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Cinema

Violet Affleck, la figlia di Ben e Jennifer Garner, alle Nazioni Unite: “Fate indossare le mascherine ai bambini”

Colpita da long Covid, Violet Affleck ha deciso di trasformare la sua esperienza personale in una battaglia pubblica. Davanti ai delegati ONU ha lanciato un appello per il ritorno delle mascherine nei luoghi pubblici e per una maggiore tutela dei più piccoli, affermando: “Sono furiosa per loro, non proteggerli è una negligenza”.

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    Dalla ribalta hollywoodiana a quella delle Nazioni Unite. Violet Affleck, la primogenita di Ben Affleck e Jennifer Garner, è salita sul podio di New York non come figlia di star ma come attivista. Diciotto anni, sguardo deciso e voce ferma, ha raccontato la sua esperienza con il long Covid, la sindrome che colpisce molti pazienti anche mesi dopo la guarigione, e ha chiesto un impegno concreto per proteggere chi è più vulnerabile.

    «Sono furiosa per i bambini – ha detto durante il suo discorso – non proteggerli è una negligenza». Parole dure, che hanno scosso la platea. Violet ha spiegato di aver sofferto a lungo per le conseguenze del virus e di aver imparato quanto il tema venga sottovalutato. «Portare la mascherina non è un segno di paura, ma di responsabilità verso gli altri», ha aggiunto.

    Nel suo intervento, la giovane Affleck ha ricordato come il long Covid possa colpire anche i ragazzi sani, con sintomi persistenti come stanchezza, dolori muscolari, difficoltà respiratorie e problemi di concentrazione. «Ogni volta che vedo bambini non protetti in un’aula o in un ospedale, mi chiedo cosa stiamo aspettando. Le istituzioni devono fare di più», ha dichiarato.

    La sua testimonianza, semplice ma incisiva, ha rapidamente fatto il giro dei social, trasformandola in un simbolo della nuova generazione impegnata. Mentre molti figli di celebrità scelgono la strada dello spettacolo, Violet ha deciso di usare la propria voce per una causa sanitaria e sociale.

    Ben Affleck e Jennifer Garner, presenti tra il pubblico, l’hanno applaudita visibilmente commossi. Lei, invece, ha mantenuto la calma e, alla fine, ha salutato con un sorriso timido ma determinato. «Non sono un’esperta, ma sono una testimone», ha detto. E in un mondo che sembra essersi ormai dimenticato della pandemia, la sua voce ha ricordato che certe battaglie non finiscono mai davvero.

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      Cinema

      Perché la Rai ignora “In Vino Veritas”? Un piccolo capolavoro girato in Basilicata, distribuito in tutto il mondo ma non in Italia

      Girato ad Acerenza, uno dei borghi più belli d’Italia, con Joe Pantoliano e Marco Leonardi, In Vino Veritas (titolo internazionale From The Vine) è stato distribuito ovunque — tranne nel Paese di cui racconta l’anima. Eppure la Rai nel 2024 ha trasmesso quasi 5.000 film, di cui centinaia tedeschi e francesi. Una storia di bellezza ignorata dal servizio pubblico.

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        C’è una domanda che non riesco a togliermi dalla testa: com’è possibile che un film come In Vino Veritas, diretto da Sean Cisterna e girato nel cuore della Basilicata, non sia stato trasmesso dalla Rai? Non parlo di una pellicola sperimentale o di un prodotto di nicchia. Parlo di una commedia lieve, poetica, perfetta per una serata in famiglia. Un film che parla di noi: di emigrazione, di ritorni, di vino e di quella terra lucana che il mondo ci invidia ma che noi, troppo spesso, fingiamo di non vedere.

        Girato ad Acerenza, un borgo che Forbes ha definito «uno dei dieci luoghi più belli del mondo», il film racconta la storia di un uomo che, dopo anni all’estero, torna alle proprie radici e ritrova nella vite e nel vino — l’Aglianico, orgoglio lucano — il senso della vita. È un racconto universale, ma al tempo stesso intimamente italiano, perché parla di identità, di appartenenza e del legame profondo tra l’uomo e la sua terra.

