Spettacolo
Justin Bieber, tra tour cancellati, conti in rosso e silenzi social: che fine ha fatto la popstar più famosa degli anni 2010?
Il cantante canadese ha venduto tutto il suo catalogo musicale per 200 milioni, ma avrebbe ancora debiti per oltre 8 milioni. Crollo mentale, crisi di coppia e una carriera ferma da anni: il caso raccontato da TMZ accende i riflettori sul lato oscuro della fama

Non è solo un periodo no: per Justin Bieber questo potrebbe essere il punto più basso di una parabola che sembrava destinata a non finire mai. A dirlo non sono le solite chiacchiere da social, ma i numeri. Quelli dei conti bancari in rosso, dei tour saltati, dei debiti con l’ex manager Scooter Braun e di una salute mentale sempre più precaria, secondo chi lo conosce da vicino. Dalla sindrome di Ramsay Hunt all’addio al palco, fino alla vendita del suo intero catalogo musicale: il ragazzo prodigio del pop sta attraversando un momento durissimo. E mentre la moglie Hailey Baldwin chiede “aiuto a Dio”, lui continua a restare in silenzio.
Il tour dei guai
Tutto è cominciato nel 2022, quando Bieber annuncia a sorpresa la cancellazione del suo “Justice World Tour”, un tour mondiale da oltre 90 milioni di dollari già proiettato verso il sold-out. Il motivo ufficiale? Una complicazione medica: la sindrome di Ramsay Hunt, una patologia neurologica che gli ha causato la paralisi parziale del volto. Ma secondo lo speciale di TMZ “What Happened to Justin Bieber?”, disponibile su Hulu, la verità potrebbe essere più complessa.
Dietro il forfait improvviso ci sarebbero state spese folli – si parla di oltre 20 milioni di dollari bruciati in preparativi, tra cui otto bus personalizzati e un entourage degno di una rockstar anni ’80 – e una gestione economica traballante. E qui entra in scena Scooter Braun, ex manager e figura chiave della sua ascesa. I due si sarebbero scontrati proprio sulla gestione del tour, ma anche su un prestito: secondo la società di revisione PricewaterhouseCoopers, Bieber dovrebbe a Braun oltre 8 milioni di dollari, soldi usati per coprire le spese del tour saltato. Un debito, dicono, non ancora saldato.
La vendita del catalogo: scelta o disperazione?
Nel gennaio 2024, Justin Bieber ha venduto i diritti del suo intero catalogo musicale alla società Hipgnosis Songs Capital (oggi Recognition Music Group) per circa 200 milioni di dollari. Una cifra mostruosa, certo, ma che secondo gli esperti del settore suona più come un campanello d’allarme che come un colpo di genio.
Vendere tutto a soli 29 anni significa rinunciare a royalties future, a margini sulle sincronizzazioni pubblicitarie, alle rendite passive di una carriera costruita in oltre un decennio. Secondo TMZ, Bieber non aveva scelta. La vendita sarebbe stata l’unico modo per evitare un collasso finanziario imminente. E pare che Scooter Braun, al tempo, gli avesse anche sconsigliato l’operazione.
Le voci sul crollo mentale e l’intervento della moglie Hailey
Il gossip – quello più cupo – ha ripreso a girare quando il Mirror ha raccontato di una Hailey Baldwin che avrebbe chiesto aiuto in chiesa, parlando delle condizioni psichiche del marito come “gravemente compromesse”. Una fonte, rimasta anonima, ha raccontato: «Solo Dio può aiutarlo in questo momento». A corroborare l’allarme, ci sarebbero alcuni testimoni che descrivono un Justin visibilmente dimagrito, chiuso in se stesso, spesso in silenzio anche con i fan. I social? Quasi deserti. Le foto? Sempre più rare, sempre più opache.
Il suo nome è anche finito in una delle indagini collaterali al caso Diddy, ma il suo entourage ha smentito ogni tipo di coinvolgimento o abuso. Eppure, l’impressione generale è quella di una celebrità che si è ritrovata a gestire troppo, troppo in fretta. Fama, denaro, pressioni, tour mondiali e una macchina promozionale che non lascia spazio all’errore. Forse neanche all’essere umano.
