Teatro
Un grande ritorno a teatro per Samuela Sardo: tra passato e presente, un viaggio nel mito del tenente Colombo
Samuela Sardo, icona di fiction italiane come “Un posto al sole” e “Orgoglio”, ha incantato il pubblico con un’interpretazione magistrale. Lo spettacolo, adattato dal testo teatrale “Prescription Murder”, esplora un duello psicologico tra astuzia e colpa. Sul palco anche Gianluca Ramazzotti, Pietro Bontempo, Sara Ricci e Nini Salerno, sotto la regia di Marcello Cotugno.
Samuela Sardo, volto amato della televisione italiana e attrice di grande esperienza, ha fatto il suo attesissimo ritorno sul palcoscenico con “Il tenente Colombo”, portando in scena una rivisitazione teatrale del celebre personaggio televisivo. Lo spettacolo, in programma al Teatro Gioiello dal 26 dicembre al 1° gennaio, è stato accolto con entusiasmo dal pubblico, confermando ancora una volta la versatilità e il talento della Sardo.

Un testo teatrale dalle radici profonde
Non tutti sanno che il tenente Colombo, iconico detective televisivo interpretato da Peter Falk, è nato dalla mente di William Link e Richard Levinson per il teatro. Il loro testo, intitolato “Prescription Murder” (in italiano “Prescrizione: assassinio”), debuttò nel 1962 a San Francisco, molto prima che il personaggio diventasse una leggenda televisiva.

Il duello tra Colombo e un brillante psichiatra, che tenta di nascondere un omicidio dietro un alibi apparentemente perfetto, ha mantenuto tutta la sua potenza drammatica anche in questa nuova versione teatrale, resa attuale dalla regia attenta e moderna di Marcello Cotugno.
Samuela Sardo: una carriera che attraversa generazioni
Con i suoi 47 anni, Samuela Sardo ha attraversato con successo decenni di spettacolo, passando con naturalezza dal teatro alla televisione. Bambina prodigio, la sua passione per il palcoscenico nasce nei primi anni ’80, quando, appena cinque anni, si lasciava incantare dalle scenografie finte ma magiche dei set teatrali televisivi.

“Ricordo che restavo sul set anche nelle pause, completamente rapita da quel mondo. Era un gioco, certo, ma anche una scuola di vita. A soli cinque anni, avevo già un senso di responsabilità enorme”, ha raccontato l’attrice, ripensando agli inizi della sua carriera.
Dalla soap opera al grande teatro
Per molti, il nome di Samuela Sardo è legato a “Un posto al sole”, dove la sua interpretazione, a soli diciotto anni, conquistò il pubblico. “Quella esperienza è stata una vera scuola di vita”, racconta l’attrice. “Trasferirmi a Napoli così giovane, lontano dalla famiglia, è stata una prova importante sia sul piano professionale che personale.”
Ma il suo talento l’ha portata ben oltre il piccolo schermo: “Orgoglio”, “Incantesimo” e altre fiction di successo hanno consolidato la sua carriera, fino al ritorno alle origini teatrali con “Il tenente Colombo”.

Una tournée che celebra il mito del detective trasandato
Dopo il successo al Teatro Gioiello, la tournée continuerà in altre città italiane, tra cui Milano, portando il pubblico in un’atmosfera anni ’60 che mescola sapientemente noir e ironia. Accanto alla Sardo, un cast d’eccezione: Gianluca Ramazzotti, Pietro Bontempo, Sara Ricci e Nini Salerno, che hanno dato vita a una storia che esplora i meandri della mente umana e il sottile confine tra il bene e il male.
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Teatro
“La vicina di Zeffirelli” di Gaia Zucchi approda a teatro: una serata di parole, memoria e forza femminile al Manzoni di Roma
Il 18 dicembre alle 21 il Teatro Manzoni ospita un evento speciale con Gaia Zucchi: un racconto intimo e potente che intreccia arte, relazioni e consapevolezza.
In un tempo in cui il racconto pubblico è spesso dominato da parole come “crisi” e “mancanza di opportunità”, c’è chi sceglie di rispondere creando spazi di condivisione, bellezza e riflessione. È da questa esigenza che nasce l’evento in programma mercoledì 18 dicembre alle ore 21 al Teatro Manzoni di Roma (via Monte Zebio 14/C): una serata che porta sul palcoscenico La vicina di Zeffirelli, progetto ispirato all’omonimo libro di Gaia Zucchi.
