Televisione
Confessioni e supercazzole: da stasera alle 21 Antonella Grippo riporta Perfidia su LaC
Politici in ginocchio, domande impertinenti e giudizi spietati: ecco il menù della nuova stagione di Perfidia, dove nulla è sacro e tutto è spettacolo.
Caustica, ironica, divertita e divertente. Capace di affrontare qualsiasi tema con l’incoscienza sbarazzina di chi ammaestra telecamere e luci della ribalta con la leggerezza di una domatrice di leoni. Torna in tv, a partire da stasera alle 21 su LaC, Perfidia, il talk show più blasfemo, ironico e irrituale della televisione italiana. E come di consueto, al timone del naviglio infernale di Carontiana memoria che sfida le tempeste del mare magnum della tv, c’è sempre lei, Antonella Grippo, biondo nocchiero (o nocchiera?) di un piccolo vascello pirata – pardon, un talk show – che vale la pena di guardare almeno una volta nella vita. Noi di LaCityMag, che adoriamo chi sa fare un cocktail inebriante di ironia e intelligenza, l’abbiamo intervistata per voi. E le sue risposte sono da leggere gustandone il linguaggio, la vis caustica e, a tratti, autoironica.
Perfidia regala una lettura della vita in chiave insolita e, per dirla all’inglese, un po’ spicy. Perché questa scelta?
In realtà io porto in scena la mia visione del mondo, della vita, il mio sguardo verso l’orizzonte. Questa mia creatura televisiva, dagli esordi a oggi, ha cambiato parole e stilemi sottraendosi anche al gioco di qualsivoglia stereotipo. Posso dire che Perfidia è selvaggia e pigra, che si lascia spesso contaminare dall’alchimia teatrale e lirica. Che è sempre stata risolutamente anarchica. Scorre così, come la vita, profonda e lieve, insonne e pigra, ritmica e malinconica. Beffarda, antipatica e popolare al tempo stesso.
Rigorosa e dura come i quattro quarti dello spartito musicale degli AC/DC, che da sempre rappresenta la sigla del mio show. Ma allo stesso tempo è lieve e tenera. Posso dire che spesso questa mia trasmissione sfugge persino al canovaccio che vorrei cucirle addosso, si ribella alla prigionia della scrittura, della sceneggiatura, che viene scientificamente disattesa. Forse è proprio per questo che io la amo molto. Le riconosco una sua insolente innocenza.
Come convinci i tuoi intervistati a raccontarti i loro peccati?
Li convinco dicendo che il “confessore” non sarò io, ma che dovranno vedersela con Sua Santità El Diablo – che in realtà è il mio doppio – in modo che, in qualche misura, si presentino all’inginocchiatoio con maggiore tranquillità. Dico loro anche che, quando si tratterà di emettere una sorta di giudizio, sicuramente si farà sempre ricorso alle indulgenze plenarie.
C’è qualcuno che ti ha lasciato a bocca aperta?
No, devo dire che nessuno mi ha veramente sorpreso. Nessuno mi ha lasciato a bocca aperta perché mentono tutti con rara imperizia. Mentono in modo assolutamente non scientifico e sparano bugie davvero senza criterio. Il tutto senza una vera capacità di infinocchiarti, perché sono così scontati… Ti faccio un esempio: quando io chiedo se abbiano mai fornicato, la maggior parte di loro, non conoscendo il senso del verbo “fornicare”, si guarda intorno disorientata e tace.
Chi è stato il più interessante?
Non ho memoria di particolari guizzi, devo dire che sono stati tutti nella media. Matteo Salvini, però, è stato l’unico che si è sottoposto alla tortura della liturgia blasfema dell’inginocchiatoio senza protestare e senza addurre motivazioni che gli impedissero di confessarsi. Era il 2019 e fu un momento indimenticabile: Salvini elaborò appositamente per Perfidia una tesi originale sul “celodurismo” leghista… che ora non c’è più!
Chi ti ha raccontato il peccato più grande?
Matteo Renzi, direi. Interrogato a proposito dei suoi peccati, ha dichiarato pubblicamente di avere particolare consuetudine con l’arroganza. Dopodiché, alla domanda successiva relativa all’impiego dell’Istituto della confessione, ha sostenuto che in realtà il pentimento – essendo una abitudine tipica dei cattolici e relativa soprattutto all’attività spirituale – non può essere reso in politica. Essendo una sorta di risarcimento per i peccati commessi, è una cosa che si riferisce alla dimensione spirituale e, in politica, ha scarsa efficacia!
