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Televisione

Marco Giallini e il ritorno di ACAB: tra conflitti, divise e umanità nascosta

Il regista Alhaique svela le sfide di raccontare la complessità umana dietro le divise. Marco Giallini, protagonista, si allontana dal personaggio del film, mentre Stefano Sollima riflette sul valore delle domande senza risposta.

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    Torna ACAB e lo fa in grande stile. Dopo il film del 2012, tratto dal romanzo di Carlo Bonini, arriva su Netflix la serie in sei episodi diretta da Michele Alhaique. Con un cast d’eccezione e la produzione di Cattleya, la nuova incarnazione promette di esplorare ancora più a fondo il mondo delle squadre mobili, mostrando il confine sottile tra il dovere pubblico e le fragilità private.

    Un’eredità importante
    «Con Stefano Sollima avevamo un conto in sospeso», confessa Riccardo Tozzi, fondatore di Cattleya, riferendosi al film uscito più di un decennio fa. «Il progetto partì benissimo, ma fu interrotto da un evento raro per Roma: una tempesta di neve. Oggi possiamo finalmente riprenderlo e dargli una nuova vita».

    Il regista Stefano Sollima, ora produttore esecutivo, sottolinea il cuore della narrazione: «Non si tratta di imporre un pensiero al pubblico, ma di accompagnarlo in un viaggio, ponendo domande complesse. Le risposte non sempre ci sono, ma è proprio questo a rendere interessante l’approccio».

    Protagonisti e complessità
    Al centro della serie c’è una squadra del reparto mobile di Roma, composta da Ivano “Manzinga” Valenti (Marco Giallini), Michele Nobili (Adriano Giannini), Marta Sarri (Valentina Bellè) e Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante). Ogni personaggio porta con sé un bagaglio di conflitti interni e contraddizioni.

    «Mentalmente mi sono allontanato dal personaggio del film – spiega Giallini – e ho cercato di esplorarne la psicologia». Un approccio condiviso dagli altri attori: Giannini interpreta un poliziotto progressista, costretto a scontrarsi con l’ortodossia del reparto, mentre Bellè affronta il tema della femminilità in un contesto dominato dagli uomini. Gigante, invece, dà vita a un personaggio diviso tra devozione al lavoro e un vuoto personale che cerca di colmare con ambiguità.

    La trama
    La squadra, dopo una notte di violenti scontri in Val di Susa, si ritrova orfana del proprio comandante, ferito gravemente. Tornati a Roma, i poliziotti devono fare i conti con un nuovo capo e un’indagine interna che minaccia di destabilizzare ulteriormente il reparto.

    «Quando ho letto i copioni – racconta Michele Alhaique – ho subito percepito l’opportunità di raccontare due sfere: quella pubblica, con la divisa addosso, e quella privata, fatta di fragilità e contrasti».

    Un viaggio ipnotico
    Per tradurre questa dualità, Alhaique ha scelto di partire dalla musica: «Ho chiesto ai Mokadelic di creare un tappeto sonoro che fosse un algoritmo ipnotico, continuo, capace di andare in profondità senza esplodere in un tema riconoscibile. La macchina da presa, nelle mie intenzioni, doveva vedere oltre le divise e i corpi, svelando l’umanità nascosta».

    Una riflessione sul conflitto
    Marco Giallini, con il suo solito candore, riassume il cuore della narrazione: «Ogni conflitto è una guerra tra poveri. Da ragazzo non ho mai partecipato a nessuna lotta: ero sempre troppo piccolo o troppo grande. Forse è per questo che oggi mi affascina raccontare queste storie».

    ACAB non è solo una serie sulla violenza o il dovere, ma un’indagine sulle persone dietro le uniformi, su ciò che le divide e ciò che le accomuna. Dal 15 gennaio, Netflix offre una nuova occasione per immergersi in questo universo complesso e umano.