Che succede ora?
Justin Bieber non ha annunciato un ritiro. Né un ritorno. Non ha smentito nulla, non ha confermato niente. Vive nel suo silenzio dorato (forse neanche troppo dorato, a giudicare dai bilanci) e aspetta. Ha venduto i suoi pezzi migliori. Ha perso il suo manager di sempre. Si è preso una pausa. Ma non è detto che questo sia un epilogo.
Anzi, nel pop (quello vero) le resurrezioni non sono mai una sorpresa. E chissà, magari anche per Bieber – come per tanti prima di lui – questo è solo l’inizio di un nuovo capitolo. Ma prima, deve salvarsi. Dai conti, dai fantasmi, da se stesso.
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Cinema
Dwayne “The Rock” Johnson cambia pelle: la trasformazione per “Lizard Music” di Benny Safdie
Nel film “Lizard Music”, tratto dal romanzo di Daniel Pinkwater, The Rock vestirà i panni di un mago settantacinquenne — e, per la parte, ha dovuto perdere molti chili.

Dwayne Johnson, conosciuto in tutto il mondo come The Rock, è pronto a stupire ancora. Dopo aver conquistato la scena con la sua impressionante trasformazione fisica per il dramma sportivo The Smashing Machine, dove ha interpretato il leggendario lottatore di MMA Mark Kerr, l’attore americano cambia completamente registro per il suo prossimo progetto.
Il nuovo film, Lizard Music, segna infatti la seconda collaborazione tra Johnson e il regista Benny Safdie, dopo il debutto de The Smashing Machine presentato in anteprima a Los Angeles.
Durante il red carpet, il duo ha confermato di essere già al lavoro sull’adattamento del romanzo omonimo di Daniel Pinkwater, un cult della letteratura fantastica pubblicato nel 1976 e amatissimo negli Stati Uniti per la sua vena surreale.
Da campione di wrestling a vecchio mago
Nel film, Dwayne Johnson interpreterà un uomo di 75 anni, un ex mago solitario che ha come migliore amico… una gallina della sua stessa età. Un ruolo inaspettato e lontanissimo dai personaggi muscolari e invincibili che hanno reso celebre l’attore di Fast & Furious e Jumanji.
Per entrare nei panni di questo curioso protagonista, Johnson ha dovuto modificare radicalmente il proprio fisico.
«Per The Smashing Machine avevo preso circa 14 chili per rendere credibile il corpo di un lottatore», ha raccontato a Variety. «Ora sono tornato a dieta. Sono felice di essermi liberato di quel peso: riesco di nuovo a infilare la camicia nei pantaloni e non sembro incinto, quindi direi che va bene così».
Con il suo solito tono ironico, The Rock ha aggiunto: «Pensate a Clint Eastwood a 75 anni: asciutto, scolpito, con muscoli levigati. Ecco, qualcosa del genere. È una bella sensazione».
Un progetto visionario
Lizard Music sarà diretto da Benny Safdie, noto per il suo lavoro in coppia con il fratello Josh nei film Good Time (2017) e Diamanti grezzi (2019). Dopo il successo ottenuto anche come attore in Oppenheimer di Christopher Nolan, Safdie torna dietro la macchina da presa con un progetto più intimo e surreale.
Il romanzo originale di Pinkwater racconta la storia di Victor, un ragazzo che scopre un canale televisivo segreto dove si esibiscono misteriose lucertole musiciste. L’adattamento cinematografico, stando alle prime indiscrezioni, rielaborerà liberamente la trama in chiave più adulta, mescolando realismo magico, malinconia e humour visionario.
Johnson, che oltre a recitare sarà anche produttore del film tramite la sua società Seven Bucks Productions, ha dichiarato di essere “entusiasta di esplorare un lato più introspettivo e bizzarro” della sua carriera.
