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Televisione

Lucio Presta svela tutto: Amadeus e Stefano Di Martino nel mirino! E assicura: “Tornerà il tempo della D’Urso!”

Il noto manager dei vip, Lucio Presta, svela segreti e tensioni nel mondo dello spettacolo italiano al Festival della Tv di Dogliani. Dai retroscena con Amadeus alle dure parole su Stefano Di Martino, fino alle previsioni sul ritorno di Barbara D’Urso in televisione, le sue dichiarazioni scuotono il gossip nazionale. Imperdibile!

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    Lucio Presta, noto manager dei vip, si è lasciato andare a rivelazioni scottanti al Festival della Tv di Dogliani, parlando apertamente del rapporto ormai incrinato con Amadeus e delle sue opinioni su Stefano Di Martino.

    La questione Amadeus

    “Amadeus ha fatto qualcosa che non si fa nemmeno al peggior nemico,” ha dichiarato Presta. “A Capodanno, nella mia terra, in Calabria, ha detto: ‘Presta sa quello che ha fatto’. È stato un colpo basso, inaccettabile. Io stimo moltissimo Amadeo dal punto di vista personale, ma questa volta ha davvero esagerato. Volevo solo chiarire come stavano le cose, rispettando tempi e modi. Lui, invece, ha deciso di buttare fango senza motivo.”

    Stefano Di Martino: fiducia tradita?

    Ma i commenti di Presta non si fermano qui. Il manager ha poi rivolto la sua attenzione a Stefano Di Martino, che ha recentemente firmato un contratto pluriennale con la Rai. “Chi tradisce una volta, tradisce sempre,” ha sentenziato Presta, lasciando intendere che non nutre grande fiducia nei confronti del ballerino e conduttore. Le sue parole lasciano intendere che ci siano stati episodi di cui il pubblico non è a conoscenza, che hanno minato il rapporto professionale tra i due.

    La controversia con Heather Parisi

    Presta non ha risparmiato nemmeno Heather Parisi, raccontando di una vicenda che lo ha profondamente ferito. “Heather ha dovuto sborsare una somma ingente come risarcimento per una condanna per diffamazione,” ha spiegato. “Una mattina ha postato una foto con la mia ex moglie Emanuela Contessi, che nel frattempo era deceduta, accompagnata da una didascalia che ho ritenuto diffamatoria. Mi ha fatto molto male perché Emanuela non poteva ribattere.” Questa rivelazione aggiunge un ulteriore strato di tensione nel già tumultuoso mondo dello spettacolo.

    Il ritorno di Barbara D’Urso?

    E per concludere, una previsione intrigante che farà parlare molto: Presta prevede un ritorno in tv a breve per Barbara D’Urso. “Tornerà il tempo di Barbara, troppo presto dire però su quale canale,” ha accennato, lasciando intendere che ci sono movimenti dietro le quinte che potrebbero riportare la regina del talk show sul piccolo schermo.

    Il mondo dello spettacolo italiano è in fermento, e le dichiarazioni di Lucio Presta non fanno che aumentare la curiosità e l’aspettativa. Rimanete sintonizzati, perché ne vedremo delle belle!

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      Televisione

      40 anni di Quelli della Notte: la meglio gioventù della televisione che fu

      Renzo Arbore racconta la genesi dello show che cambiò per sempre la TV italiana, debuttando il 29 aprile 1985. Un programma irripetibile, fatto di voci sovrapposte, nonsense, provocazioni e cultura pop. Capace di diventare cult in appena 32 puntate.

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        «L’idea di questo esperimento mi venne pensando al caos delle riunioni di condominio, ma anche alle conversazioni scombiccherate di noi nottambuli», confessa Arbore. Nessuna sceneggiatura, solo intuizione, ritmo e improvvisazione. Una jam session della parola, come le jam session del jazz, dove tutto è lecito e ogni voce trova il suo spazio. Un salotto volutamente disordinato, che ironizzava sulla forma e sul contenuto.

        Personaggi iconici: da Ferrini a Catalano, da Marchini a D’Agostino

        La forza dello show stava nei suoi protagonisti, caricature geniali nate da esperienze reali. Maurizio Ferrini era il “comunista romagnolo” che s’inventò il muro di Ancona, una satira ante litteram sulla divisione Nord-Sud. Simona Marchini, con i suoi gossip telefonici, fu la prima a portare il pettegolezzo in TV. Roberto D’Agostino, invece, introdusse il pubblico all’edonismo reaganiano e alle letture di Milan Kundera, anticipando il trionfo della tuttologia.

