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Musica

Ozzy Osbourne è morto: il Principe delle Tenebre ha chiuso gli occhi sul mondo che ha incendiato

John Michael “Ozzy” Osbourne, voce e anima dei Black Sabbath, è morto circondato dalla sua famiglia. Aveva sfidato tutto – la povertà, le dipendenze, la malattia – diventando l’icona assoluta del rock oscuro. L’ultimo saluto in pubblico solo dieci giorni fa, nella sua città, con i Sabbath riuniti per Back to the beginning.

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    Ozzy Osbourne è morto. La notizia è arrivata come un pugno nello stomaco di chiunque abbia mai gridato in macchina su Paranoid, abbia pogato su Iron Man, abbia trovato nella sua voce il rifugio più sporco e sincero di sempre. Aveva 76 anni. A dare l’annuncio è stata la famiglia, con parole che pesano come pietra: «È con una tristezza che le parole non possono esprimere che dobbiamo annunciare che il nostro amato Ozzy Osbourne è mancato questa mattina. Era con la sua famiglia, circondato dall’amore». A pochi giorni di distanza dall’ultimo, epico concerto dei Black Sabbath a Birmingham – la sua Birmingham – il Principe delle Tenebre ha chiuso gli occhi. E con lui se ne va un’epoca.

    Quel concerto, Back to the beginning, resterà scritto in eterno nei libri del rock. Il 5 luglio 2025, Ozzy era salito sul palco sostenuto da una struttura progettata per permettergli di cantare nonostante il Parkinson. Aveva la voce graffiante di sempre, lo sguardo incendiato, le mani tremanti e un sorriso dolente che sembrava già un addio. Accanto a lui, per l’ultima volta, i suoi fratelli d’armi: Tony Iommi, Geezer Butler, Bill Ward. Con loro anche Metallica, Slayer, Rob Zombie. E una folla che sapeva di assistere a un pezzo di storia. «È il mio regalo a Birmingham», aveva detto Ozzy, con le lacrime in gola.

    John Michael Osbourne nasce il 3 dicembre 1948 in una delle tante periferie grigie dell’Inghilterra postbellica. Dislessico, balbuziente, cresciuto tra sei figli in una casa dove mancava tutto tranne l’ingegno per sopravvivere. Fa mille lavori – muratore, idraulico, macellaio – ma nessuno gli somiglia. A 20 anni, con tre sbandati della sua zona, fonda una band. Si chiamano Polka Tulk Blues Band, poi Earth, poi – ispirati da un horror di Mario Bava – Black Sabbath. È l’inizio di un urlo che cambierà per sempre la musica.

    Nel 1970 esce Black Sabbath, il primo album. È il 13 febbraio, venerdì. Nasce l’heavy metal. Ozzy diventa il profeta del disagio, voce di tutte le ansie e le furie represse di una generazione. Con War Pigs, Children of the Grave, Sabbath Bloody Sabbath scolpisce un suono che è nero, duro, sacro. Ma Ozzy è anche altro: è follia pura. È l’uomo che morde un pipistrello sul palco, che sniffa formiche, che si autodistrugge con una precisione metodica. Lo cacciano dai Sabbath nel 1979. Lui affonda. E poi rinasce.

    Grazie a Sharon Arden – figlia del manager della band, che diventerà sua moglie e colonna – Ozzy mette insieme un gruppo solista con un chitarrista sconosciuto: Randy Rhoads. Con lui incide due capolavori: Blizzard of Ozz e Diary of a Madman. Rhoads muore a 25 anni, in un incidente aereo. Ozzy sopravvive. Pubblica dischi immortali come No More Tears e Ozzmosis, lancia l’Ozzfest, crea un impero. E diventa anche un personaggio televisivo, grazie al reality The Osbournes su MTV: urla, piatti rotti, ma anche lacrime e vulnerabilità.