Se tu dovessi fare una classifica dei peccati capitali, quale metteresti come più comune?
Direi l’invidia. Perché pur vivendo in clandestinità e abitando gli anfratti del sottosuolo dell’anima, è un demone di rango. Non ha grandi capacità di affabulazione, né si lascia preludere da minacce. Di rado intrattiene consuetudine con le parole, anzi. Spesso le sgozza perché non tramino contro il buio silente in cui il mostro dimora. Questo è un vizio capitale che si muove guardingo, in cattività, dietro mimiche e pallori difficili da scovare. Del resto è il sentimento meno scenico… Tra i vizi capitali è quello più perfido, direi, e più incline alla mimesi.
Hai intervistato tutti i grandi politici italiani, che idea ti sei fatta della politica oggi?
Se penso ai giganti della politica della Prima Repubblica, rischio di lasciarmi attraversare da un languido sentimento di nostalgia. Mi riferisco al tratto decisionista di Bettino Craxi, che a Sigonella diede un calcio nel sedere agli americani. Come dimenticare poi “l’equidistanza attiva” di Aldo Moro rispetto al conflitto arabo-israeliano dell’epoca. Oggi, invece, il Paese sconta una sorta di “sindrome da ballatoio”. In politica estera, siamo in balia del provincialismo, del contenzioso condominiale. Manca la visione.
Avrai comunque una tua idea sul panorama politico italiano…
La politica ha smarrito la sua identità già dall’inizio degli anni ’90, all’epoca di Tangentopoli, quando il primato della politica migrò verso altri poteri. Quello della magistratura, quello dell’editoria o dell’alta finanza. Da allora l’attore giudiziario, i pubblici ministeri in particolare, ha spesso travalicato i confini e il perimetro di sua pertinenza. Ecco, la politica ancora oggi è sotto scopa rispetto alla magistratura. Continua per alcuni versi a coltivare una sorta di atteggiamento di sudditanza, di timore. Ed è necessario che si torni alla tripartizione dei poteri originale. La cosa più triste, poi, è che ad essere sotto scopa è gran parte della sinistra italiana.
Una delle tue interviste storiche è quella a Silvio Berlusconi. Ce la racconti?
Lo intervistai nel 2014, ad Arcore. L’intervista doveva durare dieci minuti, poi è durata circa un’ora. Si è rivelata una fantastica ricognizione storica e antropologica delle vicende di Forza Italia. Ma voglio raccontare un aneddoto molto divertente: ai tempi Silvio Berlusconi era ad Arcore perché affidato ai servizi sociali dopo la nota condanna. Da tutta Italia arrivarono giornalisti per intervistarlo. A fine giornata eravamo rimaste in due, io e un’altra collega del Friuli Venezia Giulia.
Quando entrai nello studio, Berlusconi, che aveva la lista di tutti i giornalisti che doveva incontrare, mi guardò e disse: “Finalmente è arrivata la nostra giornalista del Friuli”. Insomma, fu mandato fuori pista dalla mia statura, dai capelli biondi, dagli occhi chiari… Gli risposi di botto: “Presidente, non sono del Friuli Venezia Giulia, sono calabro-campana. E lei deve rivedere l’antropologia femminile meridionale, perché non siamo tutti con il velo in testa e con i baffi!”. La cosa più divertente era che la collega del Friuli, al contrario, aveva tutt’altri colori e fisicità e quindi, secondo Silvio, poteva rientrare molto più di me nell’antropologia meridionale. Dopodiché ho avuto l’impressione di un uomo diretto, spontaneo, empatico, immediato e senza particolari filtri.
Chi ti piacerebbe intervistare e non sei mai riuscita a raggiungere?
Sicuramente Vladimir Putin, per dragare la palude della sua psiche particolarmente interessante. Dico chi non vorrei mai intervistare, al contrario. Anche se dubito che ne avrei mai la possibilità: Bergoglio, il Papa… Spesso dispensa a piene mani luoghi comuni e non dice mai nulla di sacrilego, impegnato com’è nel cimentarsi in un’evangelizzazione caramellosa. Ecco, Bergoglio è una sorta di “banalino di coda”. Che non intervisterei mai.
