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Musica

Fedez chiede scusa a Jannik Sinner: “Paradosso mal riuscito, mi assumo la responsabilità”

Dopo le polemiche per le barre pubblicate su Instagram, il rapper chiarisce dal palco del Forum di Assago: «Volevo denunciare il razzismo, ma ho sbagliato tutto». Nel mirino anche Schlein, Carlo Acutis e Charlie Kirk.

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Fedez chiede scusa a Jannik Sinner: “Paradosso mal riuscito, mi assumo la responsabilità”

    La polemica nata dalle barre pubblicate da Fedez su Instagram ha tenuto banco per giorni, complice una strofa che ha toccato corde estremamente sensibili. In un passaggio, il rapper aveva citato il numero uno del tennis italiano Jannik Sinner con un parallelismo che ha sollevato indignazione: «L’italiano ha un nuovo idolo, si chiama Jannik Sinner. Purosangue italiano con l’accento di Adolf Hitler». Versi che hanno scatenato un’ondata di critiche sui social e nel dibattito pubblico, soprattutto perché accostavano il nome dell’altoatesino al dittatore nazista.

    Ma non era solo Sinner a essere evocato: le barre di Fedez facevano riferimento anche alla segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, alla canonizzazione di Carlo Acutis e persino a un presunto “omicidio” del commentatore conservatore americano Charlie Kirk, aggiungendo ulteriore benzina al fuoco della polemica.

    Il chiarimento al Forum di Assago

    È stato lo stesso Fedez a fare un passo indietro e a chiedere pubblicamente scusa durante il concerto al Forum di Assago, prima data del suo tour Ritorno a casa. Interrompendo lo show, ha preso il microfono e ha spiegato:
    «Ho preparato delle strofe inedite e riscritto delle cose. Anche il brano che sentirete ora, Tutto il contrario, l’avevo modificato. Quando ho pubblicato quelle barre si è scatenato un putiferio: avevo scritto due righe di spiegazione, ma la verità è che la cosa più giusta è parlare a viso aperto e non da dietro uno schermo».

    Poi l’ammissione: «Credo che se una cosa non viene capita, la responsabilità è di chi l’ha scritta. Mi assumo l’errore. La mia idea era di portare all’esasperazione un paradosso: spesso in Italia gli atleti nati qui, ma con la pelle di un altro colore, non vengono riconosciuti come italiani. Ho provato a ribaltare la questione con Sinner, che invece incarna il prototipo del “puro italiano”. Ma applicarlo a lui, l’atleta più amato in questo momento, è stato un disastro. Non ci sono riuscito. Tutto ciò che posso fare è chiedere scusa».

    Un messaggio frainteso

    L’artista ha dunque chiarito che la sua intenzione non era quella di insultare Sinner, ma di denunciare le derive razziste che ancora circolano nello sport e nella società italiana. Il problema, ha riconosciuto lui stesso, è stato l’aver scelto un esempio sbagliato e un linguaggio inadeguato.

    L’episodio conferma come le barre rap, costruite su provocazioni e paradossi, possano facilmente essere fraintese quando escono dal contesto musicale e finiscono sui social, privati di ritmo e ironia. Fedez non è nuovo alle polemiche legate ai suoi testi, ma questa volta ha preferito fermarsi e chiedere scusa, prima che il fraintendimento alimentasse ulteriori tensioni.

    Reazioni e riflessioni

    Il caso ha comunque aperto un dibattito più ampio: fino a che punto un artista può spingersi con la provocazione? E dove finisce il confine tra satira e cattivo gusto? Le scuse del rapper, accolte con un applauso dal pubblico del Forum, sembrano segnare un punto di svolta nel suo approccio: «Non voglio che la mia musica ferisca chi non c’entra nulla — ha concluso Fedez —. Voglio che sia uno strumento per riflettere, non per offendere».