        Acerenza non è solo uno sfondo: è la protagonista silenziosa del film. Un paese che nel 2018 ha rappresentato la Basilicata nella finale del programma di Rai 3 e che nel 2014 si era classificato quarto nella competizione nazionale di Kilimangiaro. Un borgo che la Rai conosce benissimo, e che ha contribuito a valorizzare in passato. Eppure, quando si è trattato di dare spazio a un film che ne esalta la bellezza e il carattere, la rete pubblica si è girata dall’altra parte.

        Il paradosso è che In Vino Veritas è stato distribuito in tutto il mondo: dagli Stati Uniti — dove Samuel Goldwyn Films lo ha portato nelle sale con il titolo From The Vine — fino alla Corea del Sud. E sapete quanti film italiani, in media, riescono ogni anno ad avere un’uscita americana? Non più di cinque o sei negli ultimi cinque anni. Eppure questo ce l’ha fatta. Ha convinto la critica e il pubblico, ha emozionato spettatori che con la Basilicata non avevano mai avuto nulla a che fare.

        Basta leggere le recensioni internazionali per capire di che film stiamo parlando: “From The Vine brings heart, warmth and a sense of hope to a world that is in much need of it”, scrive un critico americano. Un film che porta speranza e umanità in un mondo che ne ha bisogno. Possibile che in Italia, proprio in casa sua, non meriti nemmeno una prima serata su Rai 1, Rai 2 o Rai 3?

        E dire che il cast è straordinario: Joe Pantoliano, uno degli attori più amati del cinema americano, premio Emmy per I Soprano, volto di Matrix, Memento, Il fuggitivo. E accanto a lui Marco Leonardi, simbolo del nostro cinema grazie a Nuovo Cinema Paradiso. Due nomi che, da soli, sarebbero bastati per attirare curiosità e ascolti.

        Eppure niente. Il film era stato valutato positivamente da Rai, Mediaset e Sky. Tutti lo avevano apprezzato. Poi, misteriosamente, il silenzio. Nessuna spiegazione ufficiale, nessuna motivazione editoriale. Semplicemente, non se n’è fatto nulla.

        E allora mi chiedo: perché? Perché la Rai, che nel 2024 ha trasmesso 4.500 film (di cui 1.800 italiani, 1.700 americani, 500 francesi, 150 inglesi e 100 tedeschi), non ha trovato spazio per una coproduzione italo-canadese che celebra il nostro territorio meglio di cento fiction istituzionali? È accettabile che il servizio pubblico, finanziato dal canone, preferisca mandare in onda commedie tedesche o film francesi mediocri invece di un film girato in Basilicata, in lingua italiana, con un cast d’eccellenza e una storia universale?

        La verità è che In Vino Veritas non è solo un film: è una dichiarazione d’amore all’Italia che resiste. Quella delle colline, dei piccoli borghi, della terra e delle tradizioni. Racconta la nostra identità con leggerezza, senza prediche, e lo fa con immagini che sembrano affreschi, con un ritmo che riconcilia con la voglia di andare al cinema.

        Non posso accettare che una pellicola così venga ignorata nel suo stesso Paese. È come se un genitore dimenticasse di abbracciare il proprio figlio. In Basilicata, dove il film è stato girato, molti cittadini speravano di potersi rivedere sullo schermo, di riconoscere un volto, un paesaggio, un accento. E invece niente. La Rai li ha privati anche di questo orgoglio.

        Se il servizio pubblico ha davvero il compito di valorizzare la cultura e il territorio italiano, allora In Vino Veritas avrebbe dovuto essere il suo manifesto. E invece resta un’occasione mancata, una di quelle che fanno male. Perché dietro questo film non c’è solo la bellezza della Basilicata, ma anche il sogno di un’Italia che, per una volta, avrebbe potuto guardarsi allo specchio e piacersi.

        E così tocca a noi ricordarlo, a noi che amiamo il cinema e sappiamo riconoscere un piccolo capolavoro quando lo vediamo. Un film che parla di emigrazione, di vino, di radici, di speranza. Un film che altrove ha trovato pubblico e riconoscimento, ma che qui, nel Paese in cui è nato, è rimasto invisibile.

        Forse è questa la vera tragedia italiana: non vedere la bellezza anche quando ce l’abbiamo davanti agli occhi.

