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Personaggi e interviste

A breve all’altare, Francesco Montanari racconta la sua idea rivoluzionaria di amore

L’attore, che tutti ricordano in Romanzo Criminale, si prepara a dire “sì” alla psicologa Federica Sorino, sua compagna da quattro anni. Il matrimonio, previsto per il 14 giugno in Puglia, è il punto di arrivo (e di partenza) di una relazione costruita sulla fragilità condivisa, sulla volontà quotidiana di scegliersi e sull’equilibrio tra vita privata e lavoro. In una intervista a Vanity Fair, l’attore riflette sull’amore maturo, sulla mascolinità e sull’importanza di mostrarsi vulnerabili.

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    Volto amatissimo del teatro e del piccolo schermo, si racconta senza filtri. Il momento è speciale: il 14 giugno sposerà la sua compagna Federica Sorino, psicologa, in una masseria in Puglia, terra delle origini della nonna di lei. “Ci siamo conosciuti grazie a un appuntamento al buio. Il primo incontro andò malissimo. Ma ci siamo rincontrati per caso in un ristorante e lì è iniziato tutto”, racconta l’attore romano. Quattro anni dopo, una proposta semplice ma intensa: «Era il 25 agosto, 40 gradi, lei distrutta sul divano. Io le ho chiesto:

    “Tu che programmi hai per i prossimi 50 anni?”». Una frase che, più che una battuta, è diventata promessa.

    La forza della fragilità

    Per Montanari, oggi quarantenne, l’amore non è più tempesta, ma scelta quotidiana. «Ho capito che funziona solo se ogni giorno scegli di esserci. Non per dovere, ma per desiderio. L’amore è cura, non possesso». Con Federica ha scoperto l’importanza di lasciarsi vedere davvero: «Per anni ho pensato che mostrarmi fragile fosse un limite. Poi ho capito che non serve essere un caterpillar. Serve essere veri».

    Federica, lo specchio che non giudica

    Il fatto che Federica sia lontana dal mondo dello spettacolo è, secondo Montanari, un dono. «All’inizio pensavo: magari uno psicologo può aiutarti anche nella relazione. Poi ho scoperto che no, anche lei si lascia coinvolgere come tutti. Ma ha uno sguardo limpido, e mi ricorda che non bisogna restare incastrati nella fatica». Quella tra i due è una relazione di equilibrio, in cui si è imparato a separare i ruoli:

    «Prima non volevo mai staccare dal lavoro. Ora so che serve. Non solo per la coppia, ma anche per l’arte».

    L’uomo oggi? In crisi, ma con speranza

    Montanari affronta anche un tema attuale: la mascolinità contemporanea. Nella recente serie Maschi veri interpreta un uomo immerso in una “normalità” maschilista, spesso invisibile. «Non raccontiamo mostri, ma dinamiche quotidiane. È lì che si annida la tossicità. Anche io, recitando, ho riconosciuto cose che ho fatto. Osservare, commentare: sembrano gesti innocui, ma formano una cultura». Lui stesso ammette:

    «Gli uomini non hanno più uno schema. Il vecchio modello non funziona, ma il nuovo ancora non c’è. Serve coraggio per riscriversi».

    Teatro, cinema, e la libertà di non sapere tutto

    Montanari è oggi diviso tra palcoscenico, set e scrittura. Sta lavorando al suo primo film da regista: «Non so se farò questo mestiere per sempre, ma questa storia voglio raccontarla». Dopo anni in cui il lavoro veniva prima di tutto, ora cerca un equilibrio. «Trovare giustificazioni per anteporre il lavoro è facile. Ma ti lascia inquieto. Federica mi ha insegnato a dire le cose. A parlare, a non lasciare le emozioni nel limbo».

    Un amore senza filtri, come la vita vera

    Il matrimonio con Federica non è l’happy ending da favola, ma il nuovo inizio di una storia reale, fatta di quotidianità e di scelte condivise. «L’ho amata da subito, ma oggi la scelgo ogni giorno», conclude Montanari. In un tempo in cui tutto è “scrollabile”, lui sceglie di fermarsi, guardare in faccia la vita. E dire “sì”.

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      Personaggi e interviste

      «Credevo che sarei morta in un letto d’ospedale». Bianca Balti racconta la paura, la malattia e il coraggio di sentirsi viva

      Dopo l’asportazione del seno nel 2021 per la mutazione del gene BRCA1, aveva rimandato la rimozione delle ovaie: “Non è una decisione facile. Ho avuto paura di sentirmi meno donna”. Una battaglia personale che oggi trasforma in testimonianza collettiva, per dare forza a chi si trova davanti alla stessa scelta

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        C’è un giorno che Bianca Balti non potrà mai dimenticare. L’8 settembre 2024, in un pronto soccorso della California, i medici le dissero che aveva un tumore ovarico al terzo stadio. La diagnosi arrivò come una sentenza. «Credevo che sarei morta in un letto d’ospedale e che le mie figlie sarebbero cresciute senza madre», racconta oggi la top model, 40 anni, nel suo nuovo diario online. Una confessione che scava nell’intimità della paura più grande: quella di non esserci più.

