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Quando le star della musica si schierano per il Genoa

Tutti pazzi per il Genoa. La squadra all’ombra della lanterna arruola Annalisa per la presentazione della nuova maglia. E non è l’unico team ad usare i vip della musica…

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    Un video che sulla rete è diventato virale. Con il 75enne Ozzy Osbourne che parla al telefono con l’ex compagno di band Geezer Butler. E mentre in sottofondo parte un classico dei Black Sabbath come Paranoid, i tifosi dell’Aston Villa si preparano alla nuova stagione clacistica. Ozzy ricompare sul balcone di casa e chiede a sua moglie Sharon: “Sharoooon! Dove sono le mie Predator?”, alludendo alle iconiche scarpe da calcio. Giarda caso… le indossa lei, pronta ad andare allo stadio Villa Park, la “casa” dell’Aston Villa. Un ironico videoclip per promuovere la nuova divisa della stagione 2024/2025, che coinvolge due icone del rock made in Birmingham in favore della loro squadra del cuore.

    Quando musica e calcio si uniscono

    Non si tratta di un caso isolato, sono diverse le star della musica che si fanno coinvolgere in attività proozionali dalla loro squadra del cuore. Per esempio Ed Sheeran ha rinnovato con un contratto in piena regola la partnership che lo lega all’Ipswich Town, di cui è sponsor dal 2021. Anche per la stagione che sta per iniziare, sulle maglie sarà stampato il logo del “+–=÷× Tour” del cantautore di Halifax.

    Una bellissima per la squadra di Genova

    In Italia il Genoa ha scelto Annalisa come testimonial della maglia per la stagione 2024/25: “La foto che tutti stavate aspettando”, ha scritto il club rossoblu sui social condividendo l’immagine che vede la cantante mostrare la divisa con dietro scritto il suo nome e sotto il numero 10. Il suo legame con il Genoa non è nuovo: la sua Bellissima fu usata l’anno scorso come colonna sonora della campagna abbonamenti, oltre che ad essere intonata dai tifosi della Gradinata Nord.

    In RossoBlu anche Rita Ora

    Lo scorso dicembre a posare con la maglia del club ligure era stata Rita Ora, sfoggiando la terza divisa dell’ultima stagione. Il legame? Nessuno: “Il Genoa è un club storico, con origini e attualità cosmopolite. Fin da quando la nuova proprietà ha acquistato il club, volevamo evidenziare le potenzialità del brand Genoa, interagendo con influencer e celebrity che amano il calcio e che si identificano con i nostri valori e la nostra storia. Pensiamo che questo sia un grande modo per portare il Genoa a un nuovo pubblico in giro per il mondo”, aveva dichiarato il ceo della società rossoblu, Andrés Blazquez.

    Kanye West all’ombra della lanterna

    Una casacca del Genoa è nel guardaroba anche di Kanye West (mentre la ex moglie Kim Kardashian a Los Angeles è stata avvistata con indosso una maglia della Roma stagione 1997/98). La dirigenza del club gliel’ha regalata quando lo scorso ottobre il rapper è andato ad assistere al Ferraris al match tra Genoa e Milan. A proposito di rapper internazionali… lo scorso giugno 21 Savage si è esibito a Milano indossando una maglietta retrò della Juventus con dietro stampato il numero 10 di Alex Del Piero.

    Geolier e Blanco nella colonna sonora del videogame calcistico per eccellenza

    E mentre cresce l’attesa per la colonna sonora del nuovo videogioco EA Sports FC, in uscita il 29 settembre, Geolier e Blanco vengono arruolati dal Napoli e dalla Roma per annunciare ai rispettivi tifosi il loro ritorno nel gioco. “Il Napoli non è solo una squadra di calcio: è uno stile di vita, proprio come l’essere napoletani. È un legame di sangue, qualcosa che sta dint’ ‘o core”, dice Geolier in un video promo. Gli fa eco Blanco: “Mio padre quando ero piccolo mi disse: ‘Essere romanista va oltre la passione, vuol dire far parte della famiglia. Io provo quel sentimento che mi fa abbracciare la città, la sua storia, come se fosse una mamma”, artista bresciano ma con sangue per metà romano.

