Musica
“Amadeus? Come uomo è inesistente”: parola di Adriano Aragozzini
L’ex “patron” sanremese Aragozzini non ha avuto parole tenere nei confronti di Amadeus, direttore delle ultime edizioni di Sanremo. Che cosa penserà del ritorno di Carlo Conti?
Fin dalle prime edizioni, il “sale” di Sanremo non sono stati i fiori ma… le polemiche. Senza di esse sarebbe una noia mortale. Adriano Aragozzini, ex patron sanremese dal 1989 al 1993, torna a parlare della kermesse, dopo aver concluso di organizzare (e festeggiare) il matrimonio di sua figlia. Un’unione civile celebrata da Piero Chiambretti (anche lui conduttore sanremese nel 1997, «tra il comico e il commovente». Con Piero l’amicizia è salda, dal 2006 al 2008 partecipò anche come caustico critico televisivo alla trasmissione satirica Markette di Chiambretti, in onda su LA7.
Attualmente è manager di un tenore
Tre mogli, tre figlie, ancora tanto da fare e raccontare nonostante i suoi 86 anni, Aragozzini mantiene fede alla tempra che l’ha sempre contraddistinto «Sono manager di un tenore meraviglioso che voglio lanciare, Giuseppe Gambi». Magari potrebbe proporlo giusto a Sanremo…
Pro Conti, critica Amadeus
«L’arrivo di Carlo Conti il prossimo anno a Sanremo è un fatto positivo per la musica italiana. Ha stile, classe, categoria. Può fare benissimo e mi dà fiducia. Perché il signor Amadeus, tanto celebrato per questo “miracolo d’ascolti”, ha americanizzato il Festival. Se va a vedere gli ascolti della Rai, nel mio Sanremo del 1989 non c’è stata una serata che Amadeus abbia battuto, ma nessuno lo ha scritto».
Un fatto personale
La critica ad “Ama” è precisa e piccata: «Come artista non lo discuto, ma come uomo è inesistente». Alla domanda sul perchè di tale affermazione, lui pronto risponde: «Ho dei messaggi sul telefono che conservo. Riguardano i giorni in cui l’ho cercato per proporre il mio artista, ma Amadeus ha scartato due brani». Ma «lui ha voluto scartare Adriano Aragozzini, non le canzoni». Il contenuto preciso non viene svelato ma «sono un documento che voglio tenere con me e che tirerei fuori semmai rispondesse dopo aver letto le mie parole».
Conduttori alternativi ne abbiamo?
Quando il discorso verte sui possibili nuovi volti da mandare all’Ariston, Aragozzini non si contiene: «Stefano De Martino? Non mi sembra una star. Uno come Pippo Baudo nasce ogni cento anni, un nuovo Baudo non c’è. Mi piace Marco Liorni ma è sempre della generazione di Conti, eccetera. Guardi, se ci sono giovani bravi, io non ne conosco».
Un record personale del quale va fiero
Nel 1998 Aragozzini organizza allo stadio Olimpico di Roma, per la prima volta concesso integralmente per un evento musicale con il palco al centro del campo, il concerto di Claudio Baglioni. Lo spettacolo farà il tutto esaurito e stabilirà il record italiano di spettatori paganti in un singolo concerto in uno stadio.
Riconoscendo un grande abbaglio del passato
Al quotidiano Libero racconta un paio di episodi che, facendo trasparentemente autocritica, dimostra due suoi errori clamorosi. «Nella vita ho fatto due errori, chiamiamoli figuracce. Uno è questo. Gino Paoli, che mi aveva anche presentato Tenco, di cui fui il primo manager, un giorno mi disse: “Vieni alla Rca, ti presento un artista numero 1 in Italia, vedrai”. Andai. Ci siamo seduti al bar della Tiburtina. Arriva un signore basso, con il basco, vestito malissimo, con l’accento bolognese, aveva la mano sudata. Io all’epoca facevo il giornalista alla Rizzoli. Un giorno mi chiama Gino sempre per Dalla: “Ma io non posso occuparmi di Dalla, non ho tempo”, tagliai corto. Tergiversai. E la cosa tramontò. Dalla ebbe successo dieci anni dopo: feci una figuraccia, ma non grave». Quella più grave fu con Renato Zero, presentatogli da Patty Pravo. «Si siede sul divano verde appena preso piantandoci su gli stivali. “Mi vuoi?”, chiese. “Non ho tempo”, dissi. E se ne andò triste. Dopo poco vendette con il primo album un milione e mezzo di copie…».
