Cinema
Per Tom Cruise, stavolta la missione impossibile dell’Oscar diventa realtà
Dopo quarant’anni di inseguimenti, salti da palazzi e voli in jet, Tom Cruise riceverà finalmente l’Oscar alla carriera. Per l’Academy, “un esempio di dedizione assoluta al cinema e agli stunt”. Applausi, esplosioni e nessuna controfigura.
L’attore simbolo del blockbuster americano verrà premiato il 16 novembre 2025 durante i Governors Awards. Dopo quattro nomination a vuoto, l’Academy si arrende all’evidenza: Cruise è una leggenda vivente. Ma per molti fan, questa statuetta arriva tardi, troppo tardi.

Tom Cruise in carriera ha interpretato tutto: avvocato militare in Codice d’onore, vampiro dannato in Interview with the Vampire, pilota ribelle in Top Gun, produttore da Oscar con Maverick… e poi c’è Mission: Impossible. Anzi, sette Mission: Impossible. Sessantadue anni, zero controfigure, decine di ossa sfiorate. Cruise ha trasformato il suo corpo in macchina da guerra hollywoodiana, e la sua carriera in una corsa senza freni.
Oscar alla carriera: giustizia o contentino?
Non ha mai vinto un Oscar competitivo, pur avendo ricevuto 4 nomination (di cui una come produttore). Ora l’Academy lo premia “per il suo straordinario impegno verso la comunità cinematografica, l’esperienza teatrale e il mondo degli stunt”. Tradotto: per non aver mai mollato, nemmeno durante il Covid, quando difendeva a spada tratta il grande schermo.
Ma qualcuno storce il naso: “È un premio di consolazione?” si chiedono i fan. La risposta è sì… ma almeno è in oro.
Il paracadute in fiamme e l’ultimo salto
Lui, intanto, se ne infischia. Preferisce parlare con i fatti (e i lanci): nell’ultimo Mission: Impossible si è buttato da una scogliera con una moto, si è lanciato da un elicottero e – pare – anche da sé stesso. L’Oscar alla carriera? Sarà consegnato mentre probabilmente starà preparando il prossimo stunt, magari sulla Luna.
Un riconoscimento anche alla coerenza
Tom Cruise è uno degli ultimi eroi a credere nella “sala” come esperienza collettiva. Mai una serie TV, mai uno streaming, mai un cameo ironico da pensionato del cinema. Solo film, cinema, pop-corn e adrenalina. Anche questo – nel 2025 – è rivoluzionario.
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Cinema
Katharine Hepburn, la diva che sfidò Hollywood con pantaloni, ironia e ambiguità
Al Cinema Ritrovato di Bologna una retrospettiva celebra l’attrice più moderna della vecchia Hollywood: tra travestimenti, battute “proibite” e libertà fuori dagli schemi.

«Io domani mi devo sposare!» esclama disperato Cary Grant. Katharine Hepburn lo guarda e, con un sorriso beffardo, risponde: «E perché mai?». È una delle battute cult di Susanna (Bringing Up Baby, 1938), commedia slapstick diretta da Howard Hawks, in cui il “baby” del titolo è un leopardo e non una fanciulla. Il film, restaurato, sarà tra i protagonisti del Cinema Ritrovato di Bologna (fino al 29 giugno), che quest’anno dedica una retrospettiva a Katharine Hepburn, diva anticonvenzionale e icona di libertà.
Una commedia molto anticonvenzionale
Nonostante il rigido Codice Hays fosse già in vigore, Susanna è un concentrato di allusioni maliziose e gag audaci. In una scena, Hepburn si strappa il vestito e Grant tenta di coprirla con un cilindro, poi si incolla a lei in una posa volutamente ambigua. In un’altra, Grant – costretto a indossare un accappatoio da donna – grida: “Because I just went gay all of a sudden!“, una delle prime volte in cui la parola “gay” compare in un film con il significato moderno. Un inside joke? Probabile, considerando le voci sulla convivenza tra Grant e Randolph Scott, e la libertà con cui Hepburn sfidava i codici di genere.
Katharine simbolo di libertà
Katharine amava i pantaloni, lo sport, la vita indipendente. Si definiva un “tomboy”, un maschiaccio, e dopo un matrimonio lampo non volle mai più sposarsi. La sua modernità emerge anche in Il diavolo è femmina (1935), diretto da George Cukor, dove recita en travesti e si diverte a confondere i ruoli di genere. In una scena, Grant – ignaro che lei sia una donna – la invita a infilarsi sotto le coperte. Il gioco di ambiguità è continuo, e oggi appare più rivoluzionario che mai.
Un festival dedicato a Katharine Hepburn
Secondo il documentario Scotty Bowers and the Secret History of Hollywood, Hepburn e Spencer Tracy avrebbero usato la loro celebre relazione per coprire storie omosessuali. Ma la verità, forse, è che in quell’epoca tutto era possibile, purché non si dicesse. E Katharine, con la sua ironia tagliente e il suo stile androgino, ha saputo trasformare quella ambiguità in arte. Al Cinema Ritrovato, la sua figura sarà al centro di una rassegna che ne celebra la forza, la grazia e la capacità di essere sempre un passo avanti. Perché Katharine Hepburn non fu solo una grande attrice: fu un’idea di libertà. E quella, sul grande schermo, non passa mai di moda
Cinema
Pretty Woman: non doveva mica finire così…