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      Musica

      Sabrina Salerno: «Ho venduto la mia fisicità, era marketing. Il tumore mi ha resa più cinica»

      Dagli esordi sfrontati con Cecchetto al boom di Boys boys boys, Sabrina Salerno oggi ha 57 anni e parla con lucidità di sé. «Non ho il fuoco sacro della musica, ma ho saputo usare quello che avevo. E oggi, dopo un tumore, ho capito quanto conti il corpo. E quanto pesa essere sempre “quella bomba sexy”».

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        A 17 anni era, parole sue, «una stronzetta presuntuosa». Oggi ne ha 57, un passato da icona sexy e un presente fatto di consapevolezza e cicatrici. Sabrina Salerno si racconta nel modo più diretto possibile: senza veli, ma stavolta non sul palco, bensì nell’anima.

        «Avevo un’autostima pazzesca. A un giornalista che mi chiese se sarei mai arrivata al successo come una certa star, risposi: “Ne avrò il triplo”». E in effetti, con Sexy Girl prima e Boys boys boys poi, il successo arrivò. Ma Sabrina non si è mai illusa di essere un’artista “sacra”: «Il successo è arrivato in maniera casuale. Non sono De Gregori. Magari sarei stata più felice a fare il medico».

        Fin da adolescente, il suo corpo è stato bersaglio di attenzione e giudizi. «A 12 anni nascondevo il seno con le braccia. Poi ho capito che lo sguardo degli uomini era sessuale. All’inizio faticavo ad accettarlo, poi l’ho trasformato in un’arma: ho venduto la mia fisicità, è stato marketing».

        Un marketing che ha pagato, ma a caro prezzo. «Più sei bella ed esponi il corpo, più devi dimostrare di valere. Gli uomini non ricevono lo stesso trattamento. Nessuno va a criticare Brad Pitt sotto i post». E su Elodie: «Ha talento. Ma si spoglia, quindi va attaccata. Sono solo scuse per aggredire le donne».

        Nonostante l’immagine da sex symbol, Sabrina si descrive come riservata, empatica, con un forte senso della famiglia. E anche pudica: «Ho respinto tanti corteggiatori, anche star mondiali. Ma non dirò mai chi sono, non sopporto chi va in giro a raccontare i fatti suoi».

        Quanto al corpo, è tutto vero. «Non mi sono mai rifatta il seno. Se lo avessi fatto lo direi. Sono favorevole alla chirurgia, ma se migliora, non se trasforma».

        E poi c’è il tumore, la parte più dura. «Seguo terapie da cinque anni, prendo una pastiglia che ha tutti gli effetti collaterali possibili. Ma vado in palestra ogni giorno. L’esercizio fisico è la mia medicina». E conclude: «Mi ha cambiata. Sono diventata più cinica. Non sono migliorata».

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          Lucio Corsi vince tutto alle Targhe Tenco: miglior album, miglior canzone e un sogno chiamato “d’autore”

          Lucio Corsi si aggiudica le due Targhe Tenco più prestigiose: miglior album in assoluto e miglior canzone con Volevo essere un duro. Premi anche a La Niña, Anna Castiglia, Ginevra Di Marco e Caroline Pagani. La consegna dal 23 al 25 ottobre all’Ariston.

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            Il 2025 è decisamente l’anno di Lucio Corsi. Dopo il successo a Sanremo e all’Eurovision, il cantautore toscano si prende anche le Targhe Tenco, vincendo le due categorie più ambite: miglior album in assoluto e miglior canzone singola, entrambe con Volevo essere un duro, brano manifesto del suo stile eclettico e poetico. Un riconoscimento che lo consacra come nuova voce di riferimento nella canzone d’autore italiana.

