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Musica

Damiano David: pausa, solitudine e nuova musica — la reunion dei Måneskin resta incerta

Tra tournée mondiali, pressioni e momenti di crisi, Damiano spiega perché ha scelto di fermarsi un anno e dedicarsi al suo album solista. Nonostante l’affetto per la band, la sua rinascita artistica ha bisogno di spazio, tempo e scelte autonome.

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Damiano David

    Damiano David, frontman dei Måneskin, è tornato al centro dell’attenzione parlando del suo percorso da solista e del possibile ritorno del gruppo che lo ha lanciato. In occasione della promozione del disco Funny Little Fears, uscita in maggio per Sony Music Italy / Epic Records. Il cantante romano ha spiegato di aver vissuto per anni sotto la tensione di una vita sempre in tournée. Di un’immagine molto pubblica, e di aver avvertito l’esigenza di una pausa per ritrovare sé stesso.

    Il tour mondiale di Funny Little Fears lo vedrà anche in Italia: Milano il 7 ottobre, Roma l’11 e il 12 ottobre. Queste date fanno parte di una serie che ha registrato molte tappe europee già sold out.

    “Avevo tutto, ma non mi bastava”
    Damiano racconta che, seppure fosse in cima: tournée sold out, notorietà, successo globale con i Måneskin, qualcosa si era rotto. Non erano i riflettori a mancargli, bensì la capacità di riconoscersi al di là del palco e della scenografia dello show. «Sono anni che la mia identità cambia, ma ero così immerso nel ritmo del tour che non me ne accorgevo», ha confidato al magazine NME.

    Questo “allontanamento” è diventato necessario: Damiano ha dichiarato di aver vissuto pressione, ansia e stanchezza, e che solo staccando dalla band ha potuto capire cosa non funzionava. Il bisogno era quello di scrivere musica senza dover aderire alle aspettative altrui, ma di tornare a ciò che lo muoveva davvero dentro. (Funny Little Fears è pensato come un diario emotivo che lo ha aiutato a superare i suoi blocchi interiori).

    E la reunion? Un’ipotesi con riserve
    Sull’ipotesi di riformare i Måneskin, Damiano è cauto. Non la esclude, ma la pone a condizione che il ritorno avvenga “alle sue condizioni”. L’amore per la band resta, la riconoscenza è forte — il cantante ha definito il gruppo come “casa”. Ma ha lasciato intendere che la sua evoluzione personale e artistica richiede autonomia e che non è disposto a tornare se non condividendo visione e modalità.

    Una rinascita artistica tra paure e amore
    Funny Little Fears non è soltanto un debutto solista, ma una confessione musicale. Damiano ha ricordato che il disco nasce anche dalla fine di una relazione che lo ha segnato, da un periodo in cui ascoltava molto le proprie insicurezze, sentendosi “bloccato”. A questo si aggiunge la nuova relazione sentimentale (con Dove Cameron, come noto). Che ha giocato un ruolo fondamentale nel dargli pace e nel permettergli di ricominciare.

    Musicalmente, l’album esplora generi come il pop in inglese, atmosfera anni ’80. Brani più intimisti e ballate, mostrando lati diversi di Damiano rispetto al sound rock glam che lo aveva portato al successo con i Måneskin.

    Damiano David sta vivendo una fase di trasformazione: da superstar rock con la band a cantautore in cerca di autenticità, equilibrio e stabilità emotiva. Le tappe italiane del tour solista in ottobre testimoniano che il suo pubblico lo sta seguendo anche fuori dal contesto Måneskin.

    E se la reunion un giorno ci sarà, probabilmente non sarà un semplice ritorno al passato. Ma una nuova versione, consapevole — capace di mettere in primo piano che cosa vuol dire amare una band senza farsi risucchiare da tutte le sue luci.

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      Musica

      Renato Zero e Loredana Bertè insieme a Sanremo? Spunta l’ipotesi di una reunion da brividi (con Damiano David tra i nomi caldi)

      Secondo indiscrezioni sempre più insistenti, Renato Zero e Loredana Bertè sarebbero pronti a ritrovarsi sul palco del Festival di Sanremo per un duetto destinato a fare storia. Ma non è tutto: tra i possibili protagonisti dell’edizione 2026 spunta anche Damiano David, ex frontman dei Måneskin, pronto al grande passo da solista.

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        Sogno o realtà? Il Festival di Sanremo 2026 potrebbe regalare al pubblico un colpo di scena di quelli che lasciano il segno: una reunion tra Renato Zero e Loredana Bertè, amici, complici e icone assolute della musica italiana. Da giorni, negli ambienti discografici, si rincorrono le voci su un possibile duetto che li vedrebbe tornare insieme sul palco dell’Ariston dopo anni di distanza artistica, ma mai affettiva.

        Zero e Bertè condividono una storia lunga oltre cinquant’anni: amicizie, scontri, palchi e canzoni che hanno segnato un’epoca. Un loro ritorno insieme a Sanremo sarebbe più di una trovata televisiva: sarebbe un evento simbolico, la celebrazione di due carriere che hanno rivoluzionato il costume italiano, ciascuno a modo proprio. E pare che Amadeus (o chi prenderà il suo posto, a seconda delle scelte Rai) stia lavorando dietro le quinte per rendere possibile l’incontro.

        Ma non è l’unico nome che circola. A infiammare i rumors c’è anche Damiano David, l’ex frontman dei Måneskin. Dopo il successo planetario con la band, il cantante romano starebbe valutando il debutto da solista proprio al Festival, con un brano scritto e prodotto tra Londra e Los Angeles. Una svolta rock-pop che, se confermata, segnerebbe una nuova fase della sua carriera e un ritorno simbolico nel luogo dove tutto è iniziato.