Chi ti sei pentita di aver intervistato?
Non lo posso dire, altrimenti poi non torna più a Perfidia. E siccome è un esponente del PD, vorrei tornare a intervistarlo, anche se ogni volta faccio una fatica… Con quelli così non si cava un ragno dal buco. Niente nomi, quindi, dico solo che è uno politicamente moscetto. Non intervisterei più neanche molte donne del panorama politico italiano… Non le trovo interessanti. Continuano a reiterare la solita storia della corporazione delle donne, la sorellanza, la solidarietà in nome della “patonza”. Io non solidarizzo. E ti dico che sono davvero pochissime le donne interessanti della politica che mi è capitato di intervistare. Perché sotto sotto c’è sempre il romanzetto di Liala…
A chi faresti altre domande se potessi riaverlo davanti?
Gianfranco Fini! Ci sono dei nodi irrisolti nella sua storia politica, nella sua vicenda umana. E perché ebbi modo di intervistarlo tantissimo tempo fa, all’epoca della svolta di Fiuggi. Vorrei capire di più di lui, perché lo giudico un politico dall’identità composita e dalle innumerevoli contraddizioni.
Il più divertente? Il più noioso? Il più bello? Il più antipatico?
Il più divertente, devo dire, Calenda. A tratti sembra antipatico, invece non lo è. Bertinotti anche, è molto spiritoso. Il più figo è sempre lui, Pier Ferdinando Casini, l’a priori democristiano per antonomasia. Il più noioso è sempre quello del PD politicamente moscetto di cui sopra. Il più antipatico? No, devo dire che particolarmente antipatici non ne ho intercettato. Forse una signora della Lega… però anche qui niente nomi, altrimenti poi si offende e non torna più. E a me serve come l’aria avere qualcuno della Lega che faccia spettacolo.
Cosa troveremo nella nuova stagione di Perfidia?
Come di consueto, impiegheremo tutto il registro della contaminazione dei generi. Da noi si passa da Gigi D’Alessio e Tiziano Ferro all’esplorazione dei Testi Sacri, dall’economia politica alla letteratura. Insomma, dalla cultura popolare stricto sensu a quella più aristocratica. Perfidia è una sorta di latitudine in cui c’è il diritto di cittadinanza per qualunque accento, artistico e non. Quest’anno, per esempio, ho pensato di inaugurare l’X Factor della politica e anche una sorta di Temptation Island.
Ci sono tre rubrichette. Una l’abbiamo già inaugurata la scorsa edizione, si chiama Sputanellum Quiz, ma non ti posso dire di più altrimenti i miei ospiti poi si organizzano. L’altra è la lavagnetta. Poi c’è Supercazzole e affini, in cui riproporremo al pubblico le esternazioni più improbabili dei politici italiani, avendo cura di sottolinearne anche eventuali errori grammaticali o sintattici. Quindi molta musica, molto ritmo, domande incalzanti come al solito. E soprattutto il solito vizio antico di Perfidia, che consiste nell’accogliere tutte le espressioni dello spettacolo, in modo che la politica sia confezionata come un messaggio lieve, ma al tempo stesso profondissimo.
Cosa cambia rispetto al passato?
Vorrei rendere ancora più contundente l’arma dell’ironia, che non è mai abbastanza. E soprattutto quella dell’autoironia, perché anch’io mi sottoporrò alla liturgia blasfema dell’inginocchiatoio. Bisogna saper ridere di sé stessi, in fondo sono solo canzonette. E c’è poco da prendersi sul serio. Da tempo ho smesso di voler cambiare il mondo come quando ero una ragazzaccia di Lotta Continua e credevo veramente di poter incidere con la mia generazione in qualche svolta storica. Adesso sono sicuramente più follemente saggia. Vado in tv e faccio la tv, penso e premedito una trasmissione come Perfidia perché alla fine mi diverto. Vorrei sgretolare il totem del giornalismo impegnato, che deve orientare la società, addomesticare le coscienze. Io voglio solo divertirmi e divertire il pubblico senza sentirmi e atteggiarmi come una sorta di sacerdotessa delle anime.
Cosa ti aspetti dal futuro?
