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Cinema

Sul red carpet di Cannes volano urla, mani in faccia e un “Basta” che fa il giro del mondo (gallery)

Denzel Washington perde le staffe al Festival di Cannes durante la première del suo nuovo film Highest 2 Lowest, diretto da Spike Lee. Un fotografo lo tocca sul braccio, lui sbotta: “Basta, smettila, parlo sul serio”. Non è la prima volta che l’attore premio Oscar reagisce male a paparazzi e fan invadenti. Analisi del labiale, precedenti bollenti e l’insofferenza crescente di un divo che non tollera più la pressione del red carpet.

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    La passerella può essere glamour, ma anche un campo minato. Lo sa bene Denzel Washington, che durante la première del suo nuovo film Highest 2 Lowest ha regalato ai fotografi e al mondo intero uno scatto di nervi degno di un action movie. L’attore, 70 anni portati con classe ma sempre meno pazienza, ha perso il controllo davanti ai flash troppo invadenti, puntando il dito in faccia a un fotografo e urlandogli contro: “Basta, smettila. Parlo sul serio”.

    Alcuni momenti dell’episodio in passerella

    Secondo l’esperto di lettura labiale Jeremy Freeman, l’episodio è esploso quando il fotografo in questione ha osato toccare il braccio dell’attore. Un gesto che ha fatto scattare la miccia. Il fotografo, invece di fare un passo indietro, avrebbe ironizzato: “Non si può… sì, sì, sì”, peggiorando la situazione. Denzel ha reagito come solo lui sa fare: voce tonante, sguardo di fuoco, e la frase diventata virale in pochi minuti.

    La storia si ripete: altri episodi esplosivi

    Non si tratta del primo “scazzo” pubblico dell’attore. A ottobre 2024, a New York, durante un evento in onore di Samuel L. Jackson al MoMA, Denzel aveva avuto un altro scontro con alcuni cacciatori di autografi. Prima uno scatto con un fan, poi la tensione: “Ho detto che ci vediamo quando esco, quale parte non capite?”, aveva sbottato. Un crescendo culminato in un minaccioso: “Possiamo farla in un altro modo… oppure no!”

    Nel 2021, la scena si era spostata per strada, sempre a New York. Un fan gli si era avvicinato con una pila di foto da firmare, ma Denzel lo aveva preso per le spalle, guardandolo intensamente negli occhi, e – secondo i testimoni – gli aveva detto di “recitare una preghiera”. Un momento mistico, borderline, con tanto di mascherina abbassata e contatto ravvicinato.

    Attore, regista… ma soprattutto essere umano

    A Cannes, però, le luci sono più forti e i riflettori più impietosi. Il pubblico internazionale ha visto un Denzel visibilmente esasperato, stanco di essere trattato come una “macchina per sorridere”. Dietro la corazza del professionista impeccabile, si intravede un uomo che non sopporta più l’invasività del circo mediatico.

    E se alcuni fotografi ridevano, pensando forse fosse una scenetta da copione, la verità è che Denzel non stava recitando. Era davvero stufo. Stufo di mani addosso, di richieste infinite, di dover sempre “essere disponibile”.

    Rispetto, questa parola troppo spesso dimenticata

    Forse è tutto lì, il punto. “Si tratta di rispetto,” ha detto l’attore in uno dei suoi sfoghi più famosi. E Cannes, ieri sera, ha dimenticato il significato di quella parola. Ma Denzel, come in ogni suo ruolo, non ha avuto paura di alzare la voce. E anche stavolta, ha lasciato il segno. Non solo sul tappeto rosso, ma nella memoria di chi confonde una star con una statua da toccare.

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      Cinema

      Pretty Woman, il retroscena clamoroso: Richard Gere disse no, Julia Roberts lo convinse con un biglietto

      La commedia romantica più amata di sempre rischiava di essere un dramma sociale con un finale amaro. Richard Gere non voleva il ruolo, Julia Roberts non era la prima scelta. Ma poi successe la magia: tra imprevisti, risate vere e giacche comprate per strada, Pretty Woman diventò leggenda.