        Poi c’era Nino Frassica, alias frate Antonino da Scasazza, con la sua comicità surreale e “swingata”. Massimo Catalano, filosofo dell’ovvio, incarnava il trionfo dell’aforisma banale. Riccardo Pazzaglia, invece, recitava il ruolo dell’intellettuale sconfitto, in un perenne confronto con la banalità dilagante. Marisa Laurito cercava Scrapizza, l’amore assente: una moderna Penelope della commedia televisiva.

        Andy Luotto e la censura Andreottiana

        Tra le storie più emblematiche, quella di Andy Luotto, l’arabo ispirato da un viaggio in Giordania. La sua interpretazione, amata da molti ma criticata da alcuni ambienti arabi, portò persino a un intervento diplomatico. «Un vicedirettore Rai mi telefonò e disse che era stato chiamato da Andreotti a nome del re di Giordania». E così il personaggio fu cancellato.

        L’eredità di Quelli della Notte e la TV di oggi

        Arbore osserva la TV contemporanea con un certo disincanto. «Guardo la televisione improvvisata nella sua versione seria: i talk politici, dove ognuno dice la sua». Ma la magia di Quelli della Notte resta unica, irripetibile: un laboratorio creativo che ha trasformato il linguaggio televisivo, anticipando i meme, le dirette social, l’ibridazione dei generi.

        Dopo 4 decenni è ancora un cult

        Quelli della Notte non è stato solo un programma: è stato uno specchio deformante del Paese, un circo della parola che ha saputo raccontare l’Italia con ironia e lucidità. Quarant’anni dopo, la sua lezione di libertà espressiva e improvvisazione rimane intatta. Una rivoluzione notturna che ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva.

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          Televisione

          Chef Cracco: lasciare Masterchef? E’ stata un’ottima scelta

          Basta con i talent, lo chef vicentino è tornato con grande entusiasmo a pieno regime in cucina. Unica disgressione su Prime Video con Dinner Club, che però è un programma di intrattenimento vero.

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            Quando si dice Carlo Cracco si pensa alla tv. Ancora meglio… a Masterchef, il talent show culinario di cui è stato giudice per le prime sei stagioni nell’edizione italiana. Poi, nel 2017, l’addio a sorpresa. Che oggi giudica positivamente: «È stata un’ottima scelta», ha confessato al podcast Passa dal Bsmt di Gianluca Gazzoli. «Sono tornato a quello che mi piace di più», cucinare.

            Ora al volante di Dinner Club

            Anche se il piccolo schermo è rimasto nel cuore del cuoco vicentino, che infatti dal 2021 è tornato sul piccolo schermo con Dinner Club, un programma di Prime Video in cui lo chef viaggia per tutta l’Italia alla riscoperta delle tradizioni più autentiche, in compagnia di ospiti vip: «La tv mi piace sempre. E Dinner Club non è un programma di cucina, ma intrattenimento».

            La genesi del suo personaggio da critico intransigente

            Come si diventa giudici di Masterchef? Il racconto di Carlo Cracco che risponde a questo questito è piuttosto singolare, anche perché ci svela l’origine del suo personaggio da giudice severo e intransigente. «Masterchef lo conoscevo già perché all’estero era molto conosciuto, però da noi nessuno ci credeva più di tanto», ha raccontato ricordando del suo provino nel 2011. «Mi misero davanti una ragazza, che era una segretaria, con un cannolo siciliano e mi dissero: prova a giudicare. In fondo alla stanza avevo gli autori e pochi altri. E io ho pensato: se faccio quello gentile forse mi prendono, per cui faccio l’opposto, faccio il maleducato. Comincio a essere duro, ci sono andato giù pesante». La reazione dei produttori è inaspettata: «Ho alzato gli occhi e ho visto la gente esultare. Alla fine sono uscito e mi hanno detto: “Preso”. Poi abbiamo iniziato».

            L’obiettivo era di lanciare qualche talento con Hell’s Kitchen

            Da lì il personaggio si cristallizza: «Cercavo di autogiustificarmi, nel senso che cercavo di essere corretto ma di tenere il punto». L’obiettivo, però, era chiaro: «Mi interessava che qualcuno venisse fuori». E in quest’ottica le maggiori soddisfazioni le ha ricevute da Hell’s Kitchen, altro talent culinario: «Il vincitore della prima edizione (Matteo Grandi, ndr), per esempio, possiede una stella Michelin. Ci sono tantissimi ragazzi di quelli che sono usciti da lì che hanno posizioni importanti», ha aggiunto con orgoglio.