Pur essendo una maniacale e meticolosa pianificatrice della mia vita, non riesco a guardare in prospettiva. Spero di riuscire a conservare anche nel futuro l’immagine di quella ragazzina tredicenne a cui il papà ingiungeva la visione, ogni giovedì sera, della tribuna politica. Ricordate le vecchie tv in bianco e nero? Vorrei continuare a essere quella ragazzina curiosa, che non è mai in realtà uscita da quel soggiorno. Quella che all’epoca mi sembrava una costrizione inflittami da mio padre si è rivelata invece il mio gioco preferito.
Vorrei aggiungere un’ultima chiusa per ringraziare la Presidenza nella figura del presidente Domenico Maduli e la Direzione di LaC Network, la dottoressa Maria Grazia Falduto, che mi hanno non solo supportato ma anche lasciata completamente libera di esprimere il mio estro e il mio lavoro nei modi che ho scelto nella più totale autonomia decisionale.
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Televisione
Loretta Goggi ricorda le “Kessler italiane”: «Io e Daniela non eravamo come loro, ma ci scherzavamo. Il mio desiderio? Andarcene insieme»
Loretta Goggi racconta con delicatezza il rapporto con la sorella Daniela e il paragone con le gemelle Kessler: «Non avevamo nulla di loro, né fisicamente né artisticamente». Poi la confidenza più intima: «Vorrei andarmene insieme a lei, ma non lo procurerei io: siamo cattoliche praticanti».
Loretta Goggi non ha mai avuto paura di mostrarsi per quella che è: un’artista vera, una donna dalla carriera gigantesca e un cuore saldamente ancorato alla famiglia. In una recente intervista ha parlato del legame con la sorella Daniela, compagna di vita e di palcoscenico, ricordando quel vecchio soprannome che le seguiva ovunque: “le Kessler italiane”.
Il paragone con le Kessler
«In realtà non avevamo nulla di loro, né fisicamente né artisticamente», ha ammesso sorridendo. Un’etichetta affibbiata più per la complicità e la presenza scenica che per una reale somiglianza. «Ne abbiamo riso insieme», racconta. E non manca l’omaggio: «Le abbiamo sempre stimate moltissimo». Le Kessler sono state simbolo di un’epoca televisiva elegante e luminosa, ed è naturale che chiunque arrivasse in quel mondo venisse misurato anche su di loro.
Daniela, l’altra metà del suo mondo
Tra Loretta e Daniela il rapporto è rimasto intatto negli anni, anzi si è rafforzato. Le due sorelle hanno attraversato insieme successi, dolori, reinvenzioni, e sono rimaste una famiglia granitica anche quando la vita ha tolto e aggiunto senza preavviso. «Siamo sempre state unite», ripete Loretta in molte interviste. Una simbiosi che non riguarda soltanto il lavoro ma la quotidianità, il sostegno, il prendersi cura l’una dell’altra.
Il desiderio più intimo: “Andarcene insieme”
È qui che arriva la frase più forte, detta con una tenerezza che spiazza: «Il mio desiderio nascosto sarebbe che succedesse lo stesso anche a noi: andarcene insieme». Una confessione sincera, che però Loretta accompagna con un chiarimento fondamentale: «Ma non lo procurerei io. Siamo cattoliche praticanti, togliersi la vita non lo contempliamo». Nessun dramma, nessuna ombra cupa: solo l’immagine di due sorelle inseparabili che, dopo una vita vissuta fianco a fianco, immaginano un epilogo altrettanto condiviso.
È il ritratto di una donna che non teme di parlare d’amore, di fede, di fragilità e di vita vera. Una che ha fatto la storia della tv italiana e che, ancora oggi, trova il modo di commuovere semplicemente raccontando ciò che ama di più: la sua famiglia.
Televisione
Carolyn Smith punge gli altri giudici di Ballando: «Io tecnica pura, loro giudicano il personaggio. E a volte dicono cose strampalate»
Carolyn Smith rivendica il suo approccio tecnico a Ballando con le stelle e confessa che, contrariamente alle aspettative, non è lei la più severa: «So quanto è dura preparare un ballo ogni settimana, perdono molto». Poi la frecciata: «A volte sento giudizi strampalati, ma non polemizzo».
Carolyn Smith torna a mettere i puntini sulle “i”. Niente nomi, nessun attacco diretto, ma una frecciata elegante e affilata quanto basta. La presidente di giuria di Ballando con le stelle ha spiegato ancora una volta qual è il suo metodo e perché — secondo lei — non va confuso con quello degli altri giudici.
