiderosi di dare un tocco più mediterraneo e sensuale al nuovo episodio della saga ambientato tra Milano e Parigi. Una scelta strategica per attrarre il pubblico globale, ma che nella capitale della moda italiana ha fatto storcere più di un naso.
Fonti vicine alla maison milanese raccontano di una certa irritazione: «Capiremo le ragioni commerciali, ma resta una scelta discutibile – mormora un insider –. Non puoi chiamare un film così e poi mostrare un’altra casa di moda».
Il sequel, ancora top secret nella trama, dovrebbe vedere il ritorno di Meryl Streep nei panni della temutissima Miranda Priestly, ispirata ad Anna Wintour, e una nuova generazione di giovani assistenti alle prese con un’industria sempre più dominata dai social e dall’intelligenza artificiale.
Intanto a Milano si alimenta il gossip: Miuccia non commenterà mai pubblicamente, ma il suo silenzio – come spesso accade nel mondo della moda – vale più di qualsiasi comunicato stampa. In fondo, quando il diavolo veste Dolce & Gabbana, qualcuno all’inferno del fashion system un po’ si scalda.
Cinema
Roma come Fantozzi: salta la “Coppa Cobram”, trenta ciclisti partono lo stesso tra nuvole finte e amare risate
Tra biciclette travestite, “bombe” mancanti e permessi fantasma, la gara più folle dell’anno si è trasformata in un pasticcio all’italiana. Ora il Municipio promette una nuova data per ottobre e l’organizzatore, accusato di dilettantismo, promette rimborsi e “un pensierino”.

È finita come in un film di Fantozzi, ma senza risate registrate. Doveva essere la prima edizione romana della Coppa Cobram, la mitica gara ciclistica aziendale nata nel film Fantozzi contro tutti. E invece si è trasformata in un piccolo disastro organizzativo.
Alle 10 del mattino, una trentina di concorrenti si sono comunque presentati davanti al Forte Antenne. Vestiti da impiegati anni ’70, con caschetti d’epoca e perfino con nuvole di cartone legate alle bici. Non sapevano che la Questura non aveva autorizzato il percorso per la concomitanza con Roma–Verona all’Olimpico. L’annullamento era stato comunicato solo poche ore prima, alle 1.16 della notte, tramite una mail che molti non hanno nemmeno letto.
Delusi ma determinati, i fantozziani moderni sono partiti lo stesso lungo via di Ponte Salario. Scivolando in discesa come nel celebre film, con tanto di caduta collettiva “alla Filini”. Una parodia diventata realtà, tra amarezza e risate forzate.
Chi aveva pagato i 45 euro d’iscrizione si è sentito preso in giro. L’organizzatore, Riccardo M., ha scritto in fretta e furia agli iscritti promettendo rimborsi e una nuova data, il 12 ottobre. Assicurando che “la prossima volta ci sarà anche un pensierino per tutti”. Ma in molti sospettano una leggerezza imperdonabile. Già nei giorni precedenti il II Municipio lo aveva avvertito che il percorso andava modificato e che era in ritardo per ottenere il via libera.
L’Uisp Roma, che aveva patrocinato l’iniziativa, si è trovata a pagare le spese di un evento mai partito: ambulanza, assicurazione, 300 pasti preparati dal catering e perfino la “trattoria al Curvone”, ricreata per l’occasione.
Ora sarà il Municipio a occuparsi della prossima edizione, escludendo l’organizzatore, segnalato alle autorità competenti. Un epilogo tragicomico degno del ragionier Ugo: tra permessi mancati, ciclisti delusi e figuracce all’italiana, la “Coppa Cobram” romana è già entrata nella leggenda — ma dalla parte sbagliata della storia.
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