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Musica
Eurovision 2026, il caso Israele divide l’Europa: cinque Paesi si ritirano, Nemo restituisce il trofeo
Spagna, Paesi Bassi, Slovenia, Irlanda e Islanda annunciano il forfait in segno di protesta. L’Italia conferma la partecipazione, mentre il vincitore 2024 Nemo restituisce la statuetta come gesto simbolico contro la scelta dell’Unione radiotelevisiva europea.
Il motto ufficiale è da anni “United by Music”, un invito all’unità attraverso le note. Eppure, la realtà che si presenta alla vigilia dell’Eurovision Song Contest 2026 è tutt’altro che unitaria. La decisione dell’European Broadcasting Union (EBU) di non escludere Israele dalla competizione, nonostante le richieste di diversi Paesi membri, ha spaccato l’organizzazione come raramente era accaduto nella sua lunga storia.
Secondo fonti confermate dalla stessa EBU, la maggioranza degli Stati partecipanti ha votato a favore della permanenza di Israele in gara. Una scelta che ha scatenato immediatamente una reazione a catena: cinque Paesi – Spagna, Paesi Bassi, Slovenia, Irlanda e, per ultima, l’Islanda – hanno annunciato il loro ritiro dalla 70ª edizione del contest.
L’Italia, invece, ha confermato ufficialmente la propria partecipazione nei giorni scorsi.
Pioggia di forfait: le ragioni dei Paesi usciti
Le motivazioni dei Paesi che hanno scelto di non presentarsi a Eurovision 2026 non sono identiche, ma seguono una linea comune: in un momento geopoliticamente teso, sostengono che la partecipazione di Israele rappresenti una presa di posizione incompatibile con lo spirito della manifestazione.
Molti broadcaster pubblici coinvolti nei ritiri hanno sottolineato come l’evento musicale rischi di trasformarsi in un terreno di scontro politico, snaturandone la funzione originaria. Un tema già emerso in passato, ma che quest’anno esplode con forza nuova.
Nemo, un gesto senza precedenti
A dare ulteriore peso al dibattito è intervenuto anche Nemo, vincitore dell’Eurovision 2024 con il brano The Code. In un video diffuso sui social, l’artista svizzero ha annunciato la restituzione del trofeo conquistato a Malmö, una decisione dal forte valore simbolico, soprattutto perché la sede dell’EBU è proprio a Ginevra, nella sua Svizzera.
In un messaggio pacato ma fermo, Nemo ha spiegato:
«Sarò sempre grato alla comunità dell’Eurovision, ai fan che hanno votato e agli artisti con cui ho condiviso il palco. Ma sento il dovere di agire in nome dei valori che questa competizione dovrebbe rappresentare. La musica deve unire, non dividere».
Un gesto che ha rimbalzato in tutta Europa, alimentando ulteriormente il dibattito sull’opportunità o meno di mantenere Israele in gara.
Un contest sempre più politico?
Eurovision Song Contest ha sempre dichiarato di voler rimanere un evento apolitico. Tuttavia, la sua dimensione internazionale e la visibilità globale lo rendono inevitabilmente al centro di tensioni geopolitiche. È già accaduto in passato con altri Paesi, dall’Ucraina alla Russia, ma raramente si era arrivati a un numero così elevato di ritiri.
La stessa EBU, in un comunicato diffuso nei giorni scorsi, ha ribadito che la partecipazione di un Paese non implica una posizione politica da parte dell’organizzazione. Una linea già seguita in altre edizioni, ma che quest’anno sembra convincere sempre meno membri.
Italia in bilico? Per ora no
Mentre alcuni Paesi hanno scelto il boicottaggio, l’Italia – storico protagonista della competizione – ha confermato la propria presenza. La Rai ha dichiarato che continuerà a monitorare la situazione, allineandosi comunque alle decisioni prese a livello europeo.
