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Personaggi e interviste

Dopo Iacchetti anche Ilaria D’Amico con la kefiah: a Mediaset l’intervento pro-Palestina accende il dibattito

Non solo Enzo Iacchetti: anche Ilaria D’Amico sceglie di indossare la kefiah durante un programma Mediaset. L’ex volto di Sky, intervenuta nello studio di Paolo Del Debbio, ha definito “vergognoso” il discorso del presidente americano sul 7 ottobre, senza menzionare – ha detto – “i 65mila civili morti a Gaza, di cui circa ventimila bambini”. Un’uscita che ha subito acceso reazioni politiche e mediatiche.

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    Il gesto è arrivato in diretta e non poteva passare inosservato. Dopo la scelta di Enzo Iacchetti, anche Ilaria D’Amico ha deciso di indossare la kefiah, il tradizionale copricapo palestinese, durante un programma Mediaset. La giornalista è stata ospite di Paolo Del Debbio a 4 di sera, talk del preserale di Rete 4, e ha usato toni molto duri per commentare le dichiarazioni del presidente Usa sulla guerra in Medio Oriente.

    “È vergognoso sentire un presidente degli Stati Uniti parlare della strage del 7 ottobre senza alcuna citazione alla sofferenza dei 65mila morti civili di Gaza. Siamo intorno ai ventimila bambini uccisi. È un’ecatombe”, ha detto con voce ferma, accompagnando le parole con il gesto simbolico del foulard sulle spalle.

    Il riferimento è all’ultimo intervento pubblico del leader americano, in cui il richiamo al massacro compiuto da Hamas è stato netto, mentre il passaggio sulla crisi umanitaria palestinese è apparso assente o marginale. Una mancanza che, secondo Ilaria D’Amico, segna un ulteriore scollamento fra la narrazione ufficiale e i dati che arrivano dal terreno.

    Il suo intervento, come prevedibile, ha diviso subito il dibattito. Da un lato chi ha apprezzato il coraggio della giornalista, dall’altro chi l’ha accusata di sbilanciarsi troppo, portando in tv un simbolo che negli ultimi mesi è diventato bandiera politica. “La kefiah è un simbolo che può essere letto in modi diversi – ha replicato Ilaria D’Amico – ma per me significa non dimenticare i civili, le donne e i bambini che non hanno voce”.

    La scena si inserisce in un filone che negli ultimi tempi ha visto diversi volti noti della televisione italiana schierarsi apertamente sulla questione palestinese, portando in prima serata immagini e dichiarazioni che fino a poco tempo fa sarebbero rimaste confinate nelle piazze o nei social.

    Il gesto di Ilaria D’Amico assume anche un valore personale: la giornalista, lontana da qualche tempo dalle grandi conduzioni, sembra voler tornare sulla scena pubblica con un profilo netto, capace di coniugare competenza giornalistica e sensibilità civile.

    Resta da capire se il suo intervento sarà un episodio isolato o il preludio a una partecipazione più attiva al dibattito politico-mediatico. Intanto la sua kefiah, come già quella di Iacchetti, ha fatto centro: aprendo discussioni, accendendo le polemiche e riportando la guerra in Medio Oriente al centro del palinsesto italiano.

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      Personaggi e interviste

      Giorgia sul caso delle “sorelle di chat”: «Insultare non è femminista». La cantante interviene

      Parlando con Il Fatto Quotidiano, l’artista commenta l’indagine che riguarda tre attiviste accusate di stalking e diffamazione: «Tempo violento, non avrei voglia né modo di insultare nessuno».

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      Giorgia

        Il dibattito sulle forme di attivismo digitale e sui confini dell’azione politica torna al centro della cronaca. La Procura di Monza ha iscritto nel registro degli indagati tre attiviste, Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene, nell’ambito di un’indagine per stalking e diffamazione. Un gruppo definito in rete come “le sorelle di chat”, accusato di aver messo nel mirino alcune persone con campagne ritenute aggressive e reiterate. Il caso alimenta il confronto su toni, linguaggi e responsabilità, soprattutto nel campo del femminismo contemporaneo e dei social network.

        Giorgia: «Non c’è femminismo nell’insulto»

        A intervenire è Giorgia, che sul Fatto Quotidiano ha espresso il suo punto di vista. «Non trovo niente di femminista nell’insultare le persone», afferma. La cantante ricorda la sua formazione in un ambiente femminile forte e coeso: «Sono cresciuta in un ambiente di donne che si sono sempre rimboccate le maniche. Mia madre era una femminista gentile: mi dava libri, mi spiegava, parlava. È stato un esempio». L’artista sottolinea di non riconoscersi in dinamiche di aggressione verbale: «Non rientra nella mia educazione comprendere come possa essere ideologico riunirsi e insultare persone a prescindere».

        “Un tempo violento”

        Per Giorgia il problema va oltre il singolo caso e riguarda il clima del dibattito pubblico: «Diciamo che questo è un tempo molto violento. Io non ce l’avrei il tempo di stare a insultare. Non ci arrivo, non credo che ci sia nulla di femminista in questo». Una posizione che riporta il discorso sul terreno del confronto di idee e non dello scontro permanente, soprattutto in un’epoca in cui la visibilità digitale può amplificare toni eccessivi e polarizzazioni.

        Il confronto interno al movimento

        L’indagine e le parole della cantante accendono una discussione anche dentro il mondo femminista, dove da tempo convivono approcci diversi: dal linguaggio militante più duro a forme di attivismo empatico e dialogico. La giustizia farà il suo corso, ma il tema resta aperto: come difendere diritti e istanze senza trasformare l’arena social in una piazza punitiva. Per Giorgia la strada passa dalla fermezza, non dall’insulto.

