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Lady Gaga incanta Milano: l’opera pop che trasforma la musica in teatro

Due ore e mezza di musica, 30 brani e cinque atti: Lady Gaga torna in Italia con un tour che mescola opera lirica, cultura pop e introspezione. Un viaggio visionario che conferma il suo ruolo di regina della performance contemporanea.

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    Un concerto di Lady Gaga non è mai solo un concerto. È un’esperienza totale, un viaggio sensoriale e teatrale che travolge ogni spettatore. L’Unipol Forum di Milano, gremito fino all’ultimo posto per la prima delle due date italiane, si è trasformato in una cattedrale pop, dove il confine tra spettacolo, arte e rito collettivo si è dissolto.

    Fin dalle prime ore del pomeriggio, centinaia di Little Monsters — come la stessa Gaga chiama i suoi fan — hanno affollato i dintorni del palazzetto, molti truccati e vestiti in omaggio ai look iconici della cantante. Tra loro, anche volti noti: Donatella Versace, Elodie e Stefano De Martino, accolti da applausi e selfie.

    L’attesa e l’ingresso in scena

    Prima che la star salisse sul palco, sul megaschermo scorrevano messaggi dei fan provenienti dalla community ufficiale, dediche e perfino proposte di matrimonio. Poi, il silenzio. Sullo schermo è apparsa lei, Lady Gaga, seduta a un grande tavolo di legno, intenta a scrivere con una penna d’oca rossa. Un’introduzione cinematografica durata oltre venti minuti, accompagnata da brani di Berlioz, Bizet e Rossini — un preludio che ha preparato il pubblico a quella che si sarebbe rivelata una vera e propria opera pop in cinque atti.

    Un racconto in cinque atti

    La struttura dello spettacolo richiama la forma del melodramma: “Velvet and Vice”, “The Beautiful Nightmare That Knows Her Name” e “Every Chessboard Has Two Queens” sono solo alcuni dei titoli che scandiscono la narrazione. La protagonista è Lady Gaga stessa, divisa tra luce e ombra, incarnazioni opposte che dialogano e si sfidano per tutto lo show.

    L’apertura è affidata a una versione orchestrale di Bloody Mary, durante la quale l’artista emerge da un’enorme crinolina rossa di sette metri, simbolo di rinascita e prigionia. I ballerini si muovono sotto la gonna in una scenografia di acciaio e luci cremisi: un’immagine potente, tra gotico e futurismo.

    In Perfect Celebrity, Gaga balla circondata da scheletri e doppi defunti, evocando il tema della morte della fama, mentre in Disease affronta la sua controparte oscura, la Mistress of Mayhem. Nel terzo atto, riemerge da un gigantesco teschio in abito nero e rose rosa, interpretando Killah, uno dei momenti più intensi del concerto.

    La metamorfosi continua

    Il quarto atto porta una virata rock: chitarre elettriche e luci stroboscopiche accompagnano Shadow of a Man, Kill for Love e Summerboy, con Gaga e i suoi danzatori in total black. La sezione finale è invece dominata dall’emozione: Born This Way, cantata insieme al pubblico, diventa un inno alla libertà e all’autenticità. Poi arriva Million Reasons, eseguita in duetto simbolico con la sua “ombra”.

    Il gran finale, Eternal Aria of the Monster Heart, mette in scena la vittoria della luce sulle tenebre: Gaga sconfigge la Mistress of Mayhem e chiude con Bad Romance, in un’esplosione di luci bianche e rosse che ricordano una sala operatoria futurista.

    Un’opera pop gotica e visionaria

    Quello che Lady Gaga ha portato a Milano non è solo intrattenimento, ma una riflessione visiva sulla dualità umana, sulla fama e sull’identità. Con riferimenti al mito greco, al noir e al teatro barocco, la popstar statunitense dimostra ancora una volta la sua capacità di fondere linguaggi artistici diversi in un unico linguaggio universale: il suo.