Solo tecnica, niente personaggi
«Io resto nei limiti della tecnica. Gli altri giudicano anche il personaggio», ha dichiarato, lasciando intendere che la sua valutazione non viene influenzata da simpatia o notorietà del concorrente. Un modo per rivendicare la sua posizione di professionista del ballo, che da anni è il riferimento principale per chi cerca un giudizio “puro”, lontano dalle dinamiche di show.
“La più severa? Macché, è il contrario”
Carolyn ha poi ribaltato un luogo comune: «La gente si aspetta che io sia la più severa. Invece succede il contrario». Conoscendo la fatica dietro ogni coreografia settimanale, spiega, tende a perdonare molto più degli altri. Chiunque abbia messo piede in sala prove, sembra dire, sa perfettamente quante ore, quante correzioni e quanta pressione ci siano dietro un minuto e mezzo di esibizione.
Giudizi “strampalati”, ma zero polemiche
Il passaggio che ha fatto rumore, però, è un altro: «A volte, dai colleghi sento dire dei giudizi strampalati, ma non polemizzo mai». Una frase breve, chirurgica, capace di aprire mille interpretazioni senza mai citarne una. Carolyn preferisce non buttare benzina sul fuoco: «Ognuno ha diritto alle proprie idee», dice. Ed è proprio questa calma, quasi britannica, ad averla resa una delle figure più rispettate del programma.
In un’edizione in cui tensioni, rivalità e polemiche brillano quanto le paillettes dei costumi, la presidente della giuria continua a essere l’equilibrio della pista. Anche quando tira una frecciatina, riesce a farlo con la grazia di un passo di rumba.
Televisione
Uomini e Donne, Gemma Galgani perdona Mario e balla con lui: lo studio esplode tra accuse, polemiche e applausi
Gemma Galgani e il cavaliere Mario si riavvicinano dopo settimane di incomprensioni: un ballo scatena la bufera in studio. Tina Cipollari e Gianni Sperti lo accusano di cercare visibilità, altri cavalieri lo attaccano, mentre Gemma difende il gesto: “È stata una cosa carina”.
A Uomini e Donne basta poco per far partire un incendio, e questa volta a scaldare l’atmosfera ci ha pensato Gemma Galgani. Dopo un ballo inaspettato con Mario, Maria De Filippi ha colto al volo l’occasione per chiedere conto dell’avvicinamento. Gemma, serena come non la si vedeva da tempo, ha confermato: «Abbiamo ballato insieme… abbiamo fatto la pace». Una frase semplice che ha fatto rumoreggiare l’intero studio. «Cosa c’è di male?», ha replicato lei, pronta a difendere il momento.
Il ritorno di fiamma (televisiva) che divide lo studio
La pace tra i due non è piaciuta agli opinionisti. Gianni Sperti è stato il primo ad affondare: «Questa non è una balera…». A ruota è intervenuta un’altra dama, convinta che il cavaliere avesse giurato di non voler più creare equivoci con Gemma. Ma lo scontro più acceso è arrivato da un altro cavaliere, che ha puntato il dito su Mario con una frase che ha infiammato la sala: «Credo siano finite le macchine dell’autosalone e quindi ti riattacchi a Gemma per visibilità». Il pubblico ha applaudito a scena aperta.
Gemma si difende, Tina attacca
Lei però non si scompone: «È stata una cosa carina… non c’è niente di tutto questo». Ma Tina Cipollari, tornando dal suo recente affondo contro Gemma durante l’ospitata a Verissimo, non gliela fa passare: «Lo sai benissimo che ballando con Gemma avresti suscitato polemiche. E l’hai detto anche a Renata che non volevi ballare con lei per evitare fraintendimenti».
Le spiegazioni di Mario: “L’ho vista in difficoltà”
Mario ha tentato di respingere gli attacchi spiegando il motivo reale del gesto: «L’ho vista avvilita quando Piero ha fatto quell’uscita. Avrei voluto abbracciarla, ma mi sono trattenuto. Oggi l’ho fatto. Che c’è di male?». Gesto nobile o strategia di visibilità? Lui assicura di non provare interesse sentimentalmente, ma il parterre resta diviso.
A Uomini e Donne, come sempre, basta un ballo per far scoppiare una rivoluzione.
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