        La modella, icona internazionale, ha scelto di condividere la sua storia partendo da quel momento buio. «Non avevo mai sperimentato la mortalità fino ad allora», scrive. Il cancro non era più un concetto astratto, ma una realtà che si prendeva spazio nella sua vita, costringendola a guardare in faccia l’ipotesi più terribile.

        La mutazione genetica e le scelte difficili

        Bianca non era del tutto impreparata. Nel 2021 le era stata diagnosticata la mutazione del gene BRCA1, che aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare tumori al seno e alle ovaie. All’epoca decise di sottoporsi subito a una mastectomia preventiva, ma non fece lo stesso con le ovaie. «Rimandavo. Molti, dopo, mi hanno chiesto: se lo sapevi, perché non l’hai fatto? Ma bisogna essere gentili con le donne… Perché non è una decisione facile da prendere», spiega.

        Le ovaie, dice, sono parte della femminilità, del desiderio di maternità che non aveva ancora accantonato: «Io volevo altri figli, li ho sempre voluti. Togliere le ovaie è un pezzo di identità che senti di perdere. Ho avuto paura di sentirmi meno donna». Parole che pesano come un macigno in un dibattito medico spesso dominato da fredde statistiche, e che lei riporta sul piano emotivo ed esistenziale.

        Il pianto, la fede e Google

        Quando ricevette la diagnosi, la sua prima reazione fu disperazione. «La mia prima reazione fu piangere. Non riuscivo a respirare. Ho pensato: sono una stupida, dovevo farlo prima», ha confidato in un’intervista al Corriere della Sera. In quelle ore, la fede che negli anni aveva costruito come un rifugio personale fu messa alla prova. «Dodici anni fa sono tornata sobria e ho costruito una fede che fosse mia, dolce e indulgente. Quella fede è stata messa alla prova la notte in cui ho digitato su Google: il cancro ovarico al terzo stadio è curabile?». La risposta era spietata: «Non sempre».

        Una rinascita condivisa

        Oggi Bianca è viva e festeggia la vita. Ha deciso di trasformare la sua esperienza in un percorso collettivo: un blog in cui invita le persone a scegliere un giorno da celebrare. «Non deve essere necessariamente legato alla malattia. Potrebbe essere il giorno in cui hai lasciato una relazione che ti stava distruggendo. Il giorno in cui sei sopravvissuto a un incidente. Il giorno in cui hai capito di voler andare avanti».

        L’iniziativa ha già trovato eco: oltre 150 persone hanno scritto sul blog, condividendo la propria data simbolica. Un flusso di testimonianze che conferma la potenza di un gesto semplice: segnare sul calendario il giorno in cui si è sopravvissuti e ricordarlo ogni anno come un anniversario privato di resilienza.

        Una vita nuova con le figlie

        Al centro di tutto, restano le sue figlie, Matilde e Mia. La paura più grande, dice, era quella di lasciarle senza una madre. È stato pensando a loro che ha trovato la forza di affrontare le terapie, le operazioni e i mesi più duri. «Ogni volta che vedevo i loro occhi, capivo che non potevo arrendermi», scrive. La maternità, vissuta come responsabilità e come amore assoluto, è stata il carburante della sua lotta.

        L’invito a non rimandare

        La testimonianza di Bianca Balti non è un manifesto di eroismo, ma un invito alla consapevolezza. La top model ammette gli errori, i rimandi, la paura di sentirsi “meno donna”. Eppure, proprio da quella vulnerabilità, nasce la forza del suo messaggio: non rimandare, non sottovalutare i segnali, non lasciare che la paura decida al posto tuo.

        Oggi, per lei, il giorno da celebrare non è solo quello in cui ha ricevuto la diagnosi, ma quello in cui ha capito che poteva ancora vivere, amare e raccontare la sua storia. Un anniversario personale che ha trasformato in patrimonio collettivo, perché «la vita non si festeggia solo quando si vince: si festeggia ogni volta che si sopravvive».

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          Personaggi e interviste

          Diego Abatantuono: “La vecchiaia mi fa schifo, ma bisogna prenderla con allegria”

          Il comico e attore milanese torna sul grande schermo con Esprimi un desiderio: “I successi di oggi nascono dalle sconfitte di ieri. Mi sento ancora vicino ai giovani, almeno fino a quando non parlano di social: la sola parola mi provoca mal di stomaco”.

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            A settant’anni Diego Abatantuono non ha perso la battuta pronta, ma nemmeno la lucidità per guardare con ironia e realismo al tempo che passa. Nel nuovo film di Volfango De Biasi interpreta Ettore, ex imprenditore vinicolo che vive in una Rsa ma non rinuncia ai sogni. Un ruolo che lo costringe a misurarsi con la vecchiaia, tema che affronta senza giri di parole: «La vecchiaia mi fa abbastanza schifo, ma bisogna prenderla con allegria, perché non ci sono altre soluzioni. È come una malattia costante, con cui bisogna convivere. L’abilità sta nel non farci troppo caso».

