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Televisione

“76 coltellate non sono crudeltà?” Mauro Corona esplode in tv: “Giudici, dove vivete?”

Nessuna aggravante per crudeltà nel femminicidio di Giulia Cecchettin: così hanno deciso i giudici nel condannare Filippo Turetta all’ergastolo. Una scelta che ha fatto infuriare Mauro Corona, ospite fisso di È sempre Cartabianca. “La crudeltà l’ha praticata ben prima di ucciderla”, ha detto lo scrittore e alpinista in diretta tv. “Messaggi, minacce, tormenti. Se 76 coltellate non bastano, cos’è crudeltà per la giustizia?”.

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    Settantasei coltellate. Una lunga sequenza di colpi inferti con rabbia, ripetuti, spietati. Eppure, secondo i giudici, non abbastanza crudeli da meritare l’aggravante. È questa la motivazione che ha fatto saltare sulla sedia Mauro Corona, che nel salotto televisivo di È sempre Cartabianca ha scelto di non restare in silenzio di fronte alla sentenza che ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, ma senza riconoscere la crudeltà tra le aggravanti.

    La decisione della Corte ha suscitato sdegno e polemiche. Secondo i magistrati, la reiterazione dei colpi — pur nella sua ferocia — non sarebbe bastata a configurare l’aggravante: “La mera reiterazione dei colpi inferti non può determinare la sussistenza dell’aggravante… se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all’evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a sé stessa”, si legge nella motivazione della sentenza.

    Una frase che, tradotta in parole semplici, significa: non basta uccidere con furia. Bisogna anche dimostrare di averlo fatto con l’intento di far soffrire “per il gusto di farlo”. Come se settantasei coltellate non fossero già, di per sé, una dichiarazione sufficiente.

    A dire ciò che molti pensano è stato Mauro Corona, ospite fisso del talk condotto da Bianca Berlinguer. E stavolta la sua voce non è rimasta un semplice commento di colore: è diventata un grido di indignazione.
    Vorrei dire a questi giudici che la crudeltà l’aveva prodotta molto prima, nei riguardi di Giulia Cecchettin. Filippo Turetta la crudeltà l’aveva praticata ancora prima di ucciderla”, ha affermato con tono accalorato.
    Poi ha aggiunto: “Questo è apparso dai messaggi, dai tormenti che le dava, dalle oppressioni, dalle minacce addirittura. La crudeltà l’ha prodotta anche prima di ucciderla”.

    E infine l’affondo più duro, rivolto direttamente alla Corte:
    76 coltellate e il modo in cui l’ha fatto, spietatamente, in mezzo alla strada… Se non è crudeltà quella, chiedo ai giudici: dove sta la crudeltà?”.

    Parole che non hanno bisogno di sottotitoli. E che aprono una ferita, non solo nella giustizia, ma nel senso comune di un Paese che ancora si interroga su come sia possibile che l’orrore possa avere margini, definizioni e distinguo.

    Perché se la crudeltà deve essere “fine a sé stessa” per essere riconosciuta, forse è il caso di rivedere le definizioni. O almeno, di ascoltare chi non ha paura di chiamare le cose col loro nome. Anche in diretta, anche davanti alle telecamere. Anche quando fa male.

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      Televisione

      Kabir Bedi benedice il nuovo Sandokan, ricorda i suoi giorni eroici e confessa il dolore più grande: “Io, la tigre, e il suicidio di mio figlio”

      Tra orgoglio, nostalgia e ferite mai rimarginate, Kabir Bedi racconta la sua epoca d’oro, i rischi sul set senza controfigure, il successo mondiale e la perdita del figlio Siddharth. Sul nuovo Sandokan: “Ogni epoca ha il suo modo di raccontare un classico”.

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        Per molti italiani, Sandokan ha il volto magnetico di Kabir Bedi. Occhi di tigre, fascino indomabile, sguardo che attraversava lo schermo. E oggi, con il ritorno della Tigre della Malesia in versione Can Yaman e con gli ascolti della nuova serie Rai schizzati alle stelle, il confronto è inevitabile. “Ogni epoca ha il suo modo di raccontare un classico”, dice Bedi, che dalla lontana Londra manda un augurio sincero al collega turco: “Can Yaman è molto bravo e molto bello. A me, al trucco, mettevano solo un po’ di matita…”.

        La leggenda, però, comincia nel 1976. “Noi non avevamo effetti speciali”, ricorda. Eppure quelle scene — il salto della tigre, le cavalcate, i duelli — sono rimaste scolpite nella memoria collettiva. “Nessuna controfigura. Una volta ho rischiato di affogare”, racconta ridendo. Il suo Sandokan nasceva da un set povero ma coraggioso: “Gli operatori erano dietro una grata. Io davanti alla tigre vera. Mi dicevano: ‘Stai tranquillo’. Io rispondevo: ‘Venite voi, allora!’”.

        Quell’interpretazione lo trasformò in una star mondiale, ma il successo portò con sé anche una gabbia dorata. “All’inizio fu ingombrante. Ho dovuto accettare ruoli da cattivo per dimostrare che ero un attore completo”. Eppure l’epopea di Sollima resta irripetibile: “Eravamo bravi ed eravamo amici. Con Philippe Leroy e Adolfo Celi ci sentivamo ancora dopo anni”.

        Poi c’è la ferita che nessuna gloria può cancellare: la morte del figlio Siddharth, suicidatosi a venticinque anni. Bedi non la nasconde, non la addolcisce. “Ho fallito. Non sono riuscito a evitarlo. Non può esistere dolore più grande”. Una confessione che restituisce il volto umano dietro l’eroe televisivo che aveva insegnato a intere generazioni il valore della libertà e della giustizia.

