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Spettacolo

Rita Rusic: «Amadeus ha escluso Eleonora Giorgi da Sanremo senza motivo. Ci rimase malissimo»

A pochi giorni dalla scomparsa di Eleonora Giorgi, l’amica di vecchia data Rita Rusic racconta il dolore dell’attrice per un’ultima grande delusione: l’esclusione improvvisa da Sanremo 2022. Una ferita che, secondo la produttrice, l’aveva profondamente amareggiata.

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    Ospite a Storie Italiane, Rusic ha rivelato un retroscena inedito su un episodio che avrebbe segnato Eleonora Giorgi: il rifiuto, senza spiegazioni, della sua proposta di condurre una serata del Festival accanto a Ornella Muti.

    «Sembrava tutto fatto, c’erano stati incontri e discussioni. Poi, all’improvviso, Eleonora è stata lasciata fuori senza alcuna motivazione», ha raccontato la produttrice. Un colpo durissimo per l’attrice, già provata dal calo di proposte lavorative.

    Secondo Rusic, quella mancata opportunità fu l’ennesima dimostrazione di come il mondo dello spettacolo spesso dimentichi i suoi protagonisti. «A Eleonora sarebbe bastato anche un piccolo ruolo, un cameo, qualcosa che le permettesse di tornare a respirare l’aria del set», ha aggiunto con amarezza.

    Un appello che risuona come un monito: «Dovremmo essere più attenti e generosi con gli artisti, soprattutto prima che sia troppo tardi». Perché, come conclude la Rusic, essere tagliati fuori dal proprio mondo è una delle prove più difficili da affrontare.

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      Cinema

      Il diavolo veste Prada 2 sbarca a Milano: 2mila comparse cercasi per il sequel più fashion di sempre

      Dall’8 al 16 ottobre la troupe sarà nel cuore della capitale della moda: Meryl Streep, Anne Hathaway ed Emily Blunt tra Quadrilatero e Brera. Casting aperti, ma servono requisiti precisi.

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        Milano si prepara a trasformarsi in set cinematografico internazionale. Dopo Parigi, tocca al Quadrilatero della moda e alle vie del centro accogliere “Il diavolo veste Prada 2”, sequel attesissimo che arriverà nelle sale il 1° maggio 2026. Le riprese in città sono fissate tra l’8 e il 16 ottobre, in una Milano ancora intrisa della polvere di stelle della fashion week (23-29 settembre). Il tempismo non è casuale: la produzione ha scelto di cavalcare l’atmosfera glamour lasciata dalle sfilate per portare sul grande schermo il cuore pulsante della moda italiana.

        E non si parla di comparse qualunque. Per una delle scene clou in Brera serviranno fino a 900 persone, per un totale stimato di 2mila figuranti. Ma i candidati devono avere almeno 30 anni ed essere già attivi nel mondo della moda, del design, della comunicazione o degli eventi. In alternativa, sarà il reparto costumi a occuparsi di trasformarli in degni protagonisti dello stile milanese. L’obiettivo è uno solo: restituire quell’eleganza innata che l’Italia porta sulle passerelle di tutto il mondo.

        Il primo ciak, secondo quanto riportato da Milano Finanza, dovrebbe scattare al RG Showroom. Poi, a cascata, toccherà alle location più iconiche della città. A guidare la carovana delle star sarà ancora una volta Meryl Streep, nei panni della temibile Miranda Priestley, affiancata da Anne Hathaway ed Emily Blunt. Un ritorno che fa già discutere i fan e incendia i social, dove da settimane circolano foto rubate dal set e ipotesi sulla trama.

        Ma di cosa parlerà questo secondo capitolo? Le certezze sono poche, le indiscrezioni invece abbondano. Variety anticipa che al centro della storia ci sarà la crisi dell’editoria cartacea e il ruolo sempre più dominante dei fondi pubblicitari: un tema che vedrà protagonista Emily, il personaggio interpretato da Emily Blunt, alle prese con un nuovo lavoro nel settore. Runway, la rivista simbolo della Miranda Priestley, dovrà affrontare la tempesta della rivoluzione digitale.

        Milano, in questo contesto, diventa molto più di un set: è simbolo e metafora di un’industria che cambia, un palcoscenico in cui moda e cinema si intrecciano fino a confondersi. L’attesa è spasmodica e cresce la curiosità: la produzione riuscirà a ricreare la magia del primo film, entrato nell’immaginario collettivo, e al tempo stesso aggiornare il racconto alla nuova era digitale?

        Per ora resta una certezza: la capitale della moda è pronta a vestirsi di cinema. E chissà se il pavé milanese riserverà ancora qualche imprevisto ad Anne Hathaway, come accadde con il celebre tacco rotto.

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          Teatro

          Rocky Horror Picture Show, 50 anni di scandali e culto globale: il mito che non tramonta mai

          Il film cult del 1975 continua a riempire sale e teatri in tutto il mondo. Travestimenti, mezzanotte e libertà sessuale: la favola rock di Frank-N-Furter e dei suoi seguaci è diventata un rito collettivo.

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            Cinquant’anni e non sentirli. The Rocky Horror Picture Show resta l’unico film capace di trasformare il cinema in un rito pagano collettivo, tra piume di struzzo, corsetti e rossetto rosso fuoco. Uscito nel 1975, accolto con diffidenza dall’America puritana, il musical creato da Richard O’Brien è diventato in mezzo secolo un fenomeno di culto che non conosce confini.