            Tutta finzione

            «A Hell’s Kitchen era divertente, era completamente finto. Delle volte ridevo della mia cattiveria». Infatti, come ha ben spiegato, in cucina alla fine non c’è mai cattiveria: «Si può essere severi al massimo, ci può essere durante della tensione durante il servizio. Ma poi pensi a recuperare e cerchi di aiutare. Magari il linguaggio è duro ma ci si ferma lì».

            La fama difficile da gestire

            Da Masterchef e dalla cucina è arrivata la fama, una brutta bestia «difficile da gestire»: «Cerchi di venirne fuori, ci ho messo un po’». Ma dalle stelle si può sempre cadere, come ha fatto lo stesso Cracco che nel 2021 quando ha perso una stella Michelin: «Perderla fa parte dell’esperienza, è sempre formazione. Però non è che abbandoni il tuo lavoro, anzi, lo fai ancora meglio». Il segreto è «essere convinto di quello che fai. Se viene bene, se non viene è uguale». Anche perché Masterchef ormai è un ricordo lontano: «Ormai per me non è più una gara. Tu devi lavorare perché sai lavorare bene e puoi servire come esempio per i ragazzi che lavorano con noi»

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              Televisione

              Il capitolo conclusivo di Squid Game 3 chiude nel segno del sacrificio

              Squid Game 3 segna il punto di arrivo di una delle narrazioni più sconvolgenti e innovative della TV contemporanea. La terza e ultima stagione della serie coreana creata da Hwang Dong-hyuk è un concentrato di tensione, violenza simbolica e dramma etico. Sei episodi intensi, ambientati in un’arena sempre più spietata, che chiudono la trilogia con coraggio e profondità, portando il pubblico davanti a una domanda cruciale: fin dove siamo disposti a spingerci per sopravvivere, e a quale costo?

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                La narrazione riparte da dove si era interrotta: Gi-hun (Lee Jung-jae), il protagonista assoluto della saga, è di nuovo nel gioco. Ma non è più lo stesso uomo. Non cerca la vittoria: cerca vendetta, redenzione, giustizia. I giochi si fanno più crudeli e simbolici, mentre nuove figure – tra cui la determinata Jun-hee (Jo Yu-ri) e l’enigmatica Geum-ja (Kang Ae-shim) – portano il peso di drammi personali e morali. Il Front Man (Lee Byung-hun), sempre più figura tragica, si scontra con la determinazione di chi ha perso tutto. Il risultato è una tensione crescente che esplode in un epilogo dal sapore agrodolce.

                Il cuore della stagione? Le scelte morali

                In Squid Game 3 non ci sono eroi, né cattivi assoluti. Solo esseri umani spinti al limite. La terza stagione rinuncia all’effetto sorpresa per concentrarsi sull’interiorità dei personaggi: ogni prova, ogni dialogo, ogni morte serve a esplorare la fragilità della dignità umana. Il regista abbandona la pura spettacolarizzazione della violenza per mettere in scena una riflessione disturbante sulla libertà, il potere e la colpa. Un messaggio chiaro: quando il gioco si fa mortale, la vera sfida è non perdere se stessi.

                Interpretazioni potenti e personaggi finalmente sfaccettati

                Tra i maggiori punti di forza della stagione finale c’è la qualità delle interpretazioni. Jo Yu-ri offre un’intensa performance nei panni di Jun-hee, trasformando il suo personaggio in una figura di resilienza e coraggio. Ma è Kang Ae-shim, nei panni di una madre in cerca di perdono, a regalare il momento più toccante dell’intera trilogia. Anche i personaggi più ambigui, come Myung-gi (Im Si-wan) e Nam-gyu (Roh Jae-won), ricevono un trattamento narrativo maturo, che li rende verosimili, imperfetti, dolorosamente umani.

                Un’eredità difficile da dimenticare

                Con questa terza stagione, Squid Game si conferma come una delle opere più coraggiose mai prodotte da Netflix. La serie chiude il suo arco narrativo senza cedere alla facile spettacolarizzazione e scegliendo invece una conclusione etica e coerente. La trilogia si trasforma così in una parabola tragica sulla natura umana, destinata a lasciare il segno nel pubblico e nella cultura pop.

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