        Il resto è storia. L’arrivo in Italia senza cappotto, i provini massacranti di Sollima (“Mi fecero nuotare, cavalcare, tirare di scherma…”), la Perla di Labuan interpretata da una giovanissima Carole André (“Era molto triste, aveva appena perso il padre”), l’amore del pubblico italiano (“L’Italia è casa mia. Essere nominato Cavaliere della Repubblica è un onore immenso”).

        E oggi, mentre il nuovo Sandokan divide, Bedi resta il punto di riferimento. “Dentro di me, un po’ sono ancora lui”, confessa. E i boomer — quelli che alle figurine ripetevano il salto della tigre — lo sanno benissimo.

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          Televisione

          Nikita Perotti si confessa: il legame con Andrea Delogu va oltre Ballando e diventa un punto fermo nella sua vita

          Tra prove, dolore condiviso e una sintonia che sorprende anche loro, Nikita Perotti parla del sentimento profondo che lo lega ad Andrea Delogu, mentre lei ammette che il loro rapporto sta cambiando e che il futuro, dopo il programma, è tutto da scrivere.

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            Certe intese nascono senza volerlo, altre si costruiscono passo dopo passo. Quella tra Nikita Perotti e Andrea Delogu, coppia di Ballando con le Stelle, sembra un po’ entrambe le cose: spontanea, intensa, inattesa. E negli ultimi giorni è diventata un caso mediatico, complice lo sfogo sincero del ballerino a La Volta Buona.

            «Ci tengo tantissimo ad Andrea», ha detto guardando la telecamera senza cercare riparo. Parole che hanno colpito il pubblico perché suonano diverse dal repertorio “da show”: più intime, più vere. «Mi ritengo fortunato ad averla nella mia vita, mi sta insegnando tanto. Mi sentivo in dovere di starle accanto perché anche io avevo bisogno di lei», ha raccontato, spiegando quanto quella connessione sia diventata un appoggio reciproco.

            Il momento più difficile, inevitabilmente, è stato quello del lutto per il fratello Evan. «È una persona magnifica e farò di tutto, sempre, per farle tornare il sorriso», ha aggiunto. Nessun eroismo: solo la naturale conseguenza di una vicinanza che si è trasformata in presenza.

            Perotti non nasconde nemmeno la componente professionale: «Penso sempre ad arrivare alla vetta, ma per tutto quello che sta facendo Andrea e per quello che ha passato, se lo merita tantissimo». Poi la frase che ha fatto il giro dei social: «Io ho già vinto dal primo giorno in cui l’ho incontrata».

            E Andrea? Lei stessa ha ammesso che qualcosa, dentro quel rapporto, si è spostato. «Non so cosa succederà dopo Ballando», ha confessato. Non è incertezza, è consapevolezza: quando un legame cresce dentro settimane di prove, fatica, pressioni e dolori, è difficile capire cosa resterà a telecamere spente.

            Intanto, però, la conduttrice riconosce a Nikita un ruolo decisivo: «Con lui riesco a sentirmi difesa». Una frase che dice molto più di quanto sembri. Significa fiducia, significa protezione, significa che la competizione televisiva è diventata il luogo in cui due persone, arrivando da strade diverse, si sono incontrate davvero.

            Il resto — definizioni, etichette, previsioni — può aspettare. Per ora resta una certezza: tra un passo di tango e un appoggio improvvisato, la pista di Ballando ha restituito a entrambi più di quanto si aspettassero.

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              Televisione

              Beatrice Luzzi punge ancora Samira Lui: “Bellissima, accomodante… ma con me ha tirato fuori il lato pungente”

              Beatrice Luzzi descrive Samira Lui come una donna splendida e accomodante, ma aggiunge che con lei ha mostrato una parte più tagliente. E sul suo futuro in tv affonda con eleganza: “È perfetta per il tipo di televisione che sta facendo”.

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                Beatrice Luzzi non ha perso la sua inconfondibile schiettezza, e quando il discorso torna su Samira Lui — con cui al Grande Fratello non sono mancati momenti di tensione — la sua analisi è lucida, precisa, tagliente quanto basta. L’attrice riconosce alla modella “una bellezza evidente e un’indole accomodante”, ma poi apre una piccola finestra su ciò che, a suo dire, Samira mostrerebbe solo a pochi.

                «È una donna esteticamente molto bella e accomodante, è difficile che lasci uscire la parte più pungente di sé», dice Luzzi, quasi a voler sottolineare che a molti sfugga un lato più tagliente del carattere della giovane ex Miss Italia. Ma quella parte, racconta, con lei è emersa eccome: «Nei miei confronti l’ha fatta uscire».

                Il riferimento è agli screzi vissuti nella Casa, mai totalmente sopiti, e che oggi Luzzi rilegge con un certo distacco, ma senza alcuna intenzione di edulcorare la memoria. Anzi, la sua chiosa finale sembra una carezza che diventa stilettata: «Credo che per un certo tipo di televisione sia perfetta. Quale? Quella che sta facendo».

                Una frase che dice tutto senza dover spiegare troppo: elegante nella forma, chirurgica nella sostanza. Perché se c’è una cosa che Beatrice Luzzi non ha mai perso, neanche fuori dal gioco, è la capacità di parlare chiaro. E di farlo con un aplomb che, anche nelle critiche, resta impossibile da ignorare.

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