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Personaggi e interviste

Belen “raizzata”: da Milly Carlucci a Francesca Fagnani, la showgirl torna ovunque (ma già salta un programma Rai)

Belen Rodriguez è tornata sulla cresta dell’onda. Dopo settimane di silenzio, Milly Carlucci l’ha voluta come ballerina per una notte nel nuovo appuntamento di Ballando con le Stelle, mentre Francesca Fagnani le ha riservato una puntata speciale di Belve. Ma dietro la ritrovata esposizione mediatica si nasconderebbero anche i primi segni di stanchezza: la showgirl non si sarebbe presentata alla terza puntata di Matti da legare, il programma radiofonico Rai che la vede protagonista.

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    Belen Rodriguez è tornata, e come sempre fa parlare. Dopo mesi di discrezione e voci su un nuovo equilibrio personale, la showgirl argentina si prepara a un weekend di fuoco: sabato sera sarà la “ballerina per una notte” di Ballando con le Stelle, come annunciato ufficialmente da Milly Carlucci, mentre nei prossimi giorni sarà protagonista di una puntata di Belve, l’irriverente talk di Francesca Fagnani.

    Un ritorno in grande stile, quasi una “raizzazione” completa del piccolo schermo: tra palcoscenico, interviste e radio, Belen è ovunque. La sua partecipazione al programma di Rai1 promette di essere uno dei momenti più attesi della stagione, con una coreografia che – assicurano dagli studi Rai – metterà in risalto la sensualità e la leggerezza che l’hanno resa una delle figure più riconoscibili della televisione italiana.

    A Belve, invece, la Fagnani è pronta a scavare dietro il personaggio, a riportare Belen nel suo territorio naturale: quello delle confessioni sincere e degli sguardi taglienti. Secondo quanto anticipato da Santo Pirrotta su Vanity Fair, l’intervista è già stata registrata e promette rivelazioni personali e professionali, comprese alcune frecciate sul passato sentimentale e televisivo della showgirl.

    Ma non tutto sarebbe rose e fiori. Dietro l’agenda fittissima, Belen starebbe già mostrando i primi segni di cedimento. Secondo indiscrezioni, non si sarebbe presentata alla terza puntata di Matti da legare, il nuovo programma radiofonico Rai di cui è co-conduttrice. Un’assenza che avrebbe spiazzato la produzione, alimentando i sospetti di una stanchezza precoce o di qualche tensione dietro le quinte.

    Che sia solo un momento passeggero o un segnale di insofferenza verso i ritmi imposti dal suo ritorno televisivo, lo diranno le prossime settimane. Intanto, tra danza, interviste e indiscrezioni, Belen resta ciò che è sempre stata: un fenomeno mediatico capace di far discutere anche solo con un passo di danza o un silenzio ben calibrato.

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      Enrica Bonaccorti: “Ho un tumore. Non farò più lo struzzo, voglio volare di nuovo”

      In una foto in sedia a rotelle, accompagnata dalla figlia Verdiana, la Bonaccorti annuncia di aver iniziato la sua battaglia più difficile. “Mi sono bloccata nell’assenza, come se il mio non esserci facesse sparire ciò che invece c’è. Adesso voglio affrontare tutto con coraggio”.

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        «Mi scuso con tutti, fino a oggi mi sono bloccata nell’assenza. Ma ora non farò più lo struzzo, ho voglia di volare di nuovo». Con queste parole, Enrica Bonaccorti ha scelto di rompere il silenzio e di condividere pubblicamente la notizia della sua malattia. La conduttrice, 74 anni, ha rivelato sui social di avere un tumore e di essersi ritirata dalla scena da quattro mesi, incapace di parlare anche con gli amici più cari.

        Nel post, accompagnato da una foto che la ritrae in sedia a rotelle mentre la figlia Verdiana la accompagna in ospedale, scrive: «È da tanto che non ci sentiamo e non ci vediamo, né qui né in televisione. Sono quattro mesi che mi sono nascosta, come se il mio non esserci facesse scomparire ciò che invece c’è». Un messaggio intimo, pieno di fragilità e di forza insieme, che ha subito commosso colleghi e fan.

