Personaggi e interviste
Preziosi a ruota libera: “Mi chiamano Olé. Nelle scene di sesso? Sono un guizzante”
L’attore napoletano si racconta senza filtri: il peso del successo televisivo, le mancate collaborazioni al cinema, l’amore che finisce e quello che non si sa. E un soprannome curioso: “Olé? No, non per la rapidità…”

“Mi chiamano Olé”. Quando lo dice, con quell’aria da guascone educato, il pubblico ride. E Francesca Fagnani alza un sopracciglio e finge di non capire: “Per la rapidità?”. Ma Alessandro Preziosi, da consumato attore tragico e brillante, rilancia: “No! Olé, proprio un guizzo. Nelle scene di sesso sono un guizzante!”. Il tono è comico, il sottotesto tutto da interpretare. Ed è già chiaro che questa intervista sarà una cavalcata in equilibrio tra ironia, malinconia e improvvisi scarti d’orgoglio.
Da tempo Preziosi non si raccontava così a cuore aperto. E Belve, si sa, è la gabbia ideale per quelli che sanno ballare sul filo. Lui ci entra in completo elegante, aria da tenebroso senza eccessi, e si definisce da solo con due aggettivi: “bello strafottente”. Non male, per uno che ha costruito la sua carriera tra le pieghe del romanticismo ottocentesco e la modernità dei ruoli borderline. “A chi non piace, perché non piace?” chiede Fagnani. “Perché mi puzza l’alito!” risponde lui, scoppiando a ridere. “Scherzo, ovviamente…”.
Ma poi, senza avvisare, il tono cambia. Quando si parla di Elisa di Rivombrosa, la fiction che lo ha consacrato e inchiodato insieme, Preziosi si mostra per quello che è: un attore consapevole, e forse un po’ ferito. “Mi ha dato libertà nelle scelte. Ma mi hanno fatto pagare quel successo”. È il solito problema del pedigree televisivo in un cinema ancora snob: “Mi mancano le collaborazioni importanti. Poi però sono tornati tutti a fare televisione…”.
Dietro il sarcasmo, però, c’è la crepa. E si apre quando si parla d’amore. La Fagnani è chirurgica: “Ha sofferto per amore?”. “Meritatamente”, risponde Preziosi. “Ho seminato male. Ho sopportato lo scotto di essere stato un po’ sprovveduto”. Niente piagnistei, nessun vittimismo. Solo una confessione a mezza voce: “La mia prima separazione mi ha distrutto”. Traduzione: Vittoria Puccini. “È la storia d’amore per cui ho sofferto di più”.
La Fagnani annusa il sangue e incalza: “E adesso? È innamorato?”. Silenzio. Un respiro. E poi: “Sono in transito”. E il colpo di scena: “È innamorato di Delfina Delettrez Fendi?”. Preziosi resta lì, per un attimo nudo, più che in qualunque scena sexy. “In questo momento… non so che rispondere”. Frase breve, pesante come un mattone.
Il ritratto che esce da Belve è quello di un uomo non domato né domabile, in bilico tra seduzione e insicurezza, sempre un po’ “guizzante”, anche nei sentimenti. Si capisce che porta ancora dentro il peso di certi sguardi, certi ruoli, certi rimpianti. Eppure non si nasconde. Non fa il simpatico per contratto. E non finge certezze che non ha.
Forse è proprio questo il segreto del suo fascino intatto: la bellezza che non si prende sul serio, il dolore che non chiede compassione, la capacità di essere “bello e strafottente” senza mai diventare antipatico. Uno che sa giocare con l’immagine di sé, ma che non ha paura di guardarsi allo specchio e dire la verità, anche quando fa male.
A Belve, Preziosi ha lasciato il copione nel camerino. E ha portato in scena Alessandro, non solo l’attore. Olé.
