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Per Beethoven non valeva il detto “Il vino fa buon sangue”, anzi…

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    Quel giorno del 1802 – era il 6 ottobre – Ludwig van Beethoven si sedette al suo scrittorio e vergò una lettera ai suoi due fratelli, Kaspar e Nikolaus, dalla sua casa nei pressi di Vienna. Non si trattava di un “testamento”, piuttosto una “confessione”, ritrovata solo dopo la morte del grande musicista. In quel foglio il compositore chiedeva che il suo medico, J.A. Schmidt, rendesse note al grande pubblico le malattie che lo avevano colpito, specialmente negli ultimi dieci anni di vita. In modo che “per quanto possibile, almeno il mondo si riconcili con me dopo la mia morte”.

    Quante cose possono rivelare i capelli

    Parole drammatiche, scritte da un uomo fortemente segnato dalla progressiva perdita dell’udito e tormentato da una cirrosi epatica, causata – oggi possiamo dirlo – da una predisposizione genetica alle malattie del fegato, combinata con il virus dell’epatite B ed anche da uno smodato consumo di alcol. Un team internazionale di ricercatori dell’Università di Cambridge ha indagato sulle cause delle malattie che lo hanno afflitto, attraverso l’analisi del Dna contenuto in una ciocca dei suoi capelli.

    Sordo e segnato dalla cirrosi

    Lo studio fa chiarezza luce sui principali problemi di salute di Beethoven: la perdita dell’udito, che fece il suo esordio intorno al 1815 e lo portò alla sordità nel 1818, e la grave malattia del fegato, iniziata nell’estate del 1821 e culminata in cirrosi epatica (causa probabile della sua morte), nel 1827, a soli 56 anni.

    Alcol, in questo caso non certo un toccasana

    Nel 1820, Beethoven era già completamente sordo: i capolavori dei suoi ultimi sette anni di vita nacquero quindi nel silenzio assoluto. Per quanto riguarda la malattia al fegato, gli scienziati hanno individuato una serie di fattori di rischio genetici, oltre a un’infezione da virus dell’epatite B. Durante le ricerche è emerso un altro aspetto che potrebbe aver peggiorato la grave malattia al fegato: il consumo di alcol. E’ quindi assai probabile che la cirrosi epatica che ha portato alla morte il compositore sia stata determinata da un mix di tre fattori: una componente ereditaria, un’infezione da virus dell’epatite B e il consumo di alcol.

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      Musica

      Marco Carta si confessa: «Dopo l’accusa di furto non uscivo più di casa, ho scoperto che mio padre aveva delle dipendenze»

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        Marco Carta si è aperto come non mai nel salotto di Verissimo. Ospite di Silvia Toffanin, l’ex vincitore di Amici ha ripercorso gli alti e bassi della sua vita, dai successi musicali alle profonde cicatrici personali. Reduce dal San Marino Song Contest, Carta ha spiegato come oggi sia tornato a sorridere grazie a un nuovo amore e a una ritrovata serenità, nonostante il peso di un passato difficile.

        L’amore con Luca e la rinascita personale

        «La vita sentimentale va molto bene», confessa Carta, lasciandosi andare a un sorriso. Dopo la fine della relazione con Sirio Campedelli nel 2022, il cantante cagliaritano ha trovato la felicità accanto a Luca: «È un raggio di sole per me, sono pieno di nuova linfa», ha detto. Un legame che arriva in un momento di rinascita personale e professionale. La partecipazione al contest musicale di San Marino lo ha visto salire di nuovo su un palco importante, emozionato ma determinato: «Era un’occasione per mettermi in gioco, e ne sono felice», racconta.

        L’ombra dell’accusa di furto: «Ho avuto paura di uscire»

        Marco però non nasconde la ferita ancora aperta di un periodo difficile: l’accusa di furto nel 2019 alla Rinascente di Milano, che gli ha cambiato la vita. «Sono stato assolto, ma l’allarme mediatico è stato enorme», spiega. «Quando l’assoluzione è arrivata, molti erano disorientati, ma io mi sono sentito solo e giudicato. Per settimane non uscivo di casa, avevo paura di ciò che avrebbero pensato gli altri». Una vicenda che ha rallentato la sua carriera e lo ha messo davanti al lato più spietato dei social network: «Sui social si esagera, la calunnia è pesante da gestire. Ora però è passato tutto e voglio solo far ascoltare la mia voce».

        Il dramma familiare: «Non ho mai conosciuto mio padre»

        Tra i passaggi più toccanti dell’intervista, Marco Carta ha raccontato il dolore per un padre mai conosciuto: «L’ho odiato per anni, non accettavo l’idea che non volesse sapere nulla di me», confessa. La scomparsa della madre, avvenuta quando era bambino, ha amplificato quel senso di solitudine. «Ero geloso dei miei compagni che avevano entrambi i genitori. Io no».