            «Sono onorato, grazie mille. Sogno un futuro in cui questa rassegna abbia la stessa visibilità del festival di Sanremo», ha scritto Corsi sui suoi social. E non è solo una frase di circostanza: da sempre il cantautore guarda alla musica d’autore come a una missione, più che a un mestiere.

            I premi sono stati assegnati da una giuria di 241 esperti tra giornalisti, critici musicali, autori e operatori del settore. Una comunità trasversale che ogni anno riconosce le voci più significative del panorama cantautorale.

            Tra i vincitori anche La Niña, con Furèsta, miglior album in dialetto: «Forse è merito della lingua in cui il disco è nato — quel napoletano che porta addosso il suono di tutto il Mediterraneo», ha scritto, dedicando il premio al suo pubblico.

            La Targa per l’opera prima va ad Anna Castiglia con Mi piace, mentre Ginevra Di Marco conquista la sezione interpreti con Kaleidoscope, un lavoro che attraversa sonorità e culture con la sua voce unica. Il miglior album a progetto è Pagani per Pagani, prodotto da Caroline Pagani, omaggio delicato e colto a Nino Pagani.

            Le Targhe saranno consegnate durante il Premio Tenco, in programma dal 23 al 25 ottobre al Teatro Ariston di Sanremo. Sarà, come ogni anno, l’occasione per celebrare la musica che non rincorre le mode, ma racconta il mondo con parole pensate e suoni veri.

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              Massimo Ranieri e l’infanzia al Pallonetto: «Mamma ci lavava nella bagnarola. Non sapevo nuotare, dal ponte mi ci buttavano»

              Lontano dal palcoscenico e dai riflettori, Massimo Ranieri ricorda l’infanzia difficile a Napoli, tra fame, dignità e improvvisati concerti con il mare come platea: «Cantavo per bisogno, per fame. Mi mettevano sul ponte, io non sapevo nuotare»

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                Massimo Ranieri, al secolo Giovanni Calone, torna a parlare di sé con la sincerità di chi non ha mai dimenticato da dove viene. In un’intervista al Corriere della Sera, il cantante partenopeo ripercorre l’infanzia vissuta nei vicoli del Pallonetto di Santa Lucia, a Napoli. Una casa minuscola, una sola stanza per tutti: «Io e mio fratello Aniello dormivamo in fondo al lettone, di traverso. In inverno mettevo i piedi contro il sedere di papà per scaldarmi. Niente bagno, solo un cesso. Mamma ci lavava nella bagnarola».

                Giuseppina, la madre, era una donna forte. «La chiamavano la carabiniera. Ci diceva: “Andate a faticare”. A sette anni facevo il vinaio in una grotta. Portavo quartini di vino agli operai, prendevo 200 lire a settimana. Si dice: “A famm fa asci ’o lupo da dint’ ‘o bosco”».

                La musica arriva quasi per caso. O meglio, per necessità. «Mi mettevano sul ponte di Castel dell’Ovo e mi dicevano: “O canti o ti buttiamo in acqua”. Io non sapevo nuotare. La gente lanciava le monete e i miei amichetti le raccoglievano. Poi si divideva tutto».

                La paura dell’acqua l’ha tenuta a lungo. «Ho imparato a nuotare a 40 anni, ma solo dove si tocca. Tre bracciate, poi basta».

                E i sogni? «Non ne avevo. La sera ero talmente stanco. Cantavo ai matrimoni, nei ristoranti. Tornavo a casa alle nove e mezza, mangiavo quello che c’era. Poi sveglia alle sette per andare a scuola».

                Il padre lavorava all’Italsider. «Una sera lo sentii dire a mamma: “Giuseppì, ho preso 40 mila lire. È andata bene”». Era un’altra Italia. Un’Italia dove si lavorava duro e si sperava il minimo. Ma da quella fatica, da quella miseria, è nato Massimo Ranieri. E con lui una delle voci più potenti e vere della canzone italiana.

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