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Personaggi e interviste
Riccardo Rossi, il re del “tampinamento seriale”: una vita tra cinema, tv e star
L’attore romano, sempre pronto a una battuta, ci racconta la sua carriera costellata di incontri con le celebrità e la sua scelta di vita da scapolo convinto.

Riccardo Rossi, volto noto del cinema e della televisione italiana, è un personaggio eclettico e dalla verve inconfondibile. Con la sua simpatia e la sua ironia ha conquistato il pubblico, diventando uno degli attori più amati del nostro paese. Ma chi è davvero Riccardo Rossi dietro la maschera del comico?
Un inizio tra cinema e tv
Nato a Roma nel 1962, Rossi ha debuttato al cinema a soli 22 anni, nel film “College“. Da lì in poi, la sua carriera è stata costellata di ruoli in film e serie tv di successo, come “I ragazzi della 3ª C” e “Dio c’è”. Negli anni ’90 ha conquistato il pubblico televisivo con la sua partecipazione a programmi come “Non è la Rai” e “Forum”.
Riccardo Rossi o meglio il “tampinatore seriale”
Ma è forse per la sua passione per le celebrità che Rossi è diventato famoso. Autodefinitosi un “tampinatore seriale”, ha raccontato in numerose interviste i suoi incontri con star del cinema e dello spettacolo. Da Sean Connery a Fanny Ardant, da Alberto Sordi a Raffaella Carrà, Rossi ha collezionato una serie di aneddoti divertenti e curiosi. E nonostante il successo e le numerose conquiste, Rossi ha scelto di rimanere single. “Ho pensato tanto all’amore eterno, all’anima gemella, ma poi ho capito che non fa per me“, ha confessato in un’intervista. L’attore ha spiegato che preferisce la libertà e l’indipendenza, e che non crede nel matrimonio come istituzione.
Un’esistenza tra cinema, tv e… cucina
Oltre alla carriera di attore, Rossi è un appassionato di cucina. Ha partecipato a numerosi programmi televisivi dedicati al cibo e ha scritto diversi libri di ricette. La sua passione per il buon cibo lo ha portato a viaggiare in lungo e in largo, alla scoperta di nuovi sapori e tradizioni culinarie. In tavola la sua solita simpatia, la sua ironia e la sua voglia di vivere. Tre qualità con le quali è riuscito a conquistare il pubblico e a ritagliarsi un posto speciale nel cuore degli italiani.
Personaggi e interviste
Tuona Alessandro Gassmann: No a raduni fascisti nel teatro dedicato a mio padre!
Alessandro Gassmann chiede la rimozione del nome del padre, Vittorio, dal Teatro Condominio di Gallarate, dopo che la struttura ha ospitato un evento dell’estrema destra. La vicenda solleva interrogativi sull’uso degli spazi culturali pubblici e sull’eredità dei grandi artisti italiani.

Il Teatro Condominio di Gallarate, fondato nel 1862 come Teatro Sociale, è stato per decenni un punto di riferimento culturale nella provincia di Varese. Dopo anni di chiusura, nel 2006 è stato riaperto e intitolato a Vittorio Gassman, uno dei più grandi attori italiani del 900. La scelta di dedicare a lui il teatro è stata un omaggio alla sua straordinaria carriera e al suo contributo al teatro italiano.
La polemica: un evento controverso accende gli animi
Recentemente, il Teatro Condominio ha ospitato il Remigration Summit, un convegno organizzato da gruppi di estrema destra. La scelta di utilizzare una struttura pubblica intitolata a un artista noto per i suoi valori antifascisti ha suscitato indignazione. In particolare, Alessandro Gassmann, figlio di Vittorio, ha espresso il suo disappunto, chiedendo la rimozione del nome del padre dal teatro.