    Dietro le quinte, combatte con i mostri. Alcol, depressione, tentativi di suicidio. Una diagnosi tremenda nel 2020: morbo di Parkinson. Da lì in poi, è un lento addio, anche se lui non smette mai di lottare. Pubblica due dischi struggenti – Ordinary Man e Patient Number 9 – che sanno di saluto. Nel frattempo, Sharon gli resta accanto, affrontano insieme nuove prove, ricadute, operazioni. I figli – Aimée, Kelly e Jack – crescono tra riflettori e ferite. Ma Ozzy resta il centro. Il cuore nero e pulsante della famiglia.

    Eppure, fino all’ultimo, non si arrende. Back to the beginning è la sua sfida finale. Seduto su un trono, canta come se non ci fosse un domani. Perché lo sa: non ci sarà. E il pubblico lo sa con lui. «Finché ci saranno ragazzi che avranno bisogno di sfogare la loro rabbia, l’heavy metal sopravviverà». Questa frase la disse anni fa. Ora suona come un testamento.

    Ozzy Osbourne è stato tutto: animale da palco, clown tragico, profeta del buio, padre, marito, martire, sopravvissuto. Nessuno come lui ha mostrato cosa significhi essere fragili e immortali allo stesso tempo. Nessuno ha trasformato l’orrore in arte con così tanta verità. Nessuno ha camminato sul filo del ridicolo e della grandezza come lui, senza mai cadere davvero.

    Oggi il rock è in lutto. Non solo il metal: tutta la musica perde una delle sue voci più feroci e commoventi. E noi, che con quella voce siamo cresciuti, oggi ci sentiamo un po’ più soli. Ciao Ozzy. Le tenebre, senza di te, faranno meno rumore.

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      Musica

      Angelina Mango torna sul palco dopo il ritiro: mano nella mano con Olly e il pubblico esplode all’Ippodromo

      All’Ippodromo di Milano tifo da stadio per Angelina Mango, che dopo il lungo stop ha scelto di tornare a cantare al fianco di Olly. Mano nella mano con l’amico e collega, ha ritrovato il calore della folla con la loro hit estiva.

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        È stata una sorpresa che nessuno si aspettava: Angelina Mango, dopo mesi lontana dalla scena e dai riflettori, è tornata a cantare. Ha scelto un momento speciale per farlo: il concerto di Olly all’Ippodromo di Milano, in una serata che si è trasformata in una festa collettiva.

        La cantante, reduce da un lungo periodo di silenzio e riflessione personale, è salita sul palco accolta da un boato. Al suo fianco proprio Olly, con cui ha inciso la hit “Due come noi”. L’esibizione, carica di energia e di emozione, è stata sottolineata da un gesto tenero: lui le ha preso la mano, accompagnandola durante tutta la performance.

        Un segnale forte, quello della giovane artista: dopo la pausa, tornare in un contesto così importante significava affrontare anche la prova del pubblico. E il pubblico non si è fatto attendere: cori, applausi, entusiasmo da tifo da stadio, in un clima che ha restituito ad Angelina l’abbraccio che forse le era mancato.

        La serata ha segnato così un nuovo capitolo. Non un semplice featuring, ma un vero ritorno alle origini, al contatto con chi la segue e la sostiene. Per lei, che ha deciso di prendersi del tempo lontano dalle luci, il rientro è stato mano nella mano, con la musica e con l’amicizia.

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          Musica

          Alfa, dal latino copiato in bagno ai sogni di moglie e figli: «Sono single ma voglio innamorarmi»

          «Ho l’immagine del bravo ragazzo che fa musica, ma è limitante», dice il 25enne che ha duettato con Vecchioni. Nel ricordo della scuola, tra versioni copiate col telefono e la nostalgia per la disciplina, spunta la voglia di futuro: amore, figli e la porta socchiusa per il Festival.