Per la prima volta, questo racconto approda a teatro trasformandosi in un’esperienza dal vivo che promette di essere “uno spettacolo nello spettacolo”. Al centro, non solo la figura monumentale di Franco Zeffirelli, ma soprattutto lo sguardo di chi lo ha conosciuto da vicino, condividendone momenti, pensieri e silenzi. Un punto di vista privilegiato che evita l’agiografia e restituisce l’umanità di un maestro, colta attraverso il filtro di un’amicizia autentica.
La vicina di Zeffirelli non è un semplice memoir. È piuttosto un viaggio nella vita quotidiana di una donna che, pur immersa in ritmi frenetici e in un mondo che lascia poco spazio alla riflessione, è riuscita a conservare uno sguardo attento sulle persone e sulle relazioni. Gaia Zucchi osserva, ascolta, mette in discussione. Trasforma emozioni fugaci in pensieri strutturati, dando forma a una sorta di breviario contemporaneo: una guida sensibile che invita a rallentare e a riconsiderare il valore dei legami umani.
La presenza di Zeffirelli attraversa l’intero racconto come un filo invisibile ma costante. Non è mai invadente, eppure orienta il percorso narrativo, fino a culminare in pagine dense come il capitolo “Io, Franco e Dio”, dove emergono i tratti di una relazione fondata su rigore morale, spiritualità e rifiuto di ogni adulazione sterile. Un insegnamento che diventa anche argine contro il rischio della disillusione e della depressione, tema quanto mai attuale.
L’evento del Manzoni nasce anche dal desiderio di dare voce a un’energia femminile che, quando si esprime liberamente e in modo collettivo, sa generare cambiamenti reali. Dietro la serata c’è un lavoro corale, lungo e appassionato, fatto di professionalità, dedizione e spirito di squadra. Un esempio concreto di come l’unione possa trasformare un’idea in un appuntamento culturale capace di parlare a tutti.
Il Teatro Manzoni, luogo storico della scena romana, diventa così il contesto ideale per accogliere un racconto che unisce memoria, introspezione e futuro. Una serata pensata per chi ama il teatro, la cultura, ma anche per chi sente il bisogno di ritrovare senso e profondità nelle storie vere.
Il 18 dicembre non è solo una data sul calendario: è un invito a fermarsi, ascoltare e condividere. Il teatro è uno spazio vivo, fatto per incontrarsi. E questa occasione merita di essere vissuta dal vivo.
Venite a teatro: le storie, quando respirano insieme al pubblico, sanno lasciare tracce che durano nel tempo.
Teatro
Fuoco, scandalo e applausi: la Scala apre con “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Šostakovič
Un’opera bandita per decenni, un cast internazionale, una serata da record: la scelta di “Lady Macbeth” rilancia la Scala come palcoscenico di conflitti e bellezza — ma non mancano le ombre.
Come da tradizione, già dalle prime ore del pomeriggio del 7 dicembre decine di manifestanti si sono radunati all’esterno del teatro, dietro le transenne che delimitano gli accessi. Proteste pacifiche — per la pace, contro la guerra — che da qualche anno accompagnano l’inaugurazione della stagione, subito prima che cali il sipario.
Alle 18 in punto è cominciato lo spettacolo: l’opera scelta per inaugurare la stagione 2025-2026 è “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Dmitrij Šostakovič. Un titolo forte, carico di storia e di controversie, capolavoro del Novecento che torna in scena a Milano con una produzione nuova, diretta dal maestro Riccardo Chailly e messa in scena da Vasily Barkhatov.
In sala, tra platea e palchi, si sono stretti politici, imprenditori, star dello spettacolo, giornalisti e rappresentanti dell’alta finanza: un parterre di élite che ha contribuito a trasformare la Prima della Scala in un evento mediatico con eco internazionale.
Un’opera dal passato tormentato
“Lady Macbeth del distretto di Mcensk” debutta nel 1934 a Leningrado: un’opera intensa, coraggiosa, violenta e diretta, ispirata al racconto di Nikolaj Leskov. Nel 1936 una recensione demolitiva sulla rivista ufficiale del regime sovietico — intitolata “Caos invece di musica” — la condanna, e l’opera viene bandita. Per decenni il suo messaggio forte e scomodo resta censurato.
Tornata in repertorio molti anni dopo, la Scala ha scelto di proporre ora la versione originale del 1934: un deciso ritorno alle origini, per rispettare la forza drammatica e la visione originaria di Šostakovič.
Emozioni, applausi… e dibattito
All’uscita del sipario, il pubblico si è alzato in piedi: una ovazione di circa 11 minuti, rara e fragorosa. Niente fischi, né mugugni: solo applausi lunghi, intensi, convinti.
Il soprano protagonista, Sara Jakubiak, nel ruolo di Katerina, ha scherzato: “Domani vado alle terme”, commentando con ironia e sollievo l’impegno titanico richiesto dal personaggio. Una battuta che sdrammatizza ma sottolinea la potenza vocale e drammatica offerta in scena.