        Solo dopo la morte del padre, Marco ha scoperto una verità che ha cambiato la sua visione: «Aveva delle dipendenze che lo hanno portato lontano da me. Sapevo che era morto di leucemia, ma scoprire dei suoi problemi mi ha fatto smettere di odiarlo. Ho capito che non era lucido per potermi crescere». Un perdono tardivo ma necessario: «Ho fatto pace con i demoni dentro di me e anche con lui».

        «Lo abbraccerei»

        Alla domanda su cosa direbbe al padre oggi, Marco risponde con sincerità disarmante: «All’inizio qualcosa di brutto. Ma poi lo abbraccerei, perché ne ho bisogno. Ho sempre desiderato l’affetto paterno e non l’ho mai avuto». Un racconto che commuove e che mostra un Marco Carta maturo e più forte, deciso a guardare al futuro con un sorriso. E, questa volta, senza più paura di uscire di casa.

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          Musica

          Ditonellapiaga: “Non sono sparita. Fuggo dal successo, è un meccanismo tossico che ti divora”

          Margherita Carducci, in arte Ditonellapiaga, dopo Chimica e la Targa Tenco si è fermata per ritrovarsi. Ora pubblica due brani vintage e rivela: “Non rincorro più classifiche né radio. Voglio solo sentirmi libera”

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            “Non sono sparita. Sono solo fuggita da un meccanismo che stava diventando tossico”.
            Ditonellapiaga, al secolo Margherita Carducci, classe 1997, è una che le parole le pesa. E anche quando veste l’ironia di un nome d’arte provocatorio — come le ha fatto notare pure Morgan, in uno dei suoi soliti sproloqui — sa bene che dietro ogni scelta c’è qualcosa da raccontare. Ma oggi, nel raccontarsi, non cerca più la rima giusta o la copertina perfetta. Cerca una cosa molto più difficile: la sincerità.

            La cantautrice romana è tornata sulla scena musicale con due brani dance in chiave vintage, “Cerco un uomo”, cover di Sandra Mondaini, e “Forma d’amore”, pezzo di Marcella Bella. Canzoni che odorano di vinile e balera, di teatralità e libertà espressiva, in controtendenza con l’algida omologazione da algoritmo delle nuove hit. Ma non è nostalgia, né revival. È una scelta artistica precisa: “Mi sono trovata a fare scouting sulle figure femminili della musica italiana. Da Mia Martini a Ornella Vanoni, passando per Patty Pravo: c’erano cose che valeva la pena riscoprire”.

            Anche la collaborazione con Donatella Rettore, che nel 2022 l’ha portata sul palco di Sanremo con Chimica, non fu casuale. Una miccia esplosa inaspettatamente, che però l’ha fatta sentire fuori posto. “Con ‘Chimica’ sono stata sbattuta in un mondo che non era il mio. Ero ingenua, incosciente. Non avevo tempo per farmi domande”. Oggi, quelle domande se le è fatte tutte. E le risposte non sono quelle che ci si aspetta da un’artista giovane, lanciata, pop.

            L’ambizione, se è eccessiva, ti frega. Ti porta a inseguire qualcosa che non ti soddisferà mai. Ora voglio solo concentrarmi su ciò che mi piace fare. Non credo che questi nuovi singoli finiranno in classifica, ma non mi interessa: li ho incisi per essere presente per chi mi segue”.

            Il successo può uccidere la creatività, dice. E Ditonellapiaga ha deciso di reagire con ironia. I suoi concerti li definisce “Pride alternativi”, e il suo stile — un mix di dance, sensualità e teatralità — diventa travestimento, maschera consapevole. “È come a Carnevale: puoi essere Zorro per una sera. Io uso la dance per dire cose che non aderiscono perfettamente alla mia persona. È un modo per mettersi in scena ma con uno strato di distanza”. Una forma d’arte, più che una performance musicale.

            La sua formazione al Dams ha avuto un peso importante in questo approccio. “Il mio primo disco era molto vicino all’esperienza teatrale. Anche il prossimo, in uscita forse a dicembre, si riavvicinerà a quel mondo”. Non c’è voglia di rientrare nei radar, ma di riprendersi il controllo della propria narrazione. “Non voglio essere un personaggio predefinito. Scrivendo canzoni posso decidere io cosa essere”.

            Eppure, il rischio è sempre quello: scomparire dai riflettori mentre la giostra della musica gira impietosa. Lei lo sa, lo ha vissuto. Ma oggi ha imparato a convivere con quel silenzio. “A settembre ho avuto un momento difficile, non sapevo più cosa fare della mia vita. Ma è stato utile. Mettersi in discussione è importante”.

            Nel frattempo, coltiva altri sogni. “Mi piacerebbe fare radio. E anche recitare: un ruolo adatto a me sarebbe divertente”. Con la voce, o con il corpo, Ditonellapiaga non smette mai di raccontare. Anche quando gioca con le metafore più esplicite, come quando parlava di “vagina liberale”. Oggi però, spiega, “quella era una rivendicazione metaforica sulla libertà sessuale. Ora cerco un linguaggio più ironico e ambiguo. Le grandi artiste italiane lo facevano con eleganza. E io cerco di imparare da loro”.