        Bonaccorti non ha specificato la natura del tumore, ma ha spiegato di aver deciso solo ora di rendere pubblica la sua condizione, dopo un lungo periodo di paura e di silenzio. «Avevo sempre detto che, se mi fosse capitata la stessa cosa di Eleonora, non sarei stata capace di affrontarla come lei». Il riferimento è a Eleonora Giorgi, scomparsa a gennaio dopo aver combattuto con straordinaria dignità contro un cancro al pancreas.

        Oggi, la conduttrice e autrice, volto amatissimo della televisione italiana dagli anni Ottanta in poi, ha deciso di non nascondersi più. «Siamo all’inizio — ha aggiunto — ma ora che sono riuscita a dirvelo mi sento già più forte». Parole che suonano come un atto di liberazione, la scelta di affrontare la malattia senza più paura né vergogna.

        Il suo messaggio, sincero e privo di retorica, è diventato in poche ore virale. Tantissimi i messaggi di sostegno da parte del pubblico e del mondo dello spettacolo, che si è stretto intorno a lei. «Non farò più lo struzzo — ha concluso —, ora ho voglia di volare di nuovo insieme a voi». Una frase che racchiude tutta la sua determinazione: fragile, ma pronta a ripartire.

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          José Carreras: «Io, Pavarotti e Domingo litigavamo solo per il calcio. Lui tifava Juve, io Barcellona»

          Carreras racconta l’amicizia e le rivalità con Big Luciano: «Aveva il sole nella voce». Sui giovani: «Un nuovo Pavarotti? Forse arriverà, ma non ora». E sul ritiro confessa: «A 78 anni ci penso ogni giorno, ma poi salgo sul palco e passa tutto».

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            «Aveva il sole nella voce». Così José Carreras ricorda Luciano Pavarotti, l’amico e collega con cui ha condiviso una parte leggendaria della storia della musica. E oggi, a quasi vent’anni dalla scomparsa del Maestro modenese, il tenore catalano sarà all’Arena di Verona per celebrarne il novantesimo compleanno, in un concerto lirico-pop che riunirà alcune delle più grandi voci internazionali: da Plácido Domingo ad Andrea Bocelli, fino a Laura Pausini, Biagio Antonacci, Ligabue, Mahmood e Il Volo.

            Carreras, che di Pavarotti fu prima estimatore e poi compagno d’avventure nei concerti dei “Tre Tenori”, sorride nel ricordare la loro prima volta insieme: «L’ho ascoltato per la prima volta a Barcellona, al Liceu. Cantava La Traviata, poi Lucia di Lammermoor e La Bohème con Montserrat Caballé. Io ero ancora studente, ma la sua voce mi lasciò senza fiato».

            Quel timbro inconfondibile li unì in un sodalizio che divenne leggenda: dal 1990 al 2007, i Tre Tenori – Pavarotti, Domingo e Carreras – fecero il giro del mondo, portando l’opera al grande pubblico. «L’idea nacque dopo la mia malattia», racconta Carreras. «Rimasi in ospedale quasi un anno e Luciano mi diceva: “Dai, guarisci presto, che senza di te non ho più concorrenza!”. Così nacque il primo concerto alle Terme di Caracalla, in occasione dei Mondiali del 1990».

            Tra un’esibizione e l’altra, però, non si parlava solo di musica: «Litigavamo spesso, ma solo per il calcio. Luciano era un tifoso sfegatato della Juventus, Placido del Real Madrid, e io, ovviamente, del Barcellona. Non sempre finiva bene», ride.

            Carreras riconosce che quella tournée mondiale cambiò per sempre la percezione dell’opera: «Con quei concerti arrivammo anche a chi non aveva mai ascoltato un’aria in vita sua. Fu una rivoluzione positiva, non solo business».

            E quando gli si chiede se esista oggi un nuovo Pavarotti, scuote la testa: «È come domandare se ci sarà un nuovo Messi. Forse sì, ma è difficile dirlo. Ognuno di noi è unico».

            Sul palco dell’Arena, questa sera, Carreras tornerà a cantare per l’amico di sempre. «A 78 anni penso spesso al ritiro, ma poi – confessa con un sorriso – salgo sul palco e mi passa tutto. Finché posso, continuerò a cantare. Per me, per Luciano e per il pubblico che ci ha amato».