«È una storia tenera e strana, proprio come piace a me», ha detto. «Con Benny stiamo costruendo qualcosa di molto diverso: un film sul tempo che passa, sull’amicizia e sulla magia che rimane anche quando tutto cambia».
Il futuro di The Rock tra cinema d’autore e blockbuster
Le riprese di Lizard Music dovrebbero iniziare nel corso del 2026, con un’uscita prevista tra la fine del 2027 e l’inizio del 2028, secondo le prime ipotesi di produzione.
Nel frattempo, Johnson sarà impegnato nella promozione di The Smashing Machine, in cui recita accanto a Emily Blunt. Il film, diretto sempre da Safdie per A24, racconta l’ascesa e il crollo del lottatore Mark Kerr, esplorando i temi della dipendenza, della fama e della redenzione.
Con questi due progetti, Dwayne Johnson sembra ormai deciso ad allontanarsi dai ruoli d’azione tradizionali per abbracciare un cinema più autoriale e sperimentale.
E, a giudicare dalla sua dedizione fisica e artistica, il nuovo “mago” di Hollywood è pronto a riscrivere ancora una volta la propria leggenda.
Musica
KATSEYE, la nuova rivoluzione pop che unisce il mondo
Con milioni di fan e un’estetica Y2K che mescola nostalgia e innovazione, le KATSEYE sono il fenomeno che racconta il presente (e il futuro) della musica.

C’erano una volta sei ragazze con un sogno: diventare popstar. Ma questa non è una favola, bensì una storia reale di talento, strategia e rivoluzione culturale. Sophia, Lara, Daniela, Manon, Megan e Yoonchae sono i nomi che compongono le KATSEYE, la prima global girl band nata dalla collaborazione tra Hybe, la potente casa di produzione sudcoreana dietro al successo dei BTS, e la statunitense Geffen Records.
L’idea è semplice e geniale: fondere l’energia e la precisione del K-Pop con la creatività e il carisma del pop occidentale. Il progetto prende forma nel 2021 con il talent internazionale The Dream Academy, un programma pensato per selezionare le sei artiste che avrebbero incarnato un nuovo ideale di band globale. Alle audizioni partecipano oltre 120.000 candidate da tutto il mondo; solo venti accedono al durissimo training documentato online, tra prove di canto, danza e performance. Un anno dopo, il sogno diventa realtà: nascono le KATSEYE.
Un mix di culture e di personalità
Le componenti del gruppo arrivano da continenti diversi e rappresentano culture differenti, ma è proprio questa la chiave del loro fascino. Sophia Laforteza, filippina cresciuta negli Stati Uniti, è la leader e voce principale; Daniela Avanzini, già nota per il talent So You Think You Can Dance, porta energia e tecnica; Manon Bannerman, svizzera di origini ghanesi, aggiunge carisma e potenza scenica; Lara Raj, attrice e performer indo-americana, è l’anima creativa; Yoonchae Jeong, sudcoreana, incarna la tradizione K-Pop; Megan Meiyok Skiendiel, hawaiana, rappresenta la freschezza internazionale del gruppo.
Nel 2024 il debutto ufficiale con il singolo “Debut”, seguito dall’EP “Soft Is Strong”, trascina la band ai vertici delle classifiche e su YouTube supera i 170 milioni di visualizzazioni con il video di Touch. Netflix racconta la loro ascesa nella docuserie Popstar Academy: KATSEYE, che mostra i retroscena della formazione e il percorso di crescita personale delle sei protagoniste.
Pop, moda e identità
Le KATSEYE non sono solo musica. Il loro stile estetico, ispirato alla moda dei primi anni 2000 — crop top, jeans a vita bassa e colori pastello — è diventato un fenomeno virale. Il loro look, definito da molti “una via di mezzo tra le Bratz e le Winx Club”, ha riportato in auge la moda Y2K, risvegliando la nostalgia dei Millennial e l’entusiasmo della Generazione Z.
Non sorprende quindi che marchi come GAP le abbiano scelte come testimonial per le nuove campagne, dove danzano sulle note di un remix di Milkshake di Kelis. Un’operazione di marketing perfetta, che le consacra come icone pop a tutto tondo, capaci di influenzare tendenze ben oltre il panorama musicale.