            Forse non finirà in radio. Forse non salirà di nuovo su un palco di Sanremo. Ma in un panorama sempre più standardizzato, una voce come la sua — fuori dal coro e consapevole — è più necessaria che mai.

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              Musica

              Abbiamo perso il tormentone! L’estate 2025 fatica a trovare la sua hit regina (e nessuno sembra disperarsi)

              Dalla nostalgia di Manu Chao con Alfa alle fughe marine di Mengoni, passando per le sirene Amoroso-Brancale: tante canzoni, poche vere hit. I numeri calano, i tormentoni latitano e persino Fedez sembra fuori tempo. È finita l’epoca dei ritornelli da ombrellone?

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                Ci si guarda intorno, spaesati. Come John Travolta in quel celebre meme di Pulp Fiction. Ma invece del cappotto, qui manca il tormentone estivo. Nessuno che ci faccia ballare sotto l’ombrellone, nessuna strofa da cantare a squarciagola in auto con i finestrini abbassati. Siamo a luglio inoltrato e ancora non si è capito quale canzone, quest’anno, si guadagnerà lo scettro di hit dell’estate 2025. Sempre che qualcuno voglia ancora quel trono.

                Funziona — almeno un po’ — “A me mi piace” di Alfa, che ripesca “Me gustas tú” di Manu Chao e la rilancia in chiave pop con quell’effetto nostalgia che manda in tilt i Millennial. È prima nelle radio (dati EarOne), seconda nella classifica singoli Fimi. Bene, ma non benissimo: la scintilla è tiepida, il fuoco non divampa.

                Qualche brivido lo regalano anche Alessandra Amoroso e Serena Brancale con “Serenata”, un sirtaki pop che profuma di Grecia e tramonti nel Sud. La base c’è, ma manca l’urgenza di riascoltarla all’infinito. E poi c’è Marco Mengoni, che insieme a Rkomi e Sayf canta “Sto bene al mare”: ottimo titolo, ottimi intenti, ma se la crema solare fa rima con “una terra che scompare”, non si capisce bene se dobbiamo ballare o piangere.

                La vera regina dello streaming è Anna con “Desolée”, prima su Spotify. Ma per essere un tormentone serve di più: una viralità trasversale, generazioni unite, radio in loop, spiagge in delirio. E invece quest’anno, i dati parlano chiaro: -43% di ascolti sulla top 20 di Spotify rispetto all’estate 2024. Una frenata che brucia.

                E i protagonisti delle scorse estati? Tony Effe, che nel 2024 con Gaia e “Sesso e samba” aveva fatto faville, dopo Sanremo si è trasformato nel re Mida al contrario. Fedez con Clara ci prova, ma non decolla. I The Kolors resistono con “Pronto come va”, Annalisa risponde con “Maschio”, ma il tempo di “Questa non è Ibiza” e “Mon Amour” sembra lontano anni luce.

                Cos’è successo? Si è rotto qualcosa o semplicemente siamo cambiati noi? Secondo Enzo Mazza, CEO di Fimi, non è la musica a mancare, ma il concetto di tormentone ad essersi sgretolato. “Non c’è più una monocultura musicale”, spiega. “Gli algoritmi hanno personalizzato le playlist. Ognuno ascolta la sua estate”.

                Il fenomeno ha un nome: destagionalizzazione musicale. Le hit possono nascere in ogni mese dell’anno, non servono più le canzoni in modalità mojito. E anche i programmi tv che puntano tutto sull’atmosfera estiva arrancano: “Battiti Live” perde il 3% di share rispetto al 2024, “Summer Hits” su Rai1 scende al 17,2%.

                Chi osserva il fenomeno da anni, come Lorenzo Suraci, presidente di RTL 102.5, punta il dito su un altro eccesso: “Troppa musica, troppi eventi. Se devo trovare una tendenza, vedo un ritorno alla melodia”. In un oceano di canzoni, nessuna riesce a emergere davvero.

                Anche Baby K, che nel 2015 con “Roma-Bangkok” riscrisse le regole del gioco, oggi la pensa così: “Un tormentone non si costruisce a tavolino. È la conseguenza di un successo spontaneo”. Con “Follia Mediterranea” non promette nulla, e forse fa bene.

                E quindi? Ci mancano i tormentoni? Forse sì, forse no. C’è addirittura chi dice di sentirsi sollevato. Nessun ritornello ossessivo a perforare i timpani, nessuna hit imposta a forza. Magari è l’inizio di una nuova epoca. Oppure è solo un’estate di passaggio, una stagione senza regina, ma piena di principesse in attesa.

                Intanto, sotto l’ombrellone, il tormentone più ascoltato è il silenzio. E, sorprendentemente, non è poi così male.

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