            Su RockyHorror.com c’è ancora la mappa delle proiezioni, segnalate dalle celebri labbra che si mordono: decine di sale in cui ogni settimana, di notte, si replica la magia. Non solo schermo: il pubblico si veste da Brad, Janet, Magenta o Riff Raff, canta a squarciagola, balla il “Time Warp” e inscena battute e movenze sul palco. Un carnevale libertino che anticipò di decenni il dibattito sull’identità fluida e che ancora oggi, per molti, resta il primo manifesto queer mai proiettato al cinema.

            Non è un caso se il cinquantenario si celebra con un ritorno massiccio nelle sale e nei teatri. A Roma e Milano, in autunno, arriveranno nuove versioni live del musical, mentre lo storico cinema Mexico di Milano – che per anni è stato la “casa” italiana del Rocky Horror con le sue leggendarie proiezioni del venerdì notte – valuta di riprendere le maratone settimanali.

            Il mito torna anche grazie a un documentario, Strange Journey: The Story of Rocky Horror, firmato da Linus O’Brien, figlio di Richard. Intervistato da il Venerdì, confessa un’amara verità: «È un po’ deprimente constatare quanto i temi di allora siano ancora rilevanti. Dopo tutti questi anni ci saremmo aspettati più tolleranza. E invece…».

            Eppure il fascino del Rocky Horror sta proprio nella sua eterna attualità. In un mondo che ancora discute di genere, libertà sessuale e diritti, Frank-N-Furter e la sua corte rimangono simboli di ribellione giocosa e liberatoria. A cinquant’anni di distanza, il rito continua: basta un cinema buio, un gruppo di fan e una canzone che dice “It’s just a jump to the left”.

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              Televisione

              Luca Argentero: vent’anni di cinema, l’impegno sociale e la sfida “alcol free” con Sodamore

              Dal successo di Doc al lancio del brand che rivoluziona il bere consapevole. “L’empatia è la mia arma segreta: l’unica che può salvarci davvero”.

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                Vent’anni davanti alla macchina da presa, un personaggio – Andrea Fanti in Doc – che è entrato nell’immaginario collettivo, un impegno costante nel sociale e ora la voglia di mettersi in gioco come imprenditore. Luca Argentero non si ferma. Cerca nuove strade, sfide che abbiano senso. Così è nata Sodamore, prima una bibita, poi un brand, un’esperienza che va oltre il bere: convivialità diversa, “alcol free”, senza rinunciare al gusto.

                «Cercavo una bibita fresca, analcolica, senza zuccheri artificiali, made in Italy, ma sugli scaffali non c’era», racconta. «Così con un amico, oggi mio socio, ci siamo detti: perché non proviamo a farla noi? All’inizio lo avevamo preso come un gioco, ma poi abbiamo capito che era una cosa seria».

                Dalla soda alla birra il passo è stato breve. «La birra era nei nostri piani da subito. La soda è stata solo il punto di partenza. L’obiettivo è costruire una gamma completa: vino, amaro, magari un gin. Tutto rigorosamente alcohol free. Non si tratta di rinunciare, ma di distinguersi senza sentirsi diversi. È anche una sfida culturale, perché in Italia il bere ha un valore identitario».

                Radici piemontesi, un casale in Umbria e un’idea precisa di cucina. «Mio nonno portava mio padre nell’orto, mio padre portava me e ora io ci porto i miei figli. Non compro una bottiglia di olio industriale da vent’anni. È una questione educativa, un modo di intendere la vita: ciò che mangi racconta chi sei».

                Il discorso torna sempre lì: empatia e consapevolezza. «È sorprendente che ci siano bambini convinti che il mais cresca nelle scatolette. La consapevolezza parte dall’educazione. Per me è naturale pensare che la terra ti dia i suoi frutti, ed è quello che cerco di insegnare ai miei figli».

                Argentero viaggia molto, ma resta fedele a questa filosofia. «Paradossalmente, nei luoghi più remoti del mondo è ancora più facile trovare verdure, carne, ingredienti essenziali. Il cibo industriale è quasi sempre una cattiva abitudine».

                Sul futuro di Sodamore ammette: «Siamo quattro ragazzi che nella vita fanno anche altro. Portare i nostri prodotti fuori dall’Italia sarebbe bellissimo, ma servono tempo e risorse. Intanto siamo negli store italiani dell’Antico Vinaio, e vederci lì è già una soddisfazione enorme».

                E in cucina? «So cucinare praticamente tutto, tranne i dolci. Non mi piacciono, quindi non li preparo. Mi diverto con le verdure: una semplice ratatouille può essere un piatto gratificante».

                Quest’anno festeggia vent’anni di carriera. «Andrea Fanti in Doc è il personaggio a cui sono più legato. È come se avessi dato utilità al mio mestiere. Ed è raro». La chiave? «L’empatia. Doc funziona perché parla di questo, ed è il tema del nostro tempo. L’unica cosa che può salvarci».

                Lo stesso spirito che ha dato vita alla Onlus 1 Caffè. «È stata la prima realtà sociale digitale per sostenere le piccole associazioni no profit italiane. Dal 2011 abbiamo aiutato più di 900 realtà, garantendo la trasparenza dei fondi. È qualcosa di cui vado molto fiero».

                Cinema, sociale, impresa: un mosaico che ha un filo comune. La voglia di costruire, di mettere insieme passione e responsabilità. Argentero oggi è tutto questo: attore, padre, imprenditore, testimone di un’idea semplice e radicale. Che la vera forza, alla fine, sia proprio l’empatia

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