    Per Sinner nessun commento ufficiale, ma il caso appare destinato a rientrare. Resta però la lezione per chi, come Fedez, gioca con le parole: nel mondo iper-connesso dei social, un verso non è mai solo una rima.

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      Musica

      Giorgia, la forza della leggerezza: “Rinasco ancora, e questa volta mi firmo solo G”

      Conduttrice di X Factor, madre, cantante e donna “in trasformazione”: Giorgia torna alla musica con dodici brani che parlano di libertà e maturità. “Non ho più vent’anni, e va bene così. Ho imparato che la forza è anche nell’imperfezione.”

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      Giorgia

        Alla Triennale di Milano, Giorgia si presenta con un sorriso disarmante e un’energia contagiosa. È qui per presentare G, il suo nuovo album di inediti in uscita venerdì 7 novembre 2025. Un titolo essenziale, una sola lettera: come a dire che, dopo una carriera trentennale, non serve aggiungere altro. «Sono in un momento assurdo della mia vita – racconta con ironia –. Ho un’età, sono distrutta, ma piena di gratitudine. Non ho mai lavorato così tanto.»

        E infatti, tra la seconda stagione alla conduzione di X Factor, il nuovo disco e un tour quasi tutto sold out, Giorgia Todrani, 54 anni, vive una nuova giovinezza artistica. «È un periodo in cui sto tornando a me stessa. Mi ero chiusa, ora mi sto riaprendo alla musica e al contatto con le persone. È stato come ricominciare da capo.»

        “G” come Giorgia, ma anche come gratitudine

        Il nuovo album G arriva a tre anni di distanza da Blu, e rappresenta una svolta intima e consapevole. Dodici brani che, pur non scritti da lei, rispecchiano perfettamente la sua sensibilità. «Ho scelto canzoni che avrei potuto scrivere io – spiega –. La sfida era rimanere me stessa e, allo stesso tempo, essere contemporanea.»

        Tra i brani spicca La cura per me, una rilettura della celebre La cura di Franco Battiato, reinterpretata insieme a Blanco. «Abbiamo cambiato il finale – racconta –. Nella versione originale c’è scritto “Per me sei paura di rimanere sola / Solo tu sei la cura”. Io invece canto “Spengo la paura di rimanere sola”. È un messaggio di indipendenza, un modo per dire che la forza non viene da fuori, ma da dentro di noi.»

        Il ritorno dell’ironia: “Sono un po’ Terminator”

        Nel suo discorso Giorgia alterna leggerezza e profondità, come solo lei sa fare. «Non è la prima volta che rinasco – dice ridendo –. Sono un po’ un Terminator! Il bello di non avere più vent’anni è che accetti gli alti e bassi. Se me l’avessero detto a 26 anni, non ci avrei mai creduto. E pensare che volevo smettere già allora!»

        Oggi, invece, è più attiva che mai. Dal 25 novembre parte il nuovo tour nei palazzetti italiani, con tappa finale il 30 marzo 2026 a Padova. «Dovevano essere dieci date, sono diventate diciotto. Quando sento parlare di stadi mi vengono i brividi: preferisco i palasport, dove sento le persone vicine. Amo quella connessione, quella vulnerabilità che solo un teatro o un palazzetto possono darti.»

        Tra palco e famiglia

        Accanto a lei, nella vita e nel lavoro, c’è sempre Emanuel Lo – compagno, regista e artista – con cui condivide anche il video di Golpe, il singolo che ha anticipato l’album, girato a Galatina (Lecce). «Nel video ci siamo entrambi, ma nostro figlio Samuel, che ha 15 anni, fa finta di non conoscerci!» scherza. «Con lui cerco sempre il dialogo: non è facile, ma i figli ti insegnano a cercare il positivo anche nei momenti difficili.»

        “Non voglio smettere di essere umana”

        Tra un sorriso e una riflessione più seria, Giorgia non risparmia una critica ai tempi che viviamo. «È un periodo violento – dice –. Sui social si giudica tutto, anche il dolore. Io sono cresciuta con una madre femminista gentile, che mi ha insegnato a discutere, non ad aggredire. Essere forti non significa urlare, ma restare umani.»