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          Colpo di scena a Catanzaro: stop all’accusa contro il padre di Elisabetta Gregoraci

          La decisione riguarda l’udienza a carico di Mario Gregoraci, 74 anni: presunti maltrattamenti e atti persecutori da riesaminare. La Procura dovrà riformulare la richiesta di rinvio a giudizio o approfondire il quadro investigativo

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            Un passaggio tecnico che cambia il percorso processuale e rimette in moto l’intero procedimento. A Catanzaro, nell’udienza preliminare per Mario Gregoraci, 74 anni, padre della showgirl Elisabetta Gregoraci, il giudice ha dichiarato la nullità della richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura. Il motivo è un vizio di notifica degli atti di chiusura indagine, ritenuto tale da incidere sul diritto di difesa.

            Una decisione che non chiude il caso, ma lo riporta indietro di una fase: gli atti tornano sul tavolo dei pm e il fascicolo rientra nell’alveo delle indagini preliminari. Il procedimento riguarda ipotesi di maltrattamenti, atti persecutori e lesioni contestate all’ex compagna, Rosita Gentile.

            Il nodo della notifica

            Il giudice dell’udienza preliminare ha accolto l’eccezione sollevata dalla difesa, evidenziando un’irregolarità formale nella notifica degli atti. Un vizio che, secondo la valutazione del gup, avrebbe limitato la corretta possibilità di predisporre la linea difensiva.

            Nell’immediato, il risultato è uno stop alla corsa verso il processo. La nullità non annulla l’inchiesta, ma obbliga la Procura a ripartire da una fase precedente, ristabilendo − almeno per ora − la posizione dell’indagato nella fase istruttoria.

            La posizione della difesa

            Soddisfazione da parte dell’avvocata Ramona Gualtieri, che ha parlato di “riconoscimento pieno del diritto di difesa”. Non una vittoria definitiva, ma un passaggio che la stessa legale ha definito essenziale per “garantire il corretto contraddittorio”.
            L’eco mediatica del caso, legato anche alla notorietà familiare, aveva acceso i riflettori già nella fase delle indagini. Ora il quadro si ricompone, con tempi che inevitabilmente si allungano.

            Cosa succede adesso

            La Procura potrà nuovamente notificare gli atti e riproporre l’impianto accusatorio, confermando la richiesta di rinvio a giudizio. Oppure scegliere di integrare il fascicolo con nuovi elementi, valutando se e come rimodulare le contestazioni.

            Per il momento, tutto torna in sospeso. Nessuna archiviazione, nessun proscioglimento, ma una fase interlocutoria che riapre margini e scenari.

            Un esito che ribadisce quanto, nel percorso giudiziario, la forma possa pesare quanto la sostanza: un vizio procedurale può rallentare la corsa verso il processo e riaprire partite che sembravano avviate.

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              Personaggi e interviste

              Claudio Amendola, dal furto di benzina alla dipendenza, fino all’infarto e alla rinascita

              Sincero come sempre, Amendola racconta fragilità e ripartenze. La carriera tra cinema e tv, l’amore per Francesca Neri, il nuovo legame con Giorgia Guglielman, l’infarto del 2017 e il passato con la cocaina. «Ne sono uscito da solo, c’era qualcosa di più importante: i figli». Ora l’attore torna sullo schermo con un film che parla di verità e scelte

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                Claudio Amendola torna al cinema con “Fuori la verità” di Davide Minnella e porta con sé tutta la storia che ha addosso. Quella di un ragazzo cresciuto in una famiglia d’arte, figlio di Ferruccio Amendola e Rita Savagnone, che a 19 anni debutta in tv e in pochi anni diventa il volto romano che riempie cinema, serie e immaginario pop. Dagli anni Ottanta di “Vacanze di Natale” e “Ultrà” ai successi di “Noi e Giulia” e “Nero a metà”, Amendola è diventato una certezza. Eppure, dietro l’immagine di attore amatissimo, c’è sempre stata un’umanità irregolare, senza filtri.

                Lo ha dimostrato quando ha raccontato del suo arresto a 18 anni per aver rubato benzina, finendo per una notte a Regina Coeli. Una caduta che oggi ricorda con un mezzo sorriso e una dose di vergogna, perché quelle esperienze rimangono, ma insegnano. Lo ha confermato anche quando, parlando della droga, ha ammesso tutto senza costruirsi alibi: la cocaina, la perdita di lucidità, la decisione di uscirne da solo. «Ne sono uscito perché c’era qualcosa di più importante: i figli», ha raccontato. La famiglia come boa, come limite, come salvezza.

                E poi l’amore. Lungo, intenso, complicato. Marina Grande prima, poi Francesca Neri, compagna per venticinque anni, madre di suo figlio Rocco, con cui ha condiviso cinema e vita prima di dirsi addio nel 2022. Oggi al suo fianco c’è la costumista Giorgia Guglielman, quindici anni meno di lui, presenza discreta in una fase più quieta e riflessiva dell’attore. Un equilibrio che arriva dopo un’altra frattura profonda: l’infarto del 2017. «Una secchiata d’acqua gelata», disse. Addio sigarette, dodici chili in meno, la consapevolezza che il corpo ti chiama, e ignorarlo significa perdere tutto.

                Accanto alla recitazione, Amendola ha coltivato un’altra passione: la cucina romana. Prima Trastevere, poi Valmontone, fino a Milano, dove ha aperto l’ultimo ristorante. Tavoli, sugo che ribolle, carbonara servita senza compromessi. Rombo di voce e autenticità, anche a tavola.

                Oggi arriva in sala con la storia di un uomo che deve fare i conti con la verità. Un tema che gli calza addosso: perché Claudio Amendola, nel bene e nel difficile, la verità non l’ha mai nascosta. Preferisce guardarla in faccia. E raccontarla.

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