Se si parla di romaticherie sul grande (e piccolo) schermo… uno dei primi film che torna alla mente è senza dubbio Pretty Woman. Uscito nel 1990 e diretto da Garry Marshall, contemplava una delle coppie più affasinanti di sempre in celluloide: Richard Gere e Julia Roberts che, con questo film venne lanciata in grande stile. Con una versione anche sotto forma di musical a Broadway, il film fu un successone anche in termini di incasso: circa 463,4 milioni di dollari. Quando si parla di cult movie… non si può non citarlo.
Julia spiazza tutti con una rivelazione
In pochissimi però sanno che il finale che tutti abbiamo visto e rivisto… era stato pensato in maniera differente. E’ stata proprio l’attrice Julia Roberts che, qualche tempo fa, durante una sua ospitata al Graham Norton Show, ha raccontato che l’epilogo “rose e fiori” che conosciamo era stato sceneggiato in maniera radicalmente diversa. Anche il titolo che conosciamo, caratterizzato dall’omonima canzone di Roy Orbisom, doveva essere un altro: si sarebbe dovuto chiamare 3000.
La gente vuole uscire dalla sala… senza pesi sullo stomaco
La scelta di optare per il finale ufficiale fu condizionata all’epoca da due fattori: una presa di posizione della produttrice esecutiva della pellicola Laura Ziskin, che decise di eliminare alcune scene, insieme al veto della Disney che, per far uscire un progetto che sembrava destinato all’oblio, optò per un’atmosfera lmeno drammatica. Si sa… al cinema la gente vuole piangere, commuoversi… ma alla fine – quando le luci in sala si riaccendono – uscire con l’animo sollevato e leggero.
Un finale brutale e per nulla romantico
La prima versione di Pretty Woman, in seguito modificata, si concludeva in modo decisamente più “crudo” della versione che ha fatto innamorare generazioni. Edward, letteralmente, scaraventava fuori dalla sua automobile Vivian, gettandole addosso il prezzo pattuito per le sette notti: 3000 dollari, come recitava il titolo poi accantonato. Anche alcuni personaggi inizialmente erano stati formulati in maniera differente, affrontando anche tematiche “spinose” di carattere sociale come la dipendenza dalla droga di lei. Un aspetto che poi è stato strategicamente accantonato, attribuendolo – anche se in forma minore – ad un personaggio di secondo piano come Kit.
Cosa ne pensa oggi la Roberts
Sempre durante la sua ospitata in tv, l’attrice ha detto: “Vivian era una tossicodipendente e il film finiva con lui che la lasciava in un vicolo, le lanciava i soldi e se ne andava. Ho ottenuto quella parte in quel film ed ero molto orgogliosa, ma quando la società di produzione è fallita e il film messo in stand by, ero distrutta. Ma poi la Disney lo ha ripreso, il che sembrava così improbabile, e lo ha reso divertente.
Cinema
Mel Gibson parla de “La Resurrezione di Cristo”: il sequel de “La Passione di Cristo” arriverà nel 2026 con Jim Caviezel
Dopo vent’anni dal successo planetario de “La Passione di Cristo”, Mel Gibson conferma che il sequel, intitolato “La Resurrezione di Cristo”, inizierà le riprese nel 2026. Il film esplorerà eventi biblici e mistici, dalla caduta degli angeli alla morte dell’ultimo apostolo, con Jim Caviezel che tornerà a interpretare Gesù Cristo

Mel Gibson, regista e attore iconico, ha finalmente svelato alcuni dettagli sul sequel del suo controverso e acclamato film La Passione di Cristo. Intitolata La Resurrezione di Cristo, la nuova pellicola promette di portare sul grande schermo una narrazione epica, esplorando eventi biblici e mistici che vanno oltre la resurrezione. Gibson ha annunciato che le riprese inizieranno ufficialmente nel 2026, un ventennio dopo il debutto del primo capitolo.
Tra i momenti chiave che saranno rappresentati, Gibson ha menzionato la caduta degli angeli e la morte dell’ultimo apostolo, suggerendo un racconto che mescola teologia e spettacolarità cinematografica. L’obiettivo è offrire un approfondimento sulla lotta tra bene e male, un tema caro al regista, arricchendo la narrativa biblica con la sua inconfondibile impronta stilistica.
Jim Caviezel, che nel 2004 ha incarnato Gesù Cristo nel primo film, tornerà a rivestire il ruolo, confermando il suo impegno nonostante i vent’anni trascorsi. L’attore ha dichiarato che questa produzione è per lui una missione spirituale, oltre che un progetto artistico unico.
Il primo capitolo, La Passione di Cristo, ha suscitato forti reazioni per la sua rappresentazione cruda e viscerale degli ultimi giorni di Gesù, ma è stato anche un successo straordinario al botteghino, incassando oltre 600 milioni di dollari a livello globale. Questo sequel punta a superare le aspettative, affrontando aspetti più complessi e meno conosciuti della tradizione cristiana.
La notizia delle riprese ha già acceso il dibattito tra i fan e i critici, molti dei quali si chiedono come Gibson riuscirà a bilanciare l’autenticità biblica con il suo stile spesso provocatorio. La sfida è alta, ma il regista sembra pronto ad affrontarla con lo stesso fervore che ha contraddistinto il suo lavoro precedente.
Con La Resurrezione di Cristo, Gibson punta non solo a replicare il successo del passato, ma anche a offrire un’esperienza cinematografica che stimoli riflessioni profonde, ponendosi come un ponte tra fede, storia e arte visiva.
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