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      Televisione

      Pier Silvio Berlusconi compra Casa Vianello: l’appartamento di Sandra e Raimondo torna nella famiglia della tv

      L’appartamento di 245 metri quadrati, set della storica sitcom “Casa Vianello”, torna in mani “di famiglia”. Pier Silvio Berlusconi lo ha acquistato dai Magsino, la coppia di collaboratori filippini che lo aveva ereditato nel 2010. Un investimento dal valore simbolico per l’erede di Silvio, da sempre legato ai luoghi storici della tv.

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        Pier Silvio Berlusconi l’ha fatto di nuovo: ha comprato Casa Vianello. L’attico di 245 metri quadrati a Milano 2 dove per anni hanno vissuto Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, e che fu anche il set della celebre sitcom andata in onda tra gli anni Ottanta e Duemila. Un acquisto da 1,45 milioni di euro che, secondo indiscrezioni riportate da Oggi, avrebbe più valore sentimentale che finanziario.

        L’erede di casa Berlusconi, oggi amministratore delegato del gruppo televisivo fondato dal padre, avrebbe accettato di comprare l’immobile dopo essere stato contattato direttamente dalla famiglia Magsino, i fedeli collaboratori filippini che avevano assistito la coppia fino alla fine e che, dopo la scomparsa di Sandra nel 2010, ne avevano ereditato l’appartamento.

        A fare da tramite sarebbe stato l’amico Augusto Barbieri, cui i Magsino si sarebbero rivolti per capire se Pier Silvio potesse essere interessato. E il numero uno di Mediaset, che a Milano 2 possiede già un altro appartamento, non avrebbe esitato: l’idea di riportare “Casa Vianello” sotto l’ombrello di famiglia lo ha convinto subito.

        Del resto, per lui non è la prima volta che un acquisto è mosso dal cuore. In passato aveva già deciso di conservare il primo motoscafo del padre, un Riva Acquarama in radica, considerato un piccolo gioiello di famiglia. E nonostante possieda oggi un lussuoso yacht di 43 metri, il Dragoluna, varato nel 2021, quell’imbarcazione resta uno dei suoi beni più cari.

        Pier Silvio vive stabilmente a Portofino con Silvia Toffanin e i loro due figli, ma continua a mantenere un legame forte con i luoghi simbolo della storia televisiva di casa Mediaset. E l’acquisto di Casa Vianello sembra proprio un modo per preservare un pezzo di memoria collettiva, una sorta di omaggio alla coppia più amata della tv italiana.

        Chissà che, un giorno, proprio da Cologno Monzese non arrivi l’idea di farla rivivere anche sul piccolo schermo.

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          Televisione

          Gerry Scotti incorona Samira Lui: «Non è una valletta, è una co-presentatrice». E La Ruota della Fortuna trova la sua nuova regina

          Gerry Scotti spende parole di grande stima per Samira Lui, protagonista con lui a La Ruota della Fortuna. «Non è una valletta», dice, ribaltando i cliché e sottolineando come l’ex Miss stia diventando un volto amato soprattutto dalle donne.

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            Gerry Scotti ha deciso: Samira Lui non è più soltanto la “bella accanto al conduttore”. È una co-presentatrice. Punto. Il re del preserale lo dice senza giri di parole, cogliendo l’occasione per ribaltare un’etichetta antica quanto la tv generalista: «Lei è il prototipo della nuova protagonista femminile in televisione. Fa finta di cavalcare il ruolo della valletta, ma non lo è. È una co-presentatrice e con grande umiltà, fidandosi di me, passo passo sta conquistando il favore delle persone».

            Scotti, che negli anni ha affiancato nomi e volti poi diventati iconici, sembra vedere in Samira un’evoluzione naturale della figura femminile nel game show: meno decorativa, più complice. Una presenza che accompagna, commenta, interagisce e porta ritmo.

            Oltre il luogo comune “bella e basta”
            Non è un mistero: Samira Lui, ex Miss Italia, ha sempre lottato contro la percezione di “bellezza e poco altro”. Ma sul set de La Ruota della Fortuna sta costruendo un ruolo diverso, tra sorriso gentile e sicurezza. E Gerry la difende e la valorizza: «Quando una è bella è facile che piaccia agli uomini e meno alle donne. Al contrario, ho l’impressione che Samira piaccia molto alle signore».