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        Pretty Woman è entrato nella storia come il film che ha consacrato Julia Roberts a icona planetaria e ha rilanciato Richard Gere come protagonista romantico per eccellenza. Ma dietro la favola metropolitana da quasi mezzo miliardo di dollari al botteghino, si nasconde un retroscena che in pochi conoscono.

        Nella prima versione della sceneggiatura, scritta da J.F. Lawton, il film finiva in tragedia. Vivian veniva abbandonata da Edward e la sua amica Kit moriva di overdose durante una gita a Disneyland. Altro che commedia: un cupissimo dramma sociale, senza lieto fine. Fu solo con l’arrivo della Disney e del regista Garry Marshall che il copione prese una svolta radicale. Si decise di trasformare la storia in una fiaba urbana, con un finale romantico e memorabile.

        Anche il casting fu un percorso a ostacoli. Julia Roberts, all’epoca una promessa ancora in ombra, dovette sostenere due audizioni per conquistare il ruolo. I dirigenti Disney volevano nomi più noti: Meg Ryan, Jennifer Connelly, persino Winona Ryder vennero considerate. Tutte rifiutarono, in parte per via del tono iniziale troppo duro del film.

        Quanto a Richard Gere, il no fu quasi categorico. L’attore rifiutò più volte il ruolo di Edward, finché Julia non si presentò a New York con un biglietto scritto a mano: “Per favore, dì di sì”. Fu il gesto decisivo. La chimica tra i due, una volta sul set, fece il resto.

        Molte delle scene più amate furono improvvisate. La chiusura del portagioie sul dito di Vivian? Inventata sul momento. La risata fragorosa davanti alla TV? Vera, provocata da Marshall che solleticava i piedi di Julia. Anche la celebre giacca rossa fu comprata per strada dai costumisti dopo averla vista indosso a una sconosciuta.

        Oggi Pretty Woman è un classico senza tempo. E se un sequel non si farà mai — per volontà del cast e dopo la scomparsa di Garry Marshall — resta intatto il fascino di un film nato da mille imprevisti, ma entrato nel cuore di tutti.

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          Cinema

          Brad Pitt sorprende tutti: “Mai avuto esperienze gay. Me ne pento un po’”

          “Non ho mai avuto un’esperienza omosessuale, ho perso quell’occasione”, rivela Brad Pitt, parlando anche della sua rinascita dopo il divorzio e dell’amore ritrovato con Ines de Ramon. Ma i nodi con i figli restano.

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            Brad Pitt si racconta senza maschere. Ospite del podcast “Armchair Expert” condotto da Dax Shepard, l’attore 60enne ha regalato al pubblico una chiacchierata intima, disarmante e piena di ironia. E proprio con una battuta ha ammesso quello che nessuno si aspettava: “Non ho mai avuto un’esperienza omosessuale. Ho perso quell’occasione”, ha detto con il suo sorriso sornione, aggiungendo: “E se mai dovessi averla, non saresti tu”, rivolgendosi al conduttore.

            Una frase leggera, ma che racconta anche una certa libertà interiore, lontana da rigidità o mascolinità tossiche. Brad Pitt si è mostrato per quello che è: un uomo consapevole dei propri limiti, ma anche capace di riderci su.

            Durante l’intervista, l’attore ha poi affrontato temi ben più seri, come il periodo buio seguito alla separazione da Angelina Jolie nel 2016. “Ero in ginocchio”, ha confessato. Un dolore che lo ha spinto a cercare aiuto: “Ho iniziato a frequentare gli Alcolisti Anonimi. Stavo provando qualsiasi cosa. Avevo bisogno di un reset totale”.

            Il percorso, avviato in sordina e senza proclami, lo ha portato a una nuova consapevolezza. “In quei gruppi ti senti autorizzato a dire: ‘Ok, vado oltre il mio limite e vedo che succede’. E poi ho iniziato ad amarli”, ha spiegato, parlando con rispetto di quel periodo delicato.