Dietro le luci, la realtà
Ma la loro forza sta anche nella sincerità. “La nostra amicizia è un disastro meraviglioso,” ha ammesso Lara Raj in un’intervista a Teen Vogue. “Litighiamo, ridiamo, ci supportiamo. Non vogliamo sembrare perfette: vogliamo essere vere.”
Una dichiarazione che spiega gran parte del successo del gruppo, capace di mostrarsi autentico in un mondo di performance controllate al millimetro.
Con il singolo “Gnarly”, uscito nell’aprile 2025, la band entra per la prima volta nella Billboard Hot 100, consolidando il proprio status internazionale. E l’attesa per il nuovo EP “Beautiful Chaos”, che include la hit Gabriela co-scritta con Charli XCX, cresce di giorno in giorno.
Il pop che unisce
La loro esibizione agli ultimi MTV Video Music Awards, premiata come Push Performance of the Year, ha confermato ciò che molti sospettavano: le KATSEYE non sono solo un esperimento di marketing globale, ma una nuova forma di pop contemporaneo, capace di superare i confini linguistici, culturali e geografici.
Con il Coachella 2026 già confermato e una fanbase — gli EYEKONS — in costante espansione, il gruppo sembra destinato a ridefinire il concetto stesso di girl band.
Musica
The Dark Side of the… Pooh: siamo alla fantamusica!
Gli alfieri del progressive rock inglese e il longevo quartetto pop di casa nostra; che cosa potranno mai avere in comune? Qualcuno sostiene una teoria quantomeno bizzarra…

E’ proprio il caso di considerarlo un paragone assurdo quello fra la band italiana e quella inglese. Anche se, a ben guardare, un elemento che li lega – anche se non certo positivo – esiste. Il brano di Facchinetti e soci Concerto per un oasi è molto simile alla floydiana Terminal Frost, tratta dall’album A Momentary Lapse of Reason. La composizione dei Pooh è, infatti, molto debitrice di suoni particolari. I Pooh li conosciamo tutti molto bene, hanno vissuto una lunghissima e gloriosa carriera, elevando il valore del pop (ogni tanto con qualche spruzzatina di rock…) in Italia. Certamente non avevano bisogno di copiare una delle formazioni progressive rock più ricche e celebrate. O forse sì…
Nessuna azione legale da parte dei Pink Floyd
Ad onor del vero va detto che non c’è mai stato alcun procedimento penale o giudiziario a riguardo. Si tratta quindi di una possibile copia mai realmente confermata, anche se gli ascoltatori più esperti possono certamente pensar male. Prova ad ascoltare…
Comunque sia… rimane il fatto che la band italiana rappresenta un classico intramontabile, un romanzo popolare che da quasi sessant’anni non si smette di leggere. E, nonostante tour d’addio e saluti finali… non sembra abbiano intenzione di smettere. E a chi gli paragona alla band di David Gilmour, loro rispondono, con un – si spera – tocco di autoironia: “Non siamo i Pink Floyd italiani. Semmai sono loro i Pooh inglesi”.
Tutto grazie al pubblico, che “alimenta la macchina”
L’anno scorso Roby Facchinetti ha spento 80 candeline: «Emozione. Quella che sento dentro di me pensando a questo progetto, e che vedo sui volti delle persone che vengono ad ascoltarci. Il fuoco si autoalimenta così, la spinta a migliorare non finisce mai, però con una serenità e una consapevolezza che prima non c’erano. Se ci siamo rimessi a suonare dopo sette anni, e dopo la perdita di Stefano D’Orazio (il loro batterista, avvenuta nel 2020, ndr), lo dobbiamo all’insistenza dei nostri figli e all’amore del pubblico».
Nel 2026 la festa per i 60 anni
Al momento l’età pensionabile non è prevista. Nel 2025 si concederanno un anno sabbatico, e nel 2026 festeggeranno i sessant’anni di attività. Sempre avanti… finché ci sarà musica.
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