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            Dall’aula di liceo con il telefono nascosto in bagno fino ai palchi più ambiti della musica italiana. Alfa, 25 anni compiuti da poco, non perde la voglia di raccontarsi senza filtri. Al Corriere della Sera ha ammesso: «Sono single, ma mi piacerebbe un sacco innamorarmi. Vorrei avere una moglie e dei figli. Sanremo? Non credo. Ora quando fai la canzone dell’estate automaticamente devi andare a vincere il Festival, ma sono stanco e non vorrei forzare. Però se mi capita la canzone giusta è chiaro che tengo la porta aperta».

            L’artista, protagonista di questa estate musicale, aveva già calcato il palco dell’Ariston nella serata delle cover insieme al suo idolo Roberto Vecchioni, con cui ha reinterpretato Sogna, ragazzo, sogna. E proprio Vecchioni torna nel suo racconto di studente modello: «Andavo bene in tutte le materie, forse solo il latino non mi piaceva tanto. Però copiavo: lasciavamo il telefono in bagno per vedere le versioni».

            Alfa ammette di avere ancora un conto aperto con la scuola: «Ho questa immagine di bravo ragazzo… Ne sono orgoglioso ma anche un po’ no, perché temo a volte di essere percepito come bidimensionale, come “il bravo ragazzo che fa musica”. Probabilmente non l’ho ancora dimostrato, ma toccherà alle mie canzoni future».

            E non nasconde una certa nostalgia: «Mi manca la ritualità scolastica. Da un po’ di tempo patisco il fatto di aver abbandonato l’università per il successo: ho mantenuto i contatti con i miei compagni ma le nostre vite sono molto diverse. Nel mio piccolo cerco di leggere il più possibile. Per scrivere l’ultimo album ho letto Fromm, Crepet, persino il Simposio di Platone che al liceo mi era sembrato noioso».

            Un ragazzo sospeso tra passato e futuro, con i piedi piantati nei ricordi della scuola e lo sguardo verso un domani che immagina fatto di musica, amore e famiglia. «Ai ragazzi dico: godetevi gli anni dell’istruzione, perché entrare nel mondo del lavoro non sarà per niente facile».

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              La guerra di Piero… Pelù: “Bimbi muoiono a Gaza e la Meloni parla solo di chiese colpite”

              Bandiera palestinese al collo, Pelù attacca la premier: “Il nostro governo è subalterno alle lobby economiche e non ha il coraggio di opporsi all’occupazione illegale di Netanyahu. La politica non è più politica, ma serva degli interessi forti”

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                Piero Pelù non si limita a presentare un documentario: a Venezia si è trasformato in tribuna politica. Venerdì mattina, per l’anteprima fuori concorso di Piero Pelù. Rumore dentro, l’ex frontman dei Litfiba è arrivato con una bandiera palestinese e parole pesanti come macigni.

                “La politica di oggi dimostra nella maggior parte dei casi di non essere più politica ma di essere al servizio delle lobby economiche – ha detto – ed è chiaro come anche il governo italiano non sappia opporsi in maniera chiara e netta come hanno fatto i governi spagnolo e belga contro l’occupazione illegale di Netanyahu nei territori palestinesi, che va avanti dal 1945”.

                Un affondo diretto, che Pelù lega alla memoria storica: “C’è chi sta cercando di riscrivere la storia e noi non ci possiamo stare. Dai libri abbiamo letto come sono iniziati e poi degenerati regimi come fascismo, nazismo e lo stesso comunismo di Stalin”.

                Poi l’attacco personale a Giorgia Meloni, accusata di indifferenza selettiva: “Oggi si vedono bambini morire di fame sotto le bombe, mentre l’unica frase della nostra premier è stata quando hanno colpito delle chiese cristiane. Una discriminazione insopportabile”.

                Il rocker non si nasconde dietro il microfono, ma rivendica il suo ruolo civile: “Noi dobbiamo essere cittadini attivi e rivendico il fatto di essere prima cittadino e poi cantante. Non amo le rockstar che si chiudono nel loro mondo”.

                Parole destinate a far discutere, che Pelù lega anche al senso del documentario: un autoritratto tra musica e impegno, rumore dentro e fuori dal palco.

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