Per ora, dunque, l’Italia resta tra i partecipanti, ma il contesto resta fluido e potrebbe evolversi nelle prossime settimane.
Un futuro incerto per il contest
A pochi mesi dall’evento, l’Eurovision 2026 appare già segnato da tensioni e strappi. L’immagine di cinque Paesi ritirati e di un vincitore che restituisce il trofeo non è certo quella che la manifestazione avrebbe voluto dare nell’anno del suo 70° anniversario.
Resta da capire se altri Stati sceglieranno di unirsi al boicottaggio o se, al contrario, la crisi si ricomporrà. Una cosa è certa: l’edizione del 2026 sarà ricordata non solo per la musica, ma soprattutto per il dibattito politico e morale che ha acceso l’Europa.
Musica
Noa richiama tutti alla pace da Castel Gandolfo: “Ascoltate il Papa, ognuno deve impegnarsi in ogni modo possibile”
A Castel Gandolfo Noa ha ricevuto il Peace Award nell’ambito della prima edizione dell’Hallelujah Film Festival – Simposio Internazionale della Pace. Dal palco l’artista israeliana ha rilanciato con forza l’appello del Papa, invitando tutti a impegnarsi concretamente per la pace. Un messaggio netto, pronunciato in un contesto simbolico e carico di significato.
Un palco simbolico, un riconoscimento dal forte valore etico e parole che non lasciano spazio a interpretazioni. A Castel Gandolfo, Noa ha scelto la via della chiarezza. «Ascoltate il Papa. Tutti dobbiamo impegnarci per la pace, in ogni modo possibile». Un appello pronunciato con voce ferma dall’artista israeliana, ospite d’onore del nuovo Hallelujah Film Festival – Simposio Internazionale della Pace.
Il Peace Award e il significato del riconoscimento
Noa ha ricevuto il Peace Award, un premio dedicato all’impegno nella promozione della pace, assegnato nell’ambito della prima edizione del festival. Non un semplice riconoscimento artistico, ma un attestato che tiene insieme musica, testimonianza civile e responsabilità pubblica.
Per Noa, da anni impegnata su questi temi, il premio rappresenta la conferma di un percorso coerente. La sua voce, da sempre ponte tra culture, diventa qui strumento esplicito di dialogo, in un momento storico segnato da conflitti, polarizzazioni e tensioni che superano i confini geografici.
Castel Gandolfo, luogo e simbolo
La scelta di Castel Gandolfo non è casuale. Un luogo carico di spiritualità, legato alla figura del Papa, che rafforza il senso dell’appello lanciato dall’artista. Richiamare le parole del Pontefice in questo contesto significa dare continuità a un messaggio che supera le appartenenze politiche e religiose.
Noa non entra nel merito delle singole crisi, ma punta al cuore del problema: la responsabilità individuale e collettiva. Il suo invito non è astratto, ma diretto: la pace non è una delega, è un impegno che riguarda tutti.
L’Hallelujah Film Festival e il Simposio della Pace
Il riconoscimento è stato consegnato nell’ambito dell’Hallelujah Film Festival – Simposio Internazionale della Pace, evento alla sua prima edizione. Il festival è stato fondato da Pascal Vicedomini e promosso dall’associazione senza scopo di lucro The Artists Club Italia.
L’iniziativa ha preso il via sabato 6 dicembre, con l’obiettivo dichiarato di unire cinema, arte e riflessione sui grandi temi contemporanei. Un format che ambisce a creare uno spazio di confronto internazionale, dove la cultura diventa strumento di mediazione e consapevolezza.
La voce di Noa tra arte e impegno civile
Nel suo intervento, Noa ha scelto un registro sobrio ma incisivo. Nessuna retorica, nessuna concessione allo slogan facile. L’artista ha parlato da cittadina prima ancora che da musicista, ribadendo la necessità di ascoltare chi, come il Papa, continua a richiamare il mondo alla responsabilità morale.
Il suo messaggio si inserisce in una linea chiara: l’arte non può essere neutra di fronte alla sofferenza e alla guerra. Senza trasformarsi in propaganda, può e deve diventare spazio di dialogo e presa di coscienza.