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              Umberto Smaila: «Colpo Grosso era da educande, oggi mi manderebbero all’inferno. Non ho limiti nel bere, nel mangiare, nel fumare»

              Tra Jerry Calà e le “ragazze Cin Cin”, Smaila racconta cinquant’anni di spettacolo, eccessi e libertà: «Mi dissero che ero l’unico in grado di rendere quel programma non volgare. Ho avuto tutto, ho perso tanto, ma rifarei tutto uguale».

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                Prima ha trasformato la musica in cabaret, poi il cabaret in televisione, e infine la televisione in uno show che fece epoca: Colpo Grosso. Umberto Smaila è stato tutto questo, un intrattenitore capace di attraversare stagioni diverse con lo stesso sorriso sfrontato e malinconico.

                Tutto comincia a Verona, dove con Franco Oppini, Nini Salerno e Jerry Calà forma i Gatti di Vicolo Miracoli. «Non c’era un laureato tra noi, davamo un esame l’anno solo per evitare il militare», ricorda ridendo. «Dormivamo poco, la notte lavoravamo al Derby di Milano. Diego Abatantuono faceva il tecnico delle luci, e noi gli facevamo da professori: studiava con noi, era senza patente ma guidava lo stesso».

                Gli anni Settanta sono un turbine: viaggi infiniti, teatri, serate improvvisate. Poi la separazione. «Io e Jerry non ci siamo parlati per cinque anni. Se n’è andato a fare cinema e noi siamo rimasti in braghe di tela. Mi sentii tradito, ma poi capii: quando passa un treno, o ci salti sopra o lo guardi andare via».

                Il successo televisivo arriva con Help! e poi, nel 1987, con Colpo Grosso. Una trasmissione che cambierà la carriera – e la reputazione – di Smaila. «Mi scelsero perché dissero che solo io avrei potuto renderlo non volgare. Pensavo sarebbe durato tre mesi, e invece furono trecento puntate all’anno per cinque anni. Rispetto a quello che si vede oggi, era un programma da educande. Lo guardavano persino le ragazzine, che ci mandavano i disegnini delle ragazze Cin Cin».

                Quelle ragazze, però, non erano dive. «Venivano quasi tutte dall’estero: inglesi, olandesi, dell’Est. Le italiane non volevano spogliarsi. Erano molto riservate, fuori dal set le vedevi con i sacchetti della spesa. Nessun lusso, nessun glamour. Io? Solo un piccolo flirt, niente storie clamorose».

                Quando Colpo Grosso finì, arrivò la doccia fredda. «Da trecento puntate a zero. Viaggiavo in Mercedes, mi sentivo immortale. Poi capii che non lo ero. Forse, senza quel programma, avrei avuto un’altra carriera, ma non rinnego nulla».

                Nel frattempo, Smaila continua con la musica, la sua vera casa. Fino al colpo di scena hollywoodiano: «Mi chiamò l’agenzia di Quentin Tarantino. Stavano girando Jackie Brown e volevano un mio brano. Pensavo fosse uno scherzo, invece era vero. Aveva visto La belva col mitra, dove c’era la mia musica. Quei sei minuti sonori mi hanno regalato l’eternità».

                Oggi, a 74 anni, Smaila non rinnega i suoi eccessi. «Non ho limiti nel bere, nel mangiare, nel fumare. Secondo i benpensanti, sono un irregolare. Quelli come me vanno all’inferno, e io ci andrò volentieri, se trovo la compagnia giusta».

                E mentre la tv di oggi «ha tolto lo spettacolo e il coraggio», lui resta fedele al suo stile. «Allora facevamo otto giorni di prove per tre minuti di varietà. Oggi bastano due ore e un microfono. Ma io continuo a cantare nei miei locali, tra gente che balla e ride. È questo che mi tiene vivo».

                La leggenda di Umberto Smaila, tra pianobar, cabaret e cult televisivi, è il ritratto di un’Italia che si prendeva meno sul serio. E che forse, proprio per questo, sapeva divertirsi di più.

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