        Tra i fan, l’entusiasmo è già alle stelle: l’idea di vedere sullo stesso palco tre generazioni diverse della musica italiana — la Bertè e Zero come monumenti viventi, Damiano come icona del presente — accende la fantasia dei social.

        Per ora dalla Rai nessuna conferma ufficiale, ma l’indiscrezione circola con insistenza negli ambienti discografici. E se davvero dovesse accadere, l’Ariston tornerebbe a essere, come ai tempi d’oro, il luogo dove passato e futuro della musica italiana si stringono la mano.

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          Musica

          Tananai scaricato (e buttato): l’ex Sara getta il suo disco tra i rifiuti

          Lui tace, come da copione. Lei risponde con un gesto plateale: un disco tra i rifiuti e due emoticon su Instagram che mettono la parola fine a una relazione iniziata prima del successo di Sanremo. Nel frattempo spunta Camilla Boniardi, in arte Camihawke, e i fan si dividono tra condanne e sospetti.

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            Non servono parole, a volte basta una foto. Quella pubblicata da Sara Marino, influencer e ormai ex compagna di Tananai, ha fatto il giro del web in poche ore: il disco del cantante gettato tra i rifiuti, come un simbolico atto di resa (o di vendetta). Nessun commento, solo due emoticon — una mano che saluta e un viso neutro — a chiudere una storia che durava dal 2020, prima che il giovane artista milanese diventasse uno dei nomi più amati della nuova musica italiana.

            La coppia si era sempre tenuta lontana dai riflettori, preferendo un profilo basso anche quando Tananai, all’anagrafe Alberto Cotta Ramusino, era passato dall’ultimo posto a Sanremo 2022 con Sesso occasionale al trionfo popolare dell’anno dopo con Tango. Ma dietro le quinte, pare che qualcosa si fosse già incrinato da tempo.

            Il gesto di Sara non è passato inosservato. I fan si sono divisi tra chi l’ha definito “una sceneggiata inutile” e chi invece ha colto il dolore dietro quell’immagine così diretta. C’è anche chi ha visto nella foto un riferimento preciso: la fine di un amore che, come un vinile rotto, non gira più.

            Intanto Tananai tace, coerente con la sua fama di riservato. Nessuna replica, nessuna spiegazione, solo qualche like sparso e un profilo Instagram rimasto intatto, come se niente fosse. Ma la tempesta social non si è placata, anche perché nelle ultime settimane l’artista è stato avvistato spesso accanto a Camilla Boniardi, in arte Camihawke.

            La content creator — seguitissima sui social e conosciuta per la sua ironia — è comparsa a un concerto di Tananai e poi in alcune foto di vacanze in montagna. Intervistata da Fanpage, ha tagliato corto: «Sto attraversando un momento sereno». Una risposta che ha alimentato, più che spento, le voci di una nuova relazione.

            Mentre lui continua a riempire palazzetti e classifiche, la sua vita sentimentale finisce sotto i riflettori. E se l’album di Tananai è davvero finito in un cassonetto, almeno la musica — quella, sì — resta impossibile da buttare.

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              Musica

              Che fine ha fatto la musica? Dal 1975 di Born to Run e Rimmel al silenzio creativo di oggi

              Cinquant’anni fa uscivano capolavori come Wish You Were Here, Physical Graffiti e Horses. Oggi, tra algoritmi e hit usa e getta, la musica sembra aver perso la fame e la poesia di un tempo.

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                C’è un anno che sembra appartenere a un’altra dimensione: il 1975. Cinquant’anni fa la musica raggiungeva il suo apice creativo con una sequenza di album-capolavoro che oggi suonano più vivi di gran parte delle produzioni contemporanee. Rimmel di Francesco De Gregori, Born to Run di Bruce Springsteen, Wish You Were Here dei Pink Floyd, Horses di Patti Smith, Physical Graffiti dei Led Zeppelin. Un quinquennio di rivoluzioni condensato in dodici mesi.

                «I dischi di allora hanno lo straordinario potere di sembrare ancora credibili, forti, presenti. In certi casi perfino innovativi», ricorda il critico Gino Castaldo. E aveva ragione: basta un verso, un riff o una nota per capire che erano anni in cui la musica sapeva ancora dire qualcosa di necessario.

                De Gregori raccontava la malinconia e le incertezze di un Paese che cambiava. Springsteen trasformava la fatica e i sogni dei ragazzi americani in epica collettiva. Patti Smith mescolava poesia e ribellione, aprendo Horses con quella frase destinata a diventare leggenda: «Jesus died for somebody’s sins but not mine». I Led Zeppelin firmavano il loro monumento rock con Kashmir, e i Pink Floyd dedicavano a Syd Barrett il capolavoro assoluto della malinconia: Wish You Were Here.

                Oggi, a confronto, sembra tutto più piatto. L’industria sforna successi che durano una settimana, i testi si consumano come slogan pubblicitari, e le melodie inseguono algoritmi invece di emozioni. Nel 1975 la musica non cercava consenso: cercava senso.

                Quelle canzoni erano scritte per durare, non per diventare virali. E infatti durano ancora. Mezzo secolo dopo, Born to Run continua a far accelerare il cuore, Rimmel a farti pensare che la malinconia possa essere una forma d’arte, Wish You Were Here a ricordarti che la nostalgia è il più umano dei sentimenti.

                Forse la risposta alla crisi della musica è tutta lì, in quei vinili graffiati che hanno resistito a mezzo secolo di rivoluzioni tecnologiche: il talento non ha bisogno di algoritmi. Ha bisogno solo di verità.

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