    Biglietti e reazioni

    I biglietti per le due date milanesi, con prezzi compresi tra 64 e 231 euro (escluse prevendite), sono andati esauriti in poche ore. Sui social, i fan raccontano di un’esperienza “mistica”, “ipnotica”, “indimenticabile”. Alcuni hanno atteso fuori dal Forum sperando in un biglietto last minute, mentre su X (ex Twitter) l’hashtag #LadyGagaMilano è rimasto in tendenza per tutta la notte.

    Lady Gaga, ancora una volta, ha dimostrato di essere molto più che una popstar: è una regista di emozioni, un’artista totale che trasforma ogni concerto in una narrazione collettiva. A Milano, il suo “Monster Heart” ha battuto forte — e il pubblico, estasiato, ha risposto all’unisono.

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      Musica

      Rose Villain, il nuovo inizio in rosso tra musica, lingerie e libertà: «Le parole sono la mia arma contro il male del mondo»

      Rosa Luini, in arte Rose Villain, posa in rosso per la campagna di Natale di Yamamay e firma il repack after dark dell’ultimo capitolo di Radio Vega. Tra pigiami, scelte bold, critiche sul corpo, femminismo quotidiano e il ricordo del nonno partigiano: «Sono sempre in evoluzione. La moda è un gesto artistico, l’odio invece è un problema culturale».

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        Rossa è la copertina di Radio Vega, rosso è il capitolo after dark appena lanciato e rosso è il bustier in pizzo con cui Rose Villain ha scelto di presentarsi nella campagna di Natale 2025 per Yamamay. Una scelta cromatica che non nasce da un’abitudine, ma da un atto simbolico. «Il rosso è un colore con il quale non mi sono mai confrontata, ma proprio per questo lo considero un nuovo inizio. Io sono sempre in evoluzione, con la musica e con la moda», racconta la cantautrice, rapper e imprenditrice milanese, diventata quasi americana per gli anni trascorsi negli States a inseguire un sogno che oggi è realtà.

        Tra pizzo, pigiami e scelte bold
        Nelle immagini della campagna passa con naturalezza dal pigiama al completo rosso sexy, un contrasto che racconta una doppia anima. «Sono molto pigiamosa», ammette. «Amo il loungewear, le felpone, le cose oversize. Ho una vena da maschiaccio che mi piace “vestire”, anche se a volte mi sorprendo scegliendo look più sensuali. Credo che proprio questo interessasse a Yamamay: la possibilità di giocare con il femminile senza mai essere volgare. Io mi conosco bene, mi vedo simpatica, mai eccessiva».

        Il rosso, accostato all’azzurro dei suoi capelli, diventa così un gesto pop ma elegante, una dichiarazione d’intenti che porta la moda dentro il suo percorso artistico. «Mi piace prendere decisioni bold», dice con un sorriso che sa di sfida.

        Libertà, corpo e nuovi linguaggi del pop
        Palco, microtute, scollature abissali: il corpo esibito è diventato uno dei linguaggi dominanti della cultura pop contemporanea. C’è chi lo interpreta come emancipazione, chi come marketing. Rose Villain lo legge come un atto creativo. «Non ci vedo più una rivendicazione politica, ma una forma artistica», spiega. Eppure, aggiunge, la discriminazione resta. «Non passa giorno senza che riceva messaggi del tipo “se non fossi una bella ragazza…”, “se non fossi nuda…”, “se non avessi il seno grosso…”. Il vero problema è che odio e bullismo sono ormai accettati silenziosamente».

        Il suo diario musicale, dice, nasce proprio dalla necessità di incanalare quel lato dark che non trova spazio altrove. Una scrittura che diventa confessione, cura, sfogo.

        Vegan, sportiva e “donna pizza”
        Tra un tour e l’altro, la disciplina fisica è diventata una routine spontanea. «Sono vegana. Durante il Covid ho imparato a cucinare, ma mio marito è bravissimo. In realtà sono una donna pizza…», scherza. Per anni ha praticato danza e tennis, e in famiglia le gare non mancano mai. «Oggi non faccio sport con regolarità, ma durante i concerti salto come un grillo per un’ora e mezza». Anche questo, dice, è allenamento.