Molti i commenti positivi alla regia, all’orchestra, al coro. Per l’assessore alla Cultura del Comune di Milano, l’opera è “potente, drammatica, attuale”: un ritorno di un’opera controversa che apre la stagione con coraggio.
Ma non mancano le voci critiche. Alcuni — come il presidente di una commissione parlamentare — si dicono “perplessi”: ritengono l’allestimento “anti-stalinista” in conflitto con valori come la tutela delle donne, in relazione alla storia della protagonista. Un dibattito che ovviamente prosegue fuori dal teatro, come ogni Prima che decide di osare.
Record e numeri da gala
La scelta della Scala ha già pagato: secondo fonti ufficiali, l’incasso per la serata inaugurale ha superato i 2,8 milioni di euro — il più alto nella storia recente delle Prime scaligere. Un segnale forte: non solo un evento di élite, ma un vero fenomeno culturale e mediatico.
E la trasmissione in diretta su Rai1, Radio3 e RaiPlay garantirà che milioni di spettatori possano assistere a questo momento, amplificando il dibattito sull’opera, sull’arte, sulla storia.
Un’apertura che fa discutere — e riflettere
Questa Prima della Scala non sarà ricordata solo come un evento mondano. La scelta di un titolo dal passato travagliato e politicamente carico è una dichiarazione: il teatro non deve essere solo consolazione, ma anche provocazione, memoria, stimolo al dialogo.
Quando le luci si spengono e il sipario cala, resta la domanda: perché rappresentare ancora oggi un’opera censurata per decenni? Forse perché l’arte, quella vera, ha il potere di tornare a disturbare, a interrogare, a far pensare. E quando lo fa, non è un gesto nostalgico: è un atto di coraggio.
Teatro
La Fura dels Baus torna a Milano: dopo Malaga, lo spettacolo Sons – Ser o No Ser alla Fabbrica del Vapore
Dal 28 novembre al 14 dicembre la Fabbrica del Vapore ospiterà Sons – Ser o No Ser, il nuovo spettacolo de La Fura dels Baus. Un ritorno attesissimo per il collettivo catalano che negli anni ’90 sconvolse Milano con performance al limite tra teatro, installazione e incubo sensoriale.
Decenni fa incendiarono Milano — non metaforicamente, ma nello spirito. Con motoseghe, fuoco, musica industriale e un erotismo disturbante, La Fura dels Baus trasformò la scena teatrale italiana in un rito tribale. Chi c’era ricorda ancora il terrore e la fascinazione di quegli spettacoli dove gli spettatori venivano inseguiti, spruzzati, travolti, catapultati in un delirio tra eros e thanatos.
Oggi, la compagnia catalana fondata a Barcellona negli anni ’80 torna nella città che contribuì a farne un mito. Dopo il debutto a Malaga, dal 28 novembre al 14 dicembre, La Fura sarà alla Fabbrica del Vapore con Sons – Ser o No Ser (Essere o non essere), una riflessione esplosiva e visionaria sull’identità e sul corpo contemporaneo.
Una rivoluzione teatrale che continua
Per chi li ha amati o temuti, La Fura dels Baus è sinonimo di trasgressione e libertà. Hanno scardinato i confini tra palco e platea, tra arte e vita, inventando un linguaggio che mescola teatro fisico, tecnologia, suono e immersione sensoriale.
Il nuovo spettacolo mantiene intatta questa energia: Sons – Ser o No Ser intreccia musica elettronica, coreografie ipnotiche e proiezioni digitali. Al centro, come sempre, il corpo umano — esposto, frammentato, amplificato — in un continuo gioco di dissoluzione e rinascita.
Un cast di nuove leve e vecchie anime furiose
La storica compagnia si rinnova con una generazione di giovani performer che raccolgono l’eredità dei fondatori. “Non volevamo ripeterci — spiegano i creatori — ma restare fedeli alla nostra essenza: spingere il pubblico oltre il comfort, farlo vibrare, farlo pensare con la pelle”.
Milano, la città della memoria e del rischio
Tornare a Milano non è un caso. Qui, negli anni d’oro, La Fura dels Baus costruì un rapporto di amore e paura con il pubblico. Oggi la città ritrova quella stessa compagnia, più matura ma ancora pericolosa, in un luogo simbolico come la Fabbrica del Vapore: spazio industriale, materico, perfetto per la loro poetica.
Chi li ha visti allora sa che non sarà uno spettacolo qualunque. Chi li scoprirà ora, capirà perché da oltre quarant’anni La Fura dels Baus non mette mai in scena una semplice performance, ma un’esperienza totale.
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