            Una frase che racconta bene l’obiettivo: conquistare il pubblico femminile — da sempre il più esigente e fedele nel daytime tv. Samira, insomma, non cerca la scorciatoia della simpatia forzata né il ruolo-maschera della “ragazza da copertina”. Preferisce ascoltare, osservare, imparare e restare elegante. Una scelta che paga.

            La Ruota riparte dalle persone
            Nel rilancio di un format storico, la scommessa è tutta sulla relazione con chi guarda. E qui la coppia funziona: Scotti, marchio di garanzia di casa Mediaset, e Samira, volto giovane ma già riconoscibile, costruiscono una dinamica nuova senza rompere le liturgie del gioco. È tv tradizionale, ma con un codice leggermente aggiornato: il conduttore guida, la co-conduttrice accompagna, la platea applaude.

            In un’epoca in cui i talent e i grandi show spesso fagocitano le personalità, La Ruota della Fortuna rimane un’oasi di semplicità luminosa. E dentro quell’equilibrio, Samira Lui sta trovando un posto tutto suo. Con più sostanza che slogan, più sorrisi che urla, più grazia che teatralità.

            La benedizione di Gerry è arrivata. Il resto, come sempre, lo deciderà il pubblico. E per ora, la ruota sembra girare dalla sua parte.

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              Televisione

              Il “Grande Fratello” perde colpi: share ai minimi storici, appuntamento cancellato e un format

              Il Grande Fratello era il laboratorio sociale che ha cambiato la tv italiana. Oggi gli ascolti stagnano, i concorrenti non lasciano il segno e la concorrenza social cannibalizza l’idea originaria. Anche l’arrivo di Simona Ventura non inverte la rotta.

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                Vent’anni fa bastava accendere una telecamera per raccontare la “gente comune”. Era un esperimento sociale, un fenomeno culturale. Oggi quel modello sembra esaurito. La puntata del giovedì è stata cancellata e l’ultima messa in onda ha toccato il minimo storico del 13,1% di share, dopo settimane sotto i due milioni di spettatori e un lunedì fermo al 14,7%. Numeri che parlano chiaro: l’effetto curiosità, che alla prima serata aveva spinto quasi 2,8 milioni di telespettatori, si è dissolto.

                La rivoluzione si è spostata sui social

                La “gente comune” oggi non ha bisogno di una casa sorvegliata per raccontarsi. Lo fa su TikTok, su Instagram, su YouTube. Il privato è pubblico per definizione e l’esibizione dell’ego è quotidiana, istantanea, montata meglio e più veloce di qualsiasi prime time televisivo. Il Grande Fratello, invece, resta lì: narrazione lineare, tempi lunghi, dinamiche prevedibili. Senza montaggio, senza costruzione, senza quell’iniezione autoriale che ormai è indispensabile anche nei reality più classici. Non a caso, Temptation Island macina ascolti proprio perché gioca sul racconto e sulla regia emotiva.

                La sfida impossibile di Simona Ventura

                Sulla carta, il ritorno di Simona Ventura prometteva energia e mestiere. Nella realtà, la conduttrice si è trovata davanti a un format logoro e a un cast che fatica a diventare racconto. Il pubblico largo non arriva, i personaggi non restano, le dinamiche non catturano. Gli sconosciuti funzionano meno dei vip, ma anche il ciclo dei “famosi” nelle precedenti edizioni non aveva brillato. “Crederci sempre, arrendersi mai” non basta quando l’idea alla base non riesce più a generare curiosità o discussione.

                Un marchio forte, un’idea svuotata

                Il titolo resta potente nell’immaginario, ma oggi è soprattutto memoria. La tv generalista può ancora trovare spazio per il reality, ma ha bisogno di senso, sperimentazione, linguaggio. Senza spunti nuovi, il rischio è continuare a vivacchiare in una telenovela in diretta con dinamiche sempre uguali e risultati sempre più modesti. Il format prodotto da Endemol Shine Italy, così com’è, rischia di essere un museo del tempo che fu.

                Il Grande Fratello non è morto: semplicemente, il mondo nel frattempo è cambiato. E non basta una porta rossa per riaprirlo.

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