            E se qualcuno gli chiede se ci riesce, risponde con disincanto: «Fino a un certo punto. Se la mattina riesco ad alzarmi va bene, quando diventa più difficile allora sì, me ne accorgo. Ma il brutto non è tanto la mia vecchiaia: è vedere quella degli amici. L’importante è che ci siano, perché quando non ci sono più, quella è la parte peggiore».

            Abatantuono, da sempre legato alla commedia, non rinnega le sue origini, anzi: «I film brillanti li faccio sempre volentieri, penso che la gente abbia bisogno di ridere. È il genere più difficile, ma anche quello che dà più senso al mio lavoro. Se capita un film serio, lo faccio, ma far sorridere resta il compito più complicato e utile».

            Non mancano i ricordi: «Mi fa un bell’effetto sentire ancora oggi le battute di Eccezziunale… veramente. Quel personaggio, che sembrava semplice, in realtà esprimeva una sua verità: c’è sempre qualcuno più a sud di un altro». E sull’altra svolta della carriera: «Ringrazierò sempre Pupi Avati per Regalo di Natale. So che prima di chiamare me aveva sentito Lino Banfi, che rifiutò. Quel film mi cambiò la vita».

            Eppure oggi non si guarda indietro con nostalgia. Si tiene in mezzo ai giovani, anche se con qualche distanza: «Non riesco a vedermi come un vecchio, mi sento alla loro altezza, almeno finché non parlano troppo di tecnologie. I social? La sola parola mi provoca mal di stomaco: se la mattina invece del caffè dico “social”, ottengo lo stesso effetto».

            Infine, uno sguardo al presente: «Ciò che mi preoccupa è la superficialità con cui si accettano eventi assurdi. Da appassionato di storia so che quello che accadde prima della guerra si sta ripetendo. Ma davanti ai miei figli devo simulare allegria, non posso incupirmi. È il prezzo di una vita vissuta tra amici e grandi tavolate».

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              Personaggi e interviste

              Kabir Bedi: da Sandokan a sostenitore di Trump, Robert Kennedy Jr. ed Elon Musk

              Trump? “Adesso mi piace ma più di lui sono un grande fan di Robert Kennedy Jr., che si sta occupando di cibo e di alcune cose contro l’industria farmaceutica”.

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                Geppi Cucciari e Giorgio Lauro su RadioUno, l’attore Kabir Bedi si svela un trumpiano di ferro. Rivela la sua simpatia per Donald Trump anche se fino a qualche anno fa non la pensava proprio in questo modo. Ma si sa noi tutti trasformiamo la nostra vita e cambiamo opinione. Intervistato da un mensile femminile americano nel ruolo di Sandokan a proposito di Donald Trump l’attore rispondeva che “E’ un perfetto James Brooke, il cattivo rajah bianco di Sarawak che crede fermamente nella superiorità della sua razza sulle altre. Una visione del mondo di cui avere paura“.

                Trump: “Adesso mi piace”

                A Un Giorno da Pecora l’attore ha condiviso opinioni inaspettate e controcorrente. Durante l’intervista, infatti, ha espresso simpatia per il Presidente americano, ma ha dichiarato un’ammirazione ancora maggiore per Robert Kennedy Jr. e Elon Musk.
                Trump mi piace, ma sono un grande fan di Robert Kennedy Jr.,” ha spiegato l’attore, intervenuto in diretta da Mumbai. “Sta affrontando questioni importanti legate al cibo e ai problemi causati dall’industria farmaceutica. Tuttavia, è difficile spiegare tutto in italiano.”

                Sostegno a RFK Jr. e critiche a Big Pharma

                Bedi ha ammesso di apprezzare Trump, seppur con meno entusiasmo rispetto a RFK Jr. e Musk. “Mi piace per alcune cose, ma il mio cuore batte più forte per Kennedy e le sue battaglie,” ha spiegato. Quando gli è stato chiesto delle accuse che avvicinano Kennedy al movimento no-vax, Bedi ha replicato con fermezza: “Questa è solo propaganda delle Big Pharma. Lui vuole che le persone abbiano il diritto di scegliere e sostiene la necessità di più ricerca.”

                Ed Elon Musk? Per Kabir Bedi “E’ un eroe moderno”

                Durante l’intervista, l’attore non ha nascosto la sua ammirazione per Elon Musk. “Sono un grandissimo fan. Musk è incredibile, un vero Superman. Ha affrontato e vinto una battaglia titanica contro l’industria dell’automobile. È un uomo straordinario.” Il protagonista di Sandokan continua a sorprendere il pubblico con dichiarazioni che mescolano nostalgia e contemporaneità, dimostrando di avere opinioni forti e controverse su temi globali. Da leggendario pirata della Malesia a sostenitore di cause moderne, Kabir Bedi si conferma un personaggio sempre fuori dagli schemi…

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