La reazione di Alessandro Gassmann: una questione di coerenza
Alessandro Gassmann ha dichiarato: “L’estrema destra si incontri dove vuole, ma non nella sala intitolata a Vittorio. I nostri parenti uccisi dai nazifascisti”. Le sue parole riflettono una profonda preoccupazione per l’uso degli spazi pubblici e per la memoria storica. Per Gassmann, associare il nome del padre a un evento di estrema destra è inaccettabile e contraddice i valori che Vittorio ha sempre rappresentato.
Il dibattito pubblico, tra libertà di espressione e rispetto della memoria
La vicenda ha acceso un acceso dibattito sull’uso degli spazi culturali pubblici. Da un lato, c’è chi sostiene la libertà di espressione e l’uso delle strutture pubbliche da parte di tutti i gruppi, indipendentemente dalle loro ideologie. Dall’altro, c’è chi ritiene che ospitare eventi di estrema destra in luoghi intitolati a figure simbolo dell’antifascismo sia una mancanza di rispetto per la memoria storica e per i valori democratici.
Una riflessione sull’eredità culturale
La richiesta di Alessandro solleva interrogativi importanti sull’eredità culturale e sulla gestione degli spazi pubblici. È fondamentale che le istituzioni riflettano sull’uso delle strutture culturali, garantendo che siano coerenti con i valori che rappresentano. In un’epoca in cui la memoria storica è spesso messa in discussione, preservare l’integrità dei luoghi simbolo della cultura italiana è più importante che mai.
Personaggi e interviste
Fiorello demolisce la Rai: “Palinsesti da 27 anni fa. Chi li fa meriterebbe una pallottola nel cuore”
Don Matteo 13, Imma Tataranni 3, Makari 3: per Fiorello la programmazione Rai è “la stessa di 27 anni fa”. E rilancia: “Questo non è un palinsesto, è un miracolo che cammina”. Frecciate anche al mondo del cinema e ai furbi del tax credit: “Facciamo le sovvenzioni, ma pure autocritica”.

Nel debutto ufficiale del suo nuovo programma su Rai Radio2, La pennicanza, lo showman siciliano ha fatto quello che gli riesce meglio: mescolare ironia, paradosso e verità che bruciano. E la prima vittima è stata proprio la Rai, colpevole — secondo lui — di aver messo il palinsesto in naftalina nel 1997 e di non averlo mai più tirato fuori.
“I palinsesti Rai sono quelli di 27 anni fa”, dice ridendo (ma neanche troppo), “chi li fa meriterebbe una pallottola nel cuore”. E poi affonda il colpo: “Questo non è un palinsesto, è accanimento terapeutico. Ora inizia la stagione delle repliche: Don Matteo 13 (don Matteo ormai ha 109 anni), Lolita Lobosco 2, Imma Tataranni 3, Makari 3, Bianca 2, L’allieva e Cuori. Praticamente RaiUno è il museo delle cere”.
La battuta è feroce, ma l’applauso è servito. Perché sotto la risata c’è una stoccata a una tv che sembra aver perso il coraggio dell’innovazione. E non è finita.
Fiorello, in una finta telefonata con Gabriele Muccino, si toglie qualche sassolino anche dalle scarpe del cinema italiano: “Ci sono stati dei furbetti che si sono approfittati dei finanziamenti. Il cinema dovrebbe dirlo: sì alle sovvenzioni, ma anche un po’ di autocritica. In questo governo e in quelli precedenti c’è sempre stato chi ha fatto il furbo”.
La puntata poi scorre tra telefonate vere (come quella a Silvia Toffanin, beccata mentre “lavava i piatti”), revival di Ramazzotti e un botta e risposta live con il direttore di Repubblica, Mario Orfeo, che gli scrive per ricordargli che Veltroni, da lui citato, “scrive per il Corriere”. La risposta? “Ma Veltroni è comunista!”. Finezza e nonsense firmati Fiore.
Lo show è appena iniziato, ma la linea è chiara: La pennicanza sarà anche una siesta pomeridiana, ma non per chi siede ai piani alti della tv pubblica. Per loro, il risveglio è già stato piuttosto traumatico.
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