        E forse è proprio questo il filo rosso di G: l’umanità come punto di forza, la leggerezza come conquista. «Dopo tanti anni ho capito che non serve rincorrere la perfezione. La musica, come la vita, è fatta di errori, di fragilità. Ma è lì che si nasconde la verità.»

        Una nuova stagione

        Quando le si chiede che cosa direbbe alla giovane Giorgia di Come saprei, lei sorride: «Le direi di vivere le cose con meno ansia. E di mettersi i tacchi, almeno ogni tanto!»

        Poi si ferma, guarda il pubblico e aggiunge: «Oggi mi sento libera. Non devo dimostrare niente a nessuno. Mi basta esserci, cantare, e dire grazie. Tutto qui. G, appunto.»

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          Musica

          Rkomi nei teatri: la rinascita di Mirko Martorana tra musica, confessione e catarsi

          Al Teatro Augusteo di Napoli, l’artista milanese annulla le distanze col pubblico e mette in scena un concerto che è anche un racconto esistenziale. Tra monologhi, improvvisazioni e vecchie hit, Rkomi cerca la verità dietro la fama.

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          Rkomi

            Un concerto che è anche un esperimento

            Non è un semplice tour, e nemmeno un classico spettacolo teatrale. Mirko nei teatri, il nuovo progetto live di Rkomi, è qualcosa di più difficile da definire: un esperimento artistico, un rito collettivo, una messa in scena del proprio cambiamento. Dopo l’esordio al Teatro degli Arcimboldi di Milano, la tappa al Teatro Augusteo di Napoli ha confermato l’intento: abbattere le convenzioni del concerto e riportare il contatto umano al centro dell’esperienza musicale.

            Sul palco, con lui, una formazione dal respiro jazz e rock: Marco Spaggiari alla direzione musicale e alle tastiere, Lorenzo Pisoni al basso, Eugenio Cattini alla chitarra, Elia Pastori alla batteria, Daniele Raimondi ai fiati e Marika Palluzzi ai cori. Un ensemble che accompagna Rkomi in una scaletta divisa in atti, dove la musica si intreccia a lunghi monologhi e riflessioni personali.

            Dal successo alla decostruzione di sé

            Mirko Martorana, classe 1994, ha costruito in pochi anni una carriera travolgente: dal rap milanese di Io in terra fino al successo di massa di Taxi Driver, il disco più venduto in Italia nel 2021. Ma proprio quel trionfo ha innescato un processo inverso: la voglia di smontare, di tornare a qualcosa di più intimo, autentico, fragile.

            Lo si capisce già dai primi minuti dello spettacolo. L’artista entra in sala dalle ultime file, attraversando il pubblico prima di salire sul palco. Un gesto simbolico, quasi teatrale: il percorso fisico diventa metafora di un ritorno alle origini, alla vicinanza con chi ascolta. “Volevo ritrovare il contatto umano che nei palazzetti si perde”, ha dichiarato in una recente intervista.

            A Napoli, l’atmosfera è densa e partecipata. Dopo Io in terra, l’energia esplode con l’arrivo a sorpresa di Ernia, che duetta su Vorrei e Acqua calda e limone. Ma la vera novità sta nella costruzione narrativa: ogni parte del concerto corrisponde a una fase della vita di Rkomi, dal desiderio di emergere fino alla crisi d’identità post-fama.

            Una messa in scena emotiva e fisica

            Nel primo atto, l’artista abbatte letteralmente la “quarta parete”: invita il pubblico ad alzarsi, si muove tra le poltrone, canta sostenuto dalle mani dei fan. L’intervento delle maschere di sala, accorse per riportare ordine, diventa parte involontaria dello spettacolo. Poi la scena cambia: appare una gabbia, dentro la quale Rkomi intona Mai più, simbolo di prigionia e liberazione.