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          Cinema

          Quentin Tarantino torna davanti alla macchina da presa: sarà protagonista del film di Charlotte Gainsbourg Only What We Carry

          Il film, diretto e interpretato da Charlotte Gainsbourg, è descritto come una meditazione sull’amore e la perdita. Mentre Tarantino valuta il suo ultimo film da regista, si prepara anche lo spin-off di C’era una volta a… Hollywood con Brad Pitt e David Fincher.

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            Quentin Tarantino torna sul set, ma questa volta non per dirigere. Il regista americano, autore di capolavori come Pulp Fiction e C’era una volta a… Hollywood, ha accettato di recitare nel nuovo film di Charlotte Gainsbourg, Only What We Carry, già in fase di post-produzione. Una sorpresa per i fan del cineasta, che non appariva come attore in un progetto non suo dal lontano 1996, quando fu diretto dall’amico Robert Rodriguez in Dal tramonto all’alba.

            Nel film della Gainsbourg, Tarantino interpreta John Percy, un personaggio enigmatico che riemerge improvvisamente nella vita dei protagonisti e riapre ferite antiche. Secondo Deadline, la pellicola sarà «una meditazione sull’amore, la perdita e il coraggio silenzioso necessario per andare avanti». Le riprese si sono concluse e il progetto promette un tono intimista, molto diverso dal cinema esplosivo e pulp del regista americano.

            Per Tarantino, si tratta di una parentesi atipica, mentre il mondo del cinema attende ancora di sapere quale sarà il suo decimo e ultimo film da regista. Negli ultimi mesi, si era parlato con insistenza di The Movie Critic, una storia ambientata nella California degli anni Settanta, dedicata a un critico cinematografico realmente esistito. Il progetto, però, è stato momentaneamente accantonato, segno che il regista sta ancora riflettendo su come congedarsi dal grande schermo.

            Nel frattempo, Tarantino non resta fermo. È infatti coinvolto nella scrittura e produzione de Le avventure di Cliff Booth, lo spin-off di C’era una volta a… Hollywood, che sarà diretto da David Fincher per Netflix e vedrà ancora protagonista Brad Pitt nel ruolo dello stuntman più iconico del suo cinema.

            Il ritorno in scena come attore sembra confermare una verità che Tarantino stesso ha spesso raccontato: il suo amore per il cinema non conosce confini, né ruoli. Dopo trent’anni di regia, è tornato a recitare. Forse per ricordare a tutti che, qualunque sia il suo ultimo film, Quentin Tarantino non smetterà mai di essere un personaggio da film.

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              Cinema

              Il calendario dell’avvento di Gwyneth Paltrow? Tra corde bondage e oro 24 carati, il Natale più hot di sempre

              Gwyneth Paltrow lancia la sua versione del calendario dell’avvento, pensata per chi vuole accendere le feste con sensualità e ironia. Dalle corde bondage alle manette dorate, fino al vibratore a cinque velocità: un mix di erotismo e design firmato Kiki de Montparnasse.

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                Altro che cioccolatini o cosmetici: il calendario dell’avvento di Gwyneth Paltrow è un viaggio nei piaceri del corpo. Nella sua Pleasure Seeker’s Gift Guide, pubblicata sul sito di lifestyle Goop, l’attrice premio Oscar propone un Natale decisamente fuori dagli schemi, con 24 sorprese ad alto tasso erotico e altrettanto alto di prezzo.

                Il Natale secondo Goop

                Il cofanetto, che rientra tra i consigli per gli acquisti natalizi più discussi del web, è una vera e propria mini “stanza dei giochi”. Dentro si trovano corde bondage di sei metri, manette placcate in oro, vibratori a cinque velocità e lingerie di lusso firmata Kiki de Montparnasse, marchio cult del piacere raffinato.

                Lusso, ironia e libertà

                Non è la prima volta che la Paltrow usa il Natale per provocare. Dopo la “candela che profuma come la mia vagina” e le guide al discoppiamento consapevole, la star di Hollywood rilancia la sua visione del benessere sensuale: senza tabù, ma con molto stile.

                Un investimento (più che un regalo)

                Il prezzo non è per tutti, ma il messaggio sì: godersi le feste può essere un’arte. E se c’è qualcuno che sa trasformare l’erotismo in business, quella è Gwyneth Paltrow, regina indiscussa del lusso consapevole.

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