            Oggi, accanto a lui c’è Ines de Ramon, con cui ha una relazione dal 2022. La serenità sembra essere tornata, almeno sul piano sentimentale. Ma resta tesa la situazione con alcuni dei sei figli avuti con Jolie: secondo indiscrezioni, alcuni di loro avrebbero deciso di abbandonare il suo cognome, segnando una distanza ancora profonda.

            Brad Pitt, però, non si nasconde. Parla di sé con leggerezza quando può, con dolore quando serve. E in entrambi i casi, lascia il segno. Meno icona da copertina e più uomo reale, fatto di ferite, cambiamenti e, perché no, anche di qualche rimpianto ironico.

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              Cinema

              Krypto conquista Hollywood (e i cuori): boom di adozioni canine dopo l’uscita di Superman

              La presenza scenica di Krypto, il fedele amico a quattro zampe di Superman, ha ispirato migliaia di persone a cercare un cane da adottare. Ma gli esperti mettono in guardia: servono consapevolezza e responsabilità.

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                Il nuovo capitolo cinematografico dedicato a Superman, firmato da James Gunn, è un successo su più fronti. Non solo ha convinto il pubblico e rassicurato la Warner Bros. Ma ha anche innescato un fenomeno curioso e positivo nel mondo reale: un’impennata nelle ricerche online per adottare cani. E il merito, almeno in parte, è tutto di Krypto, il supercane.

                Fin dai primi trailer era chiaro che il cane venuto da Krypton avrebbe avuto un ruolo centrale, rubando spesso la scena al nuovo Clark Kent interpretato da David Corenswet. Nato nei fumetti nel 1955 come semplice spalla di Superboy. Krypto si è presto guadagnato un posto stabile nell’universo DC, diventando protagonista di svariate versioni animate e cinematografiche.

                Nel film di Gunn, il legame tra Superman e Krypto si ispira direttamente all’esperienza personale del regista con il proprio cane adottato, Ozu, uno Schnauzer mix che ha cambiato la sua vita. La relazione tra Kal-El e il suo compagno peloso è definita come una “foster situation”. Ovvero un’adozione temporanea, ma come spesso accade, si trasforma in qualcosa di molto più profondo. Chi ha mai accolto un cane in casa sa bene che, a un certo punto, diventa difficile stabilire chi ha salvato chi.

                Ma l’effetto-Krypto non si è fermato allo schermo. Secondo quanto riportato da The Wrap, citando i dati dell’app di addestramento Woofz, subito dopo l’uscita del film le ricerche su Google per “adottare un cane vicino a me” sono aumentate del 513%. Mentre “adozione di un cane da salvataggio” ha registrato un balzo del 163%. Anche le ricerche specifiche per la razza Schnauzer sono salite alle stelle (+299%), proprio perché Krypto – e Ozu – appartengono in parte a questa categoria.

                James Gunn ha commentato con emozione la notizia: “Questo film mi ha portato tante benedizioni. Forse la più grande è questa ondata di attenzione verso l’adozione. Ozu non capisce cosa sta succedendo, ma se lo sapesse, ne sarebbe fiero”.

                Tuttavia, come sottolinea Natalia Shahmetova, CEO di Woofz, è fondamentale non lasciarsi guidare solo dall’entusiasmo: “Adottare un cane è un impegno reale. L’euforia passerà, ma il vostro amico a quattro zampe resterà. Bisogna essere certi di potergli dedicare tempo, amore e l’educazione necessaria”.

                Non sarebbe la prima volta che un trend cinematografico porta con sé adozioni impulsive, seguite da abbandoni. È già accaduto con i dalmata dopo La Carica dei 101 o con i labrador dopo Io & Marley. In questi casi, sono proprio i cani – e le strutture che li accolgono – a pagare il prezzo più alto.

                Krypto ha sicuramente fatto la sua parte nel promuovere l’adozione. Ma sarebbe il primo a ricordarci che ogni cane ha bisogno di una casa stabile, amorevole e duratura. Adottate, ma solo se siete pronti davvero a essere una famiglia.

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