            I momenti più intensi arrivano con Il ritmo delle cose, Apnea e Cancelli di mezzanotte, dove la voce si intreccia alle luci e agli strumenti in un crescendo emotivo. Il pubblico canta, ma ascolta anche, in silenzio, i monologhi dell’artista: frammenti di memoria, confessioni sul prezzo del successo, riflessioni sulla vulnerabilità e sulla necessità di “disimparare a compiacere”.

            Il senso di un ritorno

            Mirko nei teatri è più di un tour: è una dichiarazione d’intenti. Dopo anni in cui la musica urban italiana ha cercato solo la spettacolarità, Rkomi sceglie la lentezza, il contatto, la narrazione. È un modo per riconnettersi non solo al pubblico, ma anche a sé stesso.

            Alla fine dello show, mentre le luci si abbassano e il pubblico resta in piedi, si ha la sensazione di aver assistito non a un concerto, ma a una confessione collettiva. Rkomi non ha solo portato la sua musica nei teatri: ha portato la sua storia, con tutte le contraddizioni, le cadute e le rinascite.

            Come dice lui stesso in uno dei monologhi: “Dovevo fermarmi per capire cosa volevo davvero. A volte, per ritrovarsi, bisogna perdersi”.

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              Musica

              Elodie infiamma Milano: coreografia ultra-saffica con Megan Ria e Franceska Nuredini, baci e strusciate sul palco.

              Performance fisica e dichiaratamente sensuale sul palco: Megan Ria e Franceska Nuredini si scambiano baci e carezze, Elodie risponde con il suo repertorio più audace. Il pubblico del Forum applaude, i social si dividono tra chi parla di libertà artistica e chi accusa la star di puntare solo sulla provocazione.

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                Milano ha accolto Elodie con l’energia delle grandi occasioni e lei, come da copione, ha scelto di alzare la temperatura. Al Forum la cantante ha costruito uno show fatto di ritmo, luci, coreografie serrate e un’estetica dichiaratamente erotica. Al centro della scena, un momento destinato a far discutere: Megan Ria e Franceska Nuredini, due delle sue ballerine, si sono lasciate andare a una sequenza ultra-saffica tra baci, strusciate e contatti ravvicinati.

                La platea ha reagito tra ovazioni e telefoni alzati, consapevole che la cantante romana non ama la timidezza scenica. La sensualità è il suo linguaggio, e negli ultimi anni lo ha rivendicato con forza.

                Baci sul palco e social divisi

                La scena ha infiammato il pubblico presente e, inevitabilmente, i social. Tra chi applaude la libertà espressiva e chi parla di eccesso, i commenti non si sono risparmiati.

                “Che bomba scenica”, scrivono i fan. “È pop, è show, è femminilità che si prende lo spazio”.

                Tra i detrattori, invece, c’è chi sostiene che dietro le coreografie provocanti ci sia poco altro: «Elodie non sa cantare e nasconde tutto con queste sceneggiate da cubista», si legge online.

                Un refrain che accompagna da tempo la cantante, spesso al centro di dibattiti sulla linea sottile tra arte, sensualità e marketing.

                Libertà artistica o puro scandalo?

                La “Beyoncé del quartaccio”, come qualcuno l’ha soprannominata negli anni, continua a muoversi sul filo — e non teme l’equilibrismo. I suoi show mescolano pop internazionale, coreografie fisiche e una femminilità muscolare, lontana dalle mezze misure.

                E mentre le ballerine si scambiavano baci sul palco, lei danzava con la sicurezza di chi sa che ogni gesto finirà analizzato, divorato e discusso. Strategia o convinzione? Forse entrambe.

                Quello che è certo è che Elodie resta una delle performer italiane più commentate, nel bene e nel male. E a giudicare dal clamore, al Forum di Milano l’obiettivo — far parlare, emozionare, dividere — è stato centrato.

                Senza frenate, senza filtri. Proprio come piace a lei.

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