Un appello che va oltre il palco
Le parole pronunciate a Castel Gandolfo non sono destinate a restare confinate all’evento. L’invito a impegnarsi “in ogni modo possibile” chiama in causa istituzioni, artisti, cittadini comuni. È un messaggio che chiede azione, non consenso passivo.
In un’epoca in cui le prese di posizione vengono spesso filtrate, annacquate o strumentalizzate, Noa sceglie una strada lineare. Ascoltare il Papa, lavorare per la pace, assumersi una responsabilità personale.
Cultura come spazio di dialogo
Il debutto dell’Hallelujah Film Festival e il conferimento del Peace Award a Noa segnano un tentativo chiaro di rimettere la cultura al centro del discorso pubblico. Non come intrattenimento, ma come luogo di confronto e costruzione.
Il messaggio lanciato da Castel Gandolfo arriva forte e diretto: la pace non è un concetto astratto, ma una pratica quotidiana. E chi ha una voce pubblica, come Noa, sceglie di usarla senza ambiguità.
Musica
Clima teso tra Romina Power e Al Bano dopo il libro: frecciate, dolore riaperto e sorrisi solo sul palco mentre i concerti continuano
Nel memoir Pensieri profondamente semplici Romina Power racconta la fine dell’amore, la ferita per Ylenia e un episodio sui presunti ritocchi. Parole che avrebbero ferito Al Bano, già colpito dalla polemica sul concerto in Russia. Sul palco sorrisi, dietro il sipario resta tensione.
Dietro i sorrisi di rito e le luci dei concerti, tra Romina Power e Al Bano il clima non sarebbe affatto sereno. A rimescolare le carte è stato l’ultimo libro della cantante, Pensieri profondamente semplici, che ha riportato alla superficie capitoli delicatissimi della loro storia. Racconti personali, ricordi dolorosi e passaggi che, secondo chi è vicino a Carrisi, avrebbero lasciato ferite ancora aperte.
Il libro che riapre le ferite
Nel suo memoir Romina non risparmia nulla. Racconta la fine del grande amore, il dolore mai superato per la scomparsa di Ylenia e parla anche di una presunta richiesta di ritocchini. Parole intime, dure, che per chi legge suonano come un atto di verità, ma che per Al Bano avrebbero avuto l’effetto di un fulmine a ciel sereno. Il cantante di Cellino San Marco, secondo quanto filtra, avrebbe vissuto queste rivelazioni con profondo dispiacere, tra stupore e amarezza per una narrazione che riporta tutto sotto i riflettori.
Russia, la frattura pubblica
Non è la prima volta, negli ultimi mesi, che il nome di Romina si incrocia con quello di Al Bano in modo tagliente. La Power si era infatti pubblicamente dissociata dal concerto del suo ex marito in Russia, a San Pietroburgo. Una presa di posizione che aveva avuto un’eco enorme e alla quale Carrisi aveva risposto senza mezzi termini: «Una coltellata mediatica». Una frase diventata simbolo di una frattura che, a quanto pare, non si è mai davvero ricomposta.
Sorrisi sul palco, gelo dietro le quinte
Ufficialmente, sul palco tutto resta impeccabile. I concerti vanno avanti, i sorrisi non mancano, le foto raccontano un’armonia che rassicura il pubblico. Ma dietro le quinte il clima sarebbe tutt’altro che disteso. Il libro, la polemica russa, le parole pubbliche e quelle non dette avrebbero creato una distanza difficile da colmare, fatta di dispiaceri, silenzi e posizioni sempre più lontane.
Due verità che non si incontrano
Da una parte Romina, libera di mettere nero su bianco il suo vissuto, dall’altra Al Bano, che si ritrova a fare i conti con un racconto che lo tocca nel profondo e che torna ciclicamente a riaccendere i riflettori sul passato. In mezzo, il pubblico, che continua ad amarli come coppia artistica, mentre la realtà sembra muoversi su binari diversi. Tra pagine di un libro e note di una canzone, la loro storia resta una delle più intense e complesse dello spettacolo italiano. Ma oggi, più che di nostalgia, parla soprattutto di distanza.
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