        Il nonno partigiano e il potere delle parole
        Il lato politico, sottotraccia ma presente, arriva quando parla delle proprie radici. «Ero legatissima a mio nonno Biagio Melloni, partigiano. Fondò le librerie Remainders perché credeva che tutti avessero diritto di leggere», ricorda. «Sono cresciuta con persone incredibili: intellettuali, insegnanti, poeti. Per me le parole sono l’unica vera arma che abbiamo contro il male del mondo».

        Una dichiarazione che riassume la sua idea di pop: brillante, sensibile, artistico, ma mai superficiale. In rosso, stavolta, ha scelto di raccontarsi con più coraggio. E quel colore, che non aveva mai osato, diventa davvero il suo nuovo inizio.

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          Musica

          Laura Pausini lascia i social: ansia, dipendenza e tossicità digitale dietro l’addio della star che invita tutti a “stare attenti”

          Laura Pausini spiega di aver abbandonato i social per ritrovare serenità: «Non dormivo più, cercavo di rispondere a tutto». Il fenomeno è globale e coinvolge star italiane e internazionali – da Fedez a Selena Gomez, da Harry Styles ad Adele – che denunciano la tossicità di piattaforme dove l’odio corre più veloce della musica.

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            L’ultimo gesto di Laura Pausini non è un singolo, né un video virale, ma un addio. La cantante, tra le voci italiane più riconoscibili nel mondo, ha deciso di abbandonare i social network. Una scelta comunicata proprio tramite una storia Instagram, il luogo da cui ora vuole prendere le distanze, e motivata così: «Mi stavano creando una dipendenza malata». Un’ammissione che arriva dopo settimane in cui l’artista aveva raccontato il bisogno di “ritornare ad amare”, anche se stessa.

            Un addio per ritrovare equilibrio
            Nelle sue parole c’è il peso della sovraesposizione digitale. «Stavo passando troppo tempo davanti allo schermo e questo mi causava stress e ansia», spiega. «A volte non riuscivo a dormire perché pensavo di non aver letto e risposto a tutti i messaggi». Per questo ha eliminato le app dal telefono, cambiato numero e deciso di restare in contatto solo con i familiari. Una pausa necessaria, racconta, per tornare a una vita più reale e meno filtrata.

            L’annuncio arriva in un momento in cui la cantante racconta di aver percepito la crescente ostilità delle piattaforme: «Ho fatto un giro sui vari social e ho trovato un odio sfrenato contro tutto e tutti. Mi sono spaventata». Un monito che allarga il discorso ben oltre la sua esperienza personale: «Fate attenzione a non cadere in questa trappola che può portarvi davvero a stare male».

            Dalla viralità all’ansia: il rovescio della fama digitale
            Chi segue la Pausini da anni ricorderà video iconici diventati virali, momenti pop che hanno fatto sorridere milioni di persone. Ma oggi, racconta la cantante, quel mondo non ha più la stessa leggerezza. Per molti artisti, il rapporto con social e commenti è diventato una zona grigia, un luogo dove l’apprezzamento convive con giudizi feroci, body shaming e pressioni costanti. E non sorprende che una figura esposta come lei decida di mettere un freno.

            Un fenomeno sempre più diffuso tra gli artisti
            La scelta di Pausini si inserisce in un trend ormai evidente. A ottobre Fedez aveva lasciato le piattaforme annunciando di voler comunicare solo attraverso la musica. Carlo Conti ripete spesso di non leggere nulla online, né elogi né critiche. E ancora: Selena Gomez, Harry Styles, Millie Bobby Brown, Adele, Tom Holland, Lizzo, Justin Bieber. Tutti, negli ultimi anni, hanno denunciato l’impatto tossico delle piattaforme sulla salute mentale.

            Le motivazioni cambiano, ma il nucleo è identico: un sovraccarico emotivo che confonde il confine tra vita privata e visibilità pubblica. Per molti, la ricerca di normalità passa proprio dal silenzio digitale.

            Il prezzo dell’odio e il richiamo alla normalità
            L’appello finale di Pausini sembra rivolto non solo ai fan ma a un’intera generazione che confonde la connessione con la presenza. «La salute vale di più», scrive. «Non siamo stati capaci di usare i social per avvicinarci. Sono diventati un posto dove si vomita rabbia e odio».

            Una riflessione che va oltre la sua carriera e tocca un tema universale: come proteggersi in un ecosistema dove l’odio è diventato linguaggio abituale e la pressione è continua. Il suo addio, per ora, è un atto di autodifesa. Ma è anche un invito a guardare cosa resta quando si spegne lo schermo: la vita vera, quella che – dice lei – sta cercando di recuperare.

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              Musica

              Sanremo 2026, i grandi esclusi sono 270 e tra loro spicca Alberto Urso: fuori dalla rosa di Conti dopo il singolo Reale

              Il cantante, vincitore di Amici, aveva presentato un nuovo brano dopo l’uscita estiva di “Reale”, ma non è rientrato tra i 30 big scelti da Carlo Conti. Intorno a lui, un elenco lunghissimo di esclusi che accende già il dibattito sul prossimo Sanremo. Numeri che raccontano quanto la selezione sia diventata un imbuto spietato.

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                La corsa verso Sanremo 2026 passa anche, e soprattutto, da chi resta fuori. E i numeri, quest’anno, fanno impressione: sono circa 270 gli artisti esclusi dalla selezione finale. Una vera e propria folla di nomi che si è fermata prima del traguardo dei 30 big. Tra questi, a sorpresa, spunta anche un vincitore di Amici: Alberto Urso. Un nome che, solo qualche tempo fa, sembrava destinato a una traiettoria molto diversa, ora costretto a guardare il Festival dalla platea.

                Il colpo per Alberto Urso
                Urso aveva appena pubblicato il suo singolo estivo, “Reale”, e aveva deciso di giocarsi la carta più importante: presentare un nuovo brano direttamente a Carlo Conti. Un passaggio che, per molti artisti, rappresenta la porta d’accesso al grande palcoscenico dell’Ariston. Porta che, questa volta, per lui è rimasta chiusa. Il suo nome non compare nella rosa dei 30 big e l’esclusione pesa doppio proprio perché arriva dopo una fase in cui il cantante sembrava pronto a rilanciarsi con decisione.

                I numeri dell’esclusione
                Duecentosettanta esclusi non sono solo una statistica, ma il segnale di una competizione sempre più feroce. Ogni anno il Festival diventa un imbuto stretto in cui passano in pochissimi, mentre fuori restano intere generazioni di artisti, nomi storici e nuovi tentativi di ritorno. Sanremo 2026 nasce così, nel segno di una selezione durissima che comincia molto prima delle luci dell’Ariston.

                Da Amici all’Ariston mancato
                Il percorso di Alberto Urso ha avuto una vetrina fortissima con la vittoria ad Amici. Da lì, l’idea condivisa era quella di una crescita rapida e di una carriera capace di spingersi oltre i confini italiani. Il Festival avrebbe potuto rappresentare un’altra tappa chiave di questa traiettoria. L’esclusione, invece, apre una fase diversa, fatta di riflessioni, attese e nuove strategie. Senza drammi ufficiali, ma con un dato che resta: Sanremo, per ora, non è arrivato.

                La corsa ai 30 big e la lista che brucia
                Nel frattempo, la macchina sanremese continua a macinare aspettative. Trenta posti, centinaia di brani, una lista lunghissima di chi ci ha provato e non ce l’ha fatta. Il nome di Urso si aggiunge a un elenco che resta per ora nell’ombra, ma che rappresenta la faccia meno raccontata del Festival: quella di chi resta fuori, mentre i riflettori si concentrano su chi ce l’ha fatta.

                Sanremo 2026 si prepara così, tra sogni che entrano e sogni che restano dietro la porta. E per Alberto Urso, come per altri duecentosettanta artisti, l’appuntamento con l’